A duecento anni dalla prima ferrovia, la rievocazione di un percorso storico alquanto complesso, che comincia con le rotaie in legno per i carrelli delle miniere, già in uso nel XV secolo in Slovacchia. Nel Seicento, in Inghilterra nascono le wagonway, strade munite di binari, ma a trazione animale.
Il tentativo di realizzare una trazione più efficiente prende spunto dalle macchine termiche a vapore, come quelle di Newcomen e Watt. Dopo vari tentativi, ad opera di George Stephenson, nasce nel 1814 la prima locomotiva: da questo momento lo sviluppo dei percorsi ferroviari diventa rapidamente imponente.
Sono stati in molti a ricordare, durante l’anno in corso, che due secoli fa il tecnico inglese George Stephenson (1781-1848) cominciò a utilizzare, nella miniera di carbone dove lavorava, una locomotiva a vapore di sua invenzione e costruzione. Nel lungo e complesso sviluppo della tecnologia ferroviaria il 1814 fu effettivamente un anno cruciale, e dunque pure noi coglieremo l’occasione di ricordarlo, anche se, senza nulla togliere ai meriti di Stephenson, l’attribuzione che spesso viene fatta a lui solo della «invenzione» della locomotiva, o addirittura della ferrovia, costituisce una semplificazione eccessiva di come i fatti si svolsero, e richiede quindi qualche precisazione.
Il caso della locomotiva non è del resto diverso da quello di tante grandi invenzioni dell’epoca moderna (la macchina a vapore, il telegrafo, l’illuminazione elettrica, eccetera) che siamo spesso abituati ad associare a singoli personaggi, ma che in realtà furono quasi sempre il risultato di tentativi di diversi inventori, spesso operanti in luoghi o addirittura in nazioni diverse, e che non emersero d’improvviso, ma per una evoluzione di idee e progetti, spesso durata lunghi anni.
Le prime rotaie per i carrelli da miniera
In effetti l’idea stessa del trasporto su rotaia è assai più vecchia dei tentativi di Stephenson e dei suoi contemporanei, rimandando addirittura al XV secolo, al quale risalgono le più antiche testimonianze sull’uso di «rotaie» o «binari» di legno e carrelli a ruote per il trasporto del minerale nelle miniere di ferro della Slovacchia.
Sempre in campo minerario circa un secolo più tardi comparvero carrelli con ruote di ferro munite di un «bordino» laterale per impedire il deragliamento dalle rotaie (che peraltro erano ancora di legno, il ferro era troppo costoso per rendere conveniente la stesura di lunghi binari) citati anche nel famoso testo cinquecentesco di tecnica mineraria De Re Metallica, del tedesco Georg Bauer (1494-1555), detto Agricola.
L’uso dei binari consentiva un notevole risparmio di fatica nello spingere a mano i carrelli da miniera, e se si usavano animali da tiro permetteva di spostare carichi assai più pesanti di quanto sarebbe stato possibile, su terreni spesso sconnessi e fangosi, con i normali carri; inoltre le rotaie costituivano una traccia sicura, e offrivano perciò un vantaggio evidente nel condurre dei veicoli lungo le anguste gallerie delle miniere. Essi divennero pertanto di uso comune nella gran parte delle miniere europee comprese quelle dell’Inghilterra, dove lo sviluppo delle attività estrattive, in particolare quelle del carbone, ebbe un grande sviluppo fra Sei e Settecento.
Le «wagonway»
Non è quindi un caso se proprio in Inghilterra nacque l’idea di estendere anche al di fuori delle miniere il trasporto su binari, in modo da collegare le miniere stesse con fiumi, canali, o punti di imbarco dai quali il carbone partiva per le sue destinazioni finali. Il primo esempio noto risale al primo decennio del Seicento, quando un certo Huntingdon Beaumont (1560-1624) realizzò vicino a Nottingham una wagonway, cioè una strada munita di binari di legno lunga due miglia, per trasportare carbone da una locale miniera.
L’uso di binari di ferro, o meglio di ghisa, cominciò a comparire verso la fine del Settecento, contemporaneamente allo sviluppo dell’industria siderurgica.
Durante questo secolo, in Inghilterra furono costruite, secondo alcune stime, oltre duemila chilometri di wagonway, per tracciare le quali furono spesso realizzate pregevoli opere di ingegneria, quali ponti, viadotti, terrapieni; una delle prime di queste opere fu il viadotto Causey Arch per la Ravensworth Wagonway, nella contea di Durham, che dal 1727 è tuttora in piedi.
Come si è accennato, si trattava essenzialmente di percorsi utilizzati dall’industria mineraria, ma nel 1803 il Parlamento inglese autorizzò la costruzione della prima wagonway per il trasporto pubblico di merci di qualsiasi tipo, la Surrey Iron Railway, e nel 1807 la Oystermouth Railway, nel Galles Meridionale iniziò a trasportare anche passeggeri paganti; entrambe era comunque ancora a trazione animale.
In sostanza quindi, benché siamo forse più abituati ad associare il concetto dei binari o delle rotaie, al treno (o ai tram), inizialmente esso indicava una strada dotata di guide1 sulla quale potevano correre veicoli che non erano semoventi, ma venivano mossi, con le tecniche e i mezzi in uso da sempre per i trasporti stradali, rispetto ai quali fornivano gli stessi vantaggi a cui si è accennato in campo minerario: possibilità di muovere carichi assai più pesanti con la stessa forza di trazione, guida sicura dei veicoli e svincolo da buche, fango o altri degradi causati dalle condizioni atmosferiche.
Certamente le wagonway inglesi di fine Settecento/inizio Ottocento erano ancora abbastanza rudimentali rispetto alle «strade ferrate» che si affermarono in seguito, utilizzando in particolare «armamenti», cioè rotaie e traverse, piuttosto leggeri, se pur adatti a sopportare carichi maggiori di quelli consentiti dai trasporti stradali contemporanei. In ogni caso la tecnologia delle wagonway era ormai ben nota e consolidata, ed esse erano in grado, nelle opportune condizioni, di integrarsi proficuamente con la rete di strade e di canali navigabili, che pure vennero costruiti, in quello stesso periodo in Inghilterra, in grande quantità.
I primi tentativi di locomotive a vapore
Alla wagonway mancava ancora un mezzo di trazione che la svincolasse dagli animali da tiro, mettendo a disposizione più potenza e più velocità. La potenza del vapore era per altro allora già ben nota e ampiamente usata, in campo sia minerario sia industriale; la soluzione del problema era quindi in qualche modo già a portata di mano e i tempi erano ormai maturi perché qualcuno trovasse il modo e il coraggio di rendere semovente ciò che fino a quel momento era sempre stato utilizzato in modo stazionario.
[A sinistra: Richard Trevithick (1771-1833)]
Diversi inventori inglesi si cimentarono, nel primo decennio dell’Ottocento, con questa impresa, sperimentando soluzioni meccaniche e configurazioni generali delle loro macchine abbastanza «curiose» che furono poi presto abbandonate.
Fra tutti ricordiamo, in particolare Richard Trevithick (1771-1833), nativo della Cornovaglia, uno dei primi a costruire motori a vapore stazionari ad «alta pressione»2, che superavano gli schemi messi a punto ormai decenni prima da Thomas Newcomen (1663-1729) e James Watt (1736-1819).
Utilizzando queste sue esperienze egli realizzò una prima locomotiva a vapore già nel 1802-1803 (che non è però certo, se abbia mai funzionato anche se ne esiste il disegno), mentre è storicamente documentato che l’anno successivo una seconda macchina da lui costruita, fu la prima a effettuare alcuni viaggi trainando un carico di ferro di dieci tonnellate, dallo stabilimento siderurgico di Pen-y-darren nel Galles meridionale a un canale distante nove miglia (l’esperienza dimostrò peraltro che i binari della esistente wagonway non erano sufficientemente robusti per sopportare il peso e le sollecitazioni prodotte dalla locomotiva).
Le caldaie delle prime vaporiere di Trevithick, a sviluppo orizzontale, producevano vapore a pressione nettamente più alta rispetto ai valori usati nelle macchine a vapore stazionarie di quel tempo e fornivano il vapore a un unico cilindro motore anteriore, collegato a un enorme volano; quest’ultimo trasmetteva il moto a entrambi gli assi della locomotiva, con una doppia coppia di ruote dentate.
Con questa configurazione Trevithick cercò di regolarizzare il più possibile il moto alternativo del motore a vapore e di ottenere un avanzamento regolare e governabile, garantendo inoltre una buona aderenza fra ruote e rotaie. Una configurazione similare fu adottata anche per il modello Newcastle realizzato nel 1804 per una miniera di carbone vicina alla città di Newcastle.
Trevithick continuò negli anni successivi a perfezionare le sue macchine, realizzando nel 1808 una nuova locomotiva, battezzata Catch Me Who Can (mi prenda chi può). Nella speranza di farsi pubblicità e di convincere gli investitori londinesi a finanziare i suoi progetti realizzò addirittura un apposito breve percorso circolare su rotaia nel centrale quartiere di Bloomsbury, a Londra, lungo il quale trasportava passeggeri a pagamento.
La macchina adottava una configurazione diversa dalle precedenti, senza il grosso volano e con un cilindro del vapore montato verticalmente che azionava direttamente le ruote.
[A destra: George Stephenson (1781-1848)]
Anche altri lavoravano, intanto, a idee e macchine di vario tipo, alla ricerca di soluzioni tecniche più valide e più funzionali: fu così, per esempio, che qualche anno più tardi, nel 1812, Metthew Murray (1765-1826) mise per primo in servizio commerciale una locomotiva a vapore a pinione e cremagliera sulla esistente wagonway di Middleton, a Leeds (un tipo di configurazione che avrebbe in seguito trovato utilizzo su linee ferroviarie a forte pendenza).
La wagonway a vapore di Middleton fu visitata fra i tanti anche da un meccanico che lavorava in una miniera di carbone, vicino a Newcastle, George Stephenson, che ne fu impressionato, e cominciò anch’egli a progettare e costruire macchine simili.
Stephenson: l’«inventore» della locomotiva a vapore
George Stephenson era nato in una famiglia assai modesta che viveva in una fattoria vicino alla città di Newcastle, in una zona ricca di miniere di carbone. Una wagonway passava nei pressi della fattoria e da ragazzo George, pur non avendo la possibilità di frequentare nessuna scuola, dovendo lavorare in campagna, aveva iniziato a interessarsi di tecnica e di meccanica. Suo padre, del resto, lavorava come fuochista in una vicina miniera, dove egli stesso aveva iniziato a lavorare a quattordici anni. Solo verso i diciotto anni, frequentando le scuole serali, aveva potuto imparare a leggere, scrivere e far di conto; intanto aveva fatto pratica coi motori a vapore della miniera e nel 1802 era diventato tecnico motorista.
Nel 1808, all’età di 27 anni, ormai sposato da qualche anno e presto rimasto vedovo con un figlio (Robert) da mantenere, Stephenson trovò un nuovo impiego come motorista nella miniera di carbone di Killingworth, dove ebbe modo di fare molta esperienza e approfondire le sue conoscenze tecniche, divenendo nel 1812 motorista capo.
Si trovava ormai in una buona posizione per cercare di convincere il proprietario della miniera a investire del denaro per costruire una vaporiera come quelle che aveva visto a Middleton o come altre di cui gli arrivavano notizie. Fu così che nel 1814 la sua prima locomotiva, chiamata Blucher (dal nome di un famoso generale prussiano che aveva combattuto contro Napoleone), iniziò a correre sui binari e a trasportare il carbone della miniera.
Come abbiamo visto essa non fu in assoluto la prima vaporiera a comparire sulla scena, ma ci sono comunque dei validi motivi tecnici, oltre alla fama che Stephenson si guadagnò in seguito come pioniere delle ferrovie, per cui essa viene spesso citata come tale.
La macchina era infatti potente, affidabile ed era dotata di ruote di ferro con bordino che garantivano un’ottima aderenza senza bisogno di ricorrere a pignoni e cremagliere (poteva tirare un carico di trenta tonnellate di carbone a una velocità simile a quella dei cavalli). Nel giro di cinque anni Stephenson costruì una quindicina di queste locomotive, sia per la miniera di Killingworth che per qualche altra miniera. Il progetto di queste macchine fu ovviamente gradualmente perfezionato, e Stephenson dedicò molte energia anche al miglioramento delle rotaie e più in generale dell’armamento delle strade ferrate, che si erano dimostrato un punto debole di tutte le realizzazioni di quegli anni di pionierismo ferroviario.
Fu così che Stephenson si costruì in pochi anni un’ottima fama di esperto di locomotive, fino ad essere assunto come progettista e direttore dei lavori dalla ferrovia Stockton&Darlington, fondata nel 1821 per il trasporto di merci su rotaia. Su questa linea, lunga circa 40 km, il 27 settembre del 1825, lo stesso Stephenson guidò la locomotiva a vapore Locomotion, costruita in collaborazione con suo figlio Robert, trainando un convoglio ferroviario con a bordo qualche centinaio di passeggeri, per la maggior parte sistemati in modo precario nei carri aperti normalmente usati per le merci (solo uno dei vagoni, chiamato Experiment, era stato espressamente adattato per portare dei passeggeri).
Anche se la velocità massima raggiunta dal convoglio fu modesta (24 Km/h), quest’evento, che fu in realtà solo una dimostrazione, senza ancora diventare un regolare servizio, viene ugualmente considerato la data di nascita del trasporto ferroviario.
L’importanza della linea Stockton&Darlington risiede anche nel fatto che fu la prima ad adottare rotaie in ferro forgiato, che fornivano finalmente la robustezza e l’affidabilità che erano spesso mancate in realizzazioni precedenti; inoltre Stephenson usò in questa linea lo scartamento (distanza fra i binari) di 4 piedi e 8½ pollici (1435 mm) che fu in seguito adottato come standard delle ferrovie inglesi e di molti altri paesi nel mondo.
Le prime linee ferroviarie
Nel giro di pochi anni i tempi divennero maturi per la realizzazione della prima linea ferroviaria di collegamento fra due città importanti, Liverpool e Manchester, che distano fra loro circa 48 km.
Poiché i costruttori di locomotive a vapore erano diventati numerosi, i promotori dell’iniziativa lanciarono un vero e proprio concorso per la scelta della migliore locomotiva; e la competizione divenne spettacolo in quanto alle prove di velocità, su un percorso di 4 Km, presso la località di Rainhill, assistettero migliaia di curiosi.
Tra i cinque partecipanti prevalse la locomotiva Rocket (razzo) degli Stephenson, che ebbero così una commessa per la costruzione di otto macchine, che iniziarono il regolare servizio su questa linea nel settembre del 1830.
La Rocket vinse la competizione anche grazie all’adozione di una caldaia «a tubi di fumo» una soluzione che favoriva nettamente lo scambio termico fra i gas di combustione e l’acqua bollente che produceva il vapore; questa configurazione, che fu in seguito adottata, in varie forme dalla maggior parte delle locomotive, era stata brevettata dall’ingegnere francese Marc Seguin (1786-1875): un significativo segnale che anche la Francia era entrata a pieno titolo nello sviluppo della tecnologia ferroviaria.
La «mania» per la costruzione delle ferrovie travolse rapidamente l’Inghilterra e da lì si diffuse abbastanza rapidamente in tutta Europa. In Inghilterra fra il 1830 ed il 1850 furono costruiti quasi 10.000 Km di strade ferrate.
La gente cominciò a viaggiare, non solo per commerci e affari, ma anche per piacere e divertimento, anche se all’inizio i treni non erano certamente eccezionali, quanto a comodità e sicurezza. La sicurezza fece comunque buoni progressi con l’introduzione di segnalazioni e telegrafi, e inoltre, dopo un iniziale periodo di anarchia, anche il potere politico cominciò ad occuparsi della materia, emettendo dopo il 1840 numerose leggi e regolamenti.
Per quanto riguarda la costruzione dei tracciati ferroviari, in Inghilterra si fece tesoro di tutta l’esperienza accumulata nella costruzione dei canali4, costruendo, in maniera similare a quanto era stato fatto per realizzare le vie d’acqua, trincee, gallerie, viadotti, eccetera, in modo da realizzare percorsi regolari e con modeste pendenze.
In questo campo gli inglesi furono maestri per molti anni, e i loro tecnici più famosi, gli Stephenson, Joseph Locke (1805-1860), Isambard Kingdom Brunel (1806-1859), e altri, dopo aver fatto esperienza in patria, furono chiamati come costruttori o consulenti in tutta Europa.
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Gianluca Lapini
(Ingegnere. Già ricercatore presso CISE e CESI Ricerca S.p.a.)
Note
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Non si deve pensare che questi primi binari, quando erano realizzati di materiale ferroso, avessero la classica forma a fungo attuale; spesso si trattava di semplici profilati a L, sui quali correvano ruote di legno cerchiate di ferro. Erano le ali verticali di tali profilati a impedire il deragliamento, e non il bordino delle ruote, come più tardi divenne comune. Inizialmente la posa dei binari avveniva su blocchi di pietra, ma poi si affermò rapidamente la costruzione dei tracciati con binari fissati a traversine di legno. Per diversi decenni i binari furono realizzati in ferro forgiato; essi venivano giuntati tra di loro con delle piastre a ganascia che minimizzavano le disuniformità fra un tratto di rotaia e l’altro. Dopo il 1850, con l’introduzione del processo Bessemer, che consentì un notevole passo in avanti nella produzione siderurgica, si passò dal ferro all’acciaio, e le rotaie cominciarono a essere più pesanti, per seguire la tendenza del materiale rotabile a crescere di peso e ad aumentare la velocità .
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Si trattava a dir la verità di pressioni modeste, al massimo 3-4 atmosfere, ma ciò rendeva queste macchine piuttosto diverse da quelle di tipo «atmosferico» allora in uso, e assai più soggette al pericolo di esplosioni.
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Thevithick emigrò in Costa Rica, dove fece una discreta fortuna installando macchine a vapore stazionarie nelle miniere. Ma la sua sorte ebbe un tracollo nel 1820, durante una delle tante rivoluzioni locali. Ritornato in patria, e ridotto in miseria, morì di influenza nel 1833.
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In Inghilterra, pochi decenni prima dell’avvento delle ferrovia, si era verificato un grande fermento costruttivo, passato alla storia come canal age, che aveva portato alla realizzazione di una complessa rete di canali navigabili, sui quali avevano viaggiato le grandi quantità di merci messe in moto dalla prima rivoluzione industriale. Il debito tecnologico delle ferrovie con la costruzione dei canali è attestato dal fatto che gli operai sterratori che costruivano i tracciati ferroviari erano chiamati navvy (da navigatore), come quelli che avevano costruito i canali.
© Pubblicato sul n° 55 di Emmeciquadro