L’Associazione Culturale “Il Rischio Educativo”, che da molti anni sviluppa una riflessione sulla proposta culturale delle scuole libere e sull’esperienza di insegnamento, ha svolto nel mese di luglio la settima edizione della Summer School, quest’anno dedicata al tema La conoscenza del mondo attraverso le Scienze.
Centotrenta insegnanti e dirigenti di scuole di ogni ordine e grado si sono confrontati con docenti universitari e con professori di discipline scientifiche sui temi della cultura scientifica e del suo insegnamento, ponendo la conoscenza al centro dell’esperienza formativa dell’insegnante, a partire dall’assunto che le Scienze offrono alla conoscenza del mondo un proprio e qualificato tipo di apporto.
I lavori si sono articolati anzitutto attraverso l’esposizione di una relazione, il suo approfondimento da parte di uno o più discussant, la proposizione di domande e chiarimenti, e la precisazione di strumenti e di indicazioni bibliografiche. In tutte le giornate, i relatori hanno partecipato anche ai diversi momenti seminariali e di convivenza, favorendo in tal modo anche un ulteriore spazio di incontro e discussione.
Tutte le relazioni saranno pubblicate sul sito dell’Associazione Culturale.
Razionalità scientifica e razionalità comunicativa
La relazione introduttiva, svolta da Onorato Grassi dell’Università Lumsa di Roma, ha avuto come tema Razionalità scientifica e razionalità comunicativa. Il relatore ha fissato alcuni termini della conoscenza del mondo attraverso le Scienze, muovendo dall’osservazione che l’epoca moderna è qualificata dalla razionalità scientifica, forma paradigmatica della ragione. Se la scienza nasce per conoscere com’è veramente il mondo, nell’ambito della razionalità scientifica moderna c’è stato un bivio, che ha visto sorgere una scienza ridotta a modalità unicamente funzionale e strategica.
Come afferma Habermas, l’opera di una ragione tesa a compiere solo determinate operazioni agisce in un contesto dove gli elementi determinanti divengono altri rispetto agli elementi conoscitivi. In tal modo, ci si è chiesto, il connubio scienza e modernità favorisce davvero la presenza di differenti metodi di conoscenza con cui l’uomo raggiunge la conoscenza di qualcosa?
E questo, non solo come soggettività ma come validità universale, come razionalità differenti in grado di arrivare a una evidenza e a una certezza, oppure le «altre» verità divengono solo «tappezzerie del mondo»?
Si inserisce a questo livello la razionalità comunicativa, perché anche lo scienziato condivide il lavoro che sta facendo con una comunità scientifica nella quale è necessario comunicare.
Per molti pensatori, soprattutto del Novecento, la conoscenza non è solo «occuparsi di cose», ma è «dire delle cose», ovviando all’inconveniente del parlare senza intendersi. Così, la razionalità comunicativa mira a raggiungere l’intesa. Questo tema, se vogliamo tipicamente umanistico, dell’intesa si intreccia oggi con la razionalità scientifica.
I cristalli: una finestra sul microcosmo
Nella sua relazione, sul tema I cristalli: una finestra sul microcosmo, Riccardo Destro dell’Università degli Studi di Milano ha delineato i caratteri della scienza che si occupa della struttura dell’infinitamente piccolo, illustrando le caratteristiche principali delle strutture cristalline e descrivendo in modo sintetico le relative operazioni di simmetria.
Il relatore ha poi mostrato come sia sorta la definizione di un «ordine» che distingue un cristallo e precisato in che senso tutte le proprietà chimico-fisiche di una molecola dipendano dalla sua struttura.
Dopo aver ripercorso in modo chiaro ed esemplificativo la storia delle scoperte che, all’inizio del secolo scorso, hanno dato origine alla cristallografia moderna, sono stati approfonditi, come esemplificazione, i risultati di un’indagine a raggi X su un cristallo di un farmaco anti-ipertensivo.
Attraverso numerosi esempi, ha precisato come, nella trattazione didattica dei temi scientifici, particolare attenzione occorra prestare al metodo di spiegazione, per il quale si parte da alcune affermazioni sul microcosmo, per poi subito precisare come si è giunti all’affermazione di un concetto, spiegando, cioè, come i primi geni sono giunti a una astratta visione. Così, per esempio, un libro di Fisica è affascinante quando racconta e contestualizza un concetto nell’ambito di un’intuizione. Si può partire da come si sa che una cosa è fatta, ma poi subito contestualizzandola e provocando l’interesse e le domande.
Questo è il senso di «aprire la finestra sul microcosmo»: creare o far crescere l’interesse, trovando la chiave per aprirlo, perché la natura è bella, e questa scoperta è da far percepire allo studente. Si tratta di spalancare gli occhi, spingendo a scoprire che una materia è bellezza e corrispondenza con la persona.
La conoscenza dell’Universo
Riprendendo i temi della fisica dello spazio, Marco Bersanelli dell’Università degli Studi di Milano ha sviluppato il tema de La conoscenza dell’Universo, muovendo da una domanda: come un uomo primitivo poteva percepire il cielo?
A partire dall’analisi dell’osso di Blanchard, che mostra come, 33.000 anni fa, un uomo poteva immaginare il cielo e il calendario delle fasi lunari, il relatore ha descritto con quale meraviglia l’uomo abbia osservato l’imponenza della volta misteriosa, zeppa di stelle, con quel cielo che è un segno privilegiato del divino.
Perché da sempre l’uomo rivolge proprio al cielo la propria attenzione?
La parola stessa «cielo» nella nostra civiltà rappresenta il divino, perché il cielo è, anzitutto, unico. E poi la vastità del cielo, con la sua irraggiungibilità, che indica una sproporzione radicale. Tutto muta nelle generazioni, il cielo no. E, naturalmente, la bellezza vertiginosa. E il nesso con la vita umana.
Bersanelli ha poi accennato, con diverse esemplificazioni, agli elementi principali del lungo periodo che porta allo sviluppo della fisica moderna, a partire dai greci Eratostene e Aristarco sino alla descrizione del cosmo medioevale, dove l’Universo è inteso come creazione, un dono di Dio che, pur riprendendo il modello greco, vi aggiunge il segno di un mistero che ha ordine, e che Dante esprime nei celebri versi del I canto del Paradiso: «Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro; e questa è forma / che l’Universo a Dio fa simigliante».
Dante stesso espone la sua visione nel canto XXVII del Paradiso, mostrando come possa essere possibile che ciò che abbraccia l’Universo ne sia, allo stesso tempo, il centro. L’ultima parte della relazione ha sviluppato una possibile risposta alla domanda se vi sia un modo di leggere che restituisce coerenza alla visione dell’Universo dantesco.
La scienza nel laboratorio
Entrando nel merito della pratica didattica, Maria Elisa Bergamaschini, del direttivo dell’Associazione Culturale Il Rischio Educativo, ha svolto una relazione dal titolo La scienza nel laboratorio.
Per introdurre adeguatamente la questione, la relatrice ha messo in risalto l’importanza di cercare a scuola «le domande che illuminano», riprendendo quanto ricordava il grande fisico Isidor Isaac Rabi a proposito di sua madre, che, al ritorno da scuola, non gli chiedeva mai «hai imparato qualcosa?», ma «hai fatto qualche buona domanda oggi a lezione?».
Perché vi sono le domande che illuminano e quelle che distruggono, anche da parte dell’insegnante, quando rinuncia al suo compito e diviene un mero facilitatore. Mentre il «maestro» è la garanzia che ciò che si fa a scuola abbia un senso più profondo delle operazioni, con una consapevolezza che continuamente si rinnova.
Ha poi parlato dell’importanza di fare scienza nelle scuole di ogni ordine e grado: l’insegnante è chiamato insieme ai propri allievi «a fare scienza» a scuola; non, quindi, attività di natura ludica e/o divulgativa, ma piuttosto di natura «conoscitiva», con le caratteristiche strutturali del sapere scientifico. Anche a scuola occorre mettere in campo quelle azioni caratteristiche del metodo con cui lo scienziato conosce il mondo. Andando alla genesi delle diverse scienze sperimentali si può essere certi che ciò che lì vale, vale anche nella scuola.
La relazione si è conclusa approfondendo alcuni termini propri della conoscenza anche in campo scientifico: guardare, vedere, osservare, riconoscere, rappresentare, descrivere e narrare.
Linguaggio e cervello
Introdotto da Roberto Presilla, della Pontificia Università Gregoriana di Roma, ha poi parlato Andrea Moro, della Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia, che ha trattato il tema Linguaggio e cervello.
Contestando l’ideologia emersa negli anni Cinquanta del secolo scorso negli USA, secondo la quale le grammatiche umane sono puramente convenzionali ed è possibile giungere a una comprensione completa della comunicazione dell’animale e della macchina, il relatore ha ripreso l’idea di Noam Chomsky di complessità della grammatica, di uniformità al variare e di apprendimento del linguaggio, in particolar modo nei bambini.
Del linguista americano ha ricordato una frase decisiva: «Il fatto che tutti i bambini normali acquisiscano delle grammatiche sostanzialmente comparabili, di grande complessità e con notevole rapidità, suggerisce che gli esseri umani siano in qualche modo progettati in un modo speciale, con una capacità di natura misteriosa».
Sviluppando queste idee, si può affermare che la sintassi rappresenta qualcosa di umano solo umano, come caratteristica formidabile dell’uomo e trama nascosta di questo mistero, che permette di formare potenzialmente un numero di frasi infinite.
Compito della scienza linguistica, perciò, è di cercare la trama nascosta, di girare dietro l’arazzo ed esaminare in che cosa consista la trama che compie un disegno.
La matematica: parole, immagini, simboli
La matematica: parole, immagini, simboli è il titolo della relazione svolta da Raffaella Manara, del direttivo dell’Associazione Culturale “Il Rischio Educativo”.
La relatrice ha anzitutto approfondito la questione delle parole nella matematica, affermando che nella scienza e in matematica, per intendersi, si usa il linguaggio comune, ma per parlare degli oggetti che si conoscono dal punto di vista della matematica si usano parole speciali: si generano parole, dando un nome che diviene un accesso al concetto.
Dopo alcune esemplificazioni a riguardo di parole dell’algebra e della geometria, si è illustrata la questione dell’immagine nella matematica, affermando che le immagini sono relazioni al guardare e al riconoscere, sviluppano la qualità dell’osservare, svolgono una funzione molto importante nel rappresentare, nel comunicare il pensiero e nell’illustrare. Per quanto riguarda i simboli, essi danno forma al pensiero.
La formazione dei concetti matematici ha inizio, infatti, nell’esperienza sensibile, procede attraverso l’estrapolazione della fantasia, l’interiorizzazione e l’astrazione. Perciò si cercano e scelgono forme di rappresentazione dei concetti, e dall’illustrazione generica si giunge alla schematizzazione geometrica.
Attraverso i simboli scelti, i concetti sono manipolati, per generare nuovi concetti: si passa, così, al grado superiore di astrazione, spingendo in avanti la concettualizzazione.
Coscienza e cervello
Mauro Ceroni dell’Università degli Studi di Pavia ha trattato il tema Coscienza e cervello, riprendendo il libro scritto con Faustino Savoldi e Luca Vanzago dal titolo “La coscienza” sugli aspetti più rilevanti delle neuroscienze nella medicina.
Ha anzitutto fatto riferimento alla storia delle scoperte che riguardano questo tema, risalendo agli studi di Giovanni Battista Morgagni pubblicati nel 1761, e riprendendo le ricerche di Jean Martin Charcot, di Camillo Golgi, di Giuseppe Moruzzi.
Sviluppando la tesi che l’essere vivente vive dentro una situazione, in cui l’uomo si muove a partire dalla ricerca del significato e dei nessi, come l’esperienza dimostra, il relatore ha sottolineato come il rischio non sia l’avvento del potere che ci sottomette tutti, ma quello di esseri umani assolutamente sotto intelligenti.
In questo senso occorre riprendere chiaramente le differenze tra l’intelligenza umana e l’idea di intelligenza artificiale adattabile come un computer, cui l’intelligenza umana non è riducibile, come ha affermato nel 1972 Hubert Dreyfus nel suo ormai classico What Computer Can’t Do. Mentre il punto di partenza del cognitivismo è la costruzione di una mente umana come un PC, occorre, invece, partire dall’esperienza del soggetto, perché è nell’esperienza che la realtà viene conosciuta. E per questo ciascuno ha bisogno di trovare un criterio, dentro di sé.
Come affermava Wittgenstein «Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le proposizioni e domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati». L’io, in altre parole, è fatto di due realtà diverse, irriducibili e inseparabili.
L’uomo è la specie animale meno specializzata, meno programmata e adattata di tutte. Anche la nostra fisiologia è determinata dal mistero.
Figli di Cartesio, tutto passa attraverso la coscienza, la più grande meraviglia che esiste in questo mondo. Ma dove, platonicamente, quello che conta è l’anima.
L’origine della vita: singolarità o dinamica inesorabile?
L’ultima relazione, di grande interesse, è stata quella di Paolo Tortora dell’Università degli Studi di Milano, sul tema L’origine della vita: singolarità o dinamica inesorabile?.
Il relatore ha scandito il suo intervento con numerose osservazioni di carattere metodologico, muovendo dalla considerazione che dopo cento anni di studi e ricerche, a tutt’oggi non è stato elaborato alcun convincente modello interpretativo che includa tutti gli elementi implicati nel processo di origine degli organismi viventi.
Una delle difficoltà fondamentali che si devono affrontare per dare risposte al problema dell’origine della vita è intrinseca alla natura stessa dei sistemi viventi. La loro complessità non è infatti soltanto legata al fatto che i componenti fondamentali, vale a dire le molecole biologiche, hanno dimensioni cospicue, strutture complicate e sono in grande numero anche nelle cellule più semplici. Piuttosto, l’aspetto più caratteristico della loro complessità risiede nel fatto che ogni parte del macchinario chimico di cui essi consistono è coordinato con gli altri in vista della cooperazione verso uno scopo.
Il problema dell’origine della vita non può essere affrontato considerando l’origine e l’evoluzione di ogni singola parte (o classe di molecole) indipendentemente dalle altre, come è illustrato bene nella biologia molecolare.
Infine, è stato approfondito il tema delle due caratteristiche che impongono una netta differenza qualitativa tra vivente e non vivente: l’irriducibilità e l’individualità.
a cura di Francesco Valenti
(Rettore del “Collegio della Guastalla” di Monza e Presidente dell’Associazione Culturale “Il rischio educativo”)
© Pubblicato sul n° 54 di Emmeciquadro