Frontiere della scienza oggi

L’invito agli insegnanti di discipline scientifiche a esplorare le frontiere delle scienze non è inadeguato né privo di ricadute educative. Non è per indulgere a una moda e neppure per sperare di catturare l’interesse degli studenti proponendo loro contenuti aggiornati così da illuderli di poter passare senza soluzione di continuità (e soprattutto senza consapevolezza) dallo schermo di una TV o da una pagina web alla piatta superficie di una lavagna scolastica.
Non è l’aggiornamento il problema; è piuttosto la natura della conoscenza scientifica, è quella armonia fra la ragione umana e la realtà obiettiva di cui parlava il matematico Francesco Severi: «La verità scientifica è insomma un adeguarsi giorno per giorno della ragione umana a zone sempre più vaste di realtà. Ma questo progressivo aderire non può avere mai termine».
Fa parte della natura della scienza la tendenza a non chiudersi entro i propri confini, a dilatare le frontiere, anzi a spingersi oltre le frontiere. Lo possiamo costatare a tre livelli, tutti ben rappresentati nei contributi di questo ultimo numero del 2014; che ospita, tra l’altro, la redazione degli interventi al Simposio “Le frontiere e i confini della scienza”, svoltosi nell’ottobre scorso presso i Laboratori del Gran Sasso dell’INFN; come pure ospita gli approfondimenti sui Premi Nobel e le Medaglie Fields 2014, che delle scienze di frontiera sono un simbolo permanente.
Un primo tipo di frontiere sono evidentemente quelle conoscitive. Spesso non sono tracciate da una netta linea di demarcazione ma sono indicative di un percorso, come quando in montagna si apre una nuova via per una vecchia cima. Altre volte si tratta proprio di passaggi a nord-ovest, verso territori sconosciuti e pieni di incognite: come sono quelli del nano-mondo, ormai sempre più popolato e promettente; o quelli della nuova fisica che potrebbe dischiudersi con l’imminente ripresa degli esperimenti all’acceleratore LHC portato alle massime energie di collisione. Quel che conta, sul piano educativo, è mettere in risalto le domande che innescano le nuove ricerche e i fenomeni la cui analisi attenta permette a qualche mente geniale di sollevare interrogativi interessanti o di porre vecchie domande in modo nuovo.
La seconda tipologia di frontiere è quella strumentale, che viene continuamente superata grazie all’innovazione tecnologica. Basti pensare alle possibilità di indagine dell’Universo nello spazio e nel tempo aperte dall’osservazione alle diverse frequenze dello spettro elettromagnetico o dalla cattura dei neutrini o delle (attese) onde gravitazionali.
Ci sono infine, anche nella scienza, le frontiere più propriamente fisiche, quasi geografiche, secondo tutte le scale dimensionali alle quali questo termine può essere esteso. Da un lato ci sono i confini del sistema solare: quelli estremi, sfidati dalle missioni delle sonde interplanetarie, come il Voyager che sta entrando nello spazio interstellare; e quelli interni, come le superfici di pianeti e satelliti verso i quali sono dirette le prossime missioni o come la accidentata superficie di una cometa, toccata per la prima volta da un manufatto umano, con grande partecipazione ed emozione del pubblico di tutto il mondo.
Dall’altro lato della scala ci sono viaggi, altrettanto avventurosi, che portano le nostre sonde dentro il bio-mondo e il neuro-mondo. Si pensi alle grandi possibilità esplorative della risonanza magnetica funzionale, che illumina le aree cerebrali attive, consentendo di stabilire correlazioni tra specifiche attività fisiologiche e precise zone del cervello; suscitando peraltro esagerate aspettative e alimentando equivoci come quello che l’io personale, la coscienza, sia totalmente generata dal cervello e sia quindi il puro risultato dell’evoluzione biologica.
Esplorare le frontiere attuali della scienza non è quindi solo per essere al passo con i tempi. Significa piuttosto cogliere la profondità delle domande degli scienziati, entrare più da vicino nel loro modo di leggere la realtà e di interpretare i messaggi inviati dalla Natura.
Significa anche, una volta giunti al limite, di fronte ai nuovi scenari che si spalancano, riguardare indietro e prendere coscienza dell’ampiezza e del valore dei vecchi territori dai quali si è partiti. Qui si chiude il cerchio; qui appare in tutta chiarezza il valore anche educativo di un viaggio alle frontiere.
Un viaggio per il quale si deve imbarcare anzitutto l’insegnante; per poi poterlo raccontare con tutta la drammaticità di un’avventura vissuta, ma insieme con tutto il rigore e il rispetto del vero che la conoscenza scientifica richiede.



Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 55 di Emmeciquadro

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