for the development of super-resolved fluorescence microscopy

L’accademia Reale Svedese delle Scienze ha assegnato a Eric Betzig (1960-…), Stefan W. Hell (1962-…) e William E. Moerner (1953-…) il Premio Nobel per la Chimica 2014 per «lo sviluppo della microscopia a fluorescenza a super-risoluzione». L’impatto di tale sviluppo è così rilevante da permettere di affrontare, sotto una nuova luce, importanti questioni biologiche e biofisiche a livello di singola molecola nelle cellule viventi.
L’utilizzo della fluorescenza costituisce un passaggio chiave: solo le molecole di interesse, adeguatamente marcate, producono il segnale alla base del processo di formazione dell’immagine. Il microscopio ottico, utilizzando lenti di forma rotonda, consente di vedere meglio i dettagli rispetto all’occhio nudo entro l’invalicabile limite posto dalla diffrazione. Fu Johannes Faber (1574 -1629), membro della Accademia dei Lincei, nel 1625, in una lettera a Federico Cesi, (1585-1630) riferendosi alla versione che Galileo Galilei (1564- 1642) chiamava occhialino, che introdusse il termine scrivendo: «microscopium nominare libuit».
Il microscopio ottico ebbe un salto quantitativo nel 1873, quando Ernst Abbe (1840-1905) studiò le proprietà della lente e i suoi limiti nel formare un’immagine più o meno dettagliata. Per un microscopio ottico comune, che utilizza luce nell’intervallo spettrale del visibile, la risoluzione spaziale è limitata a circa 0,2 µm in direzione laterale e circa 0,6 µm in direzione assiale. La relazione di riferimento per definire la risoluzione spaziale del microscopio è la nota legge di Abbe:



Dove d è la minima distanza distinguibile tra due punti,  è la lunghezza d’onda, n è l’indice di rifrazione del mezzo tra la lente e l’oggetto e è l’angolo di semi-apertura della lente in uso.

La super-risoluzione

Qui useremo il termine «super-risoluzione» in senso non formale per indicare la capacità raggiunta di discriminare dettagli sotto il limite della formula di Abbe. Ciò che oggi è rivoluzionario, a mio avviso, è il fatto che con i metodi sviluppati da Eric Betzig, Willy Moerner e Stefan Hell non vi è teoricamente alcun limite alla risoluzione spaziale e allo stesso tempo vi è la possibilità di modulare la risoluzione spaziale sulla base della domanda scientifica posta.
In microscopia ottica in fluorescenza, fondendo i concetti di riduzione del campo di vista e di miglioramento del rapporto segnale-rumore, sono stati ottenuti avanzamenti nella risoluzione spaziale a discapito del tempo. Tali progressi sono stati conseguiti nella microscopia confocale e in quella a due fotoni.
L’immagine formata dai moderni microscopi a fluorescenza in regime di super-risoluzione è qualcosa di simile a un dipinto puntinista realizzato con un pennello «superfine». La chiave del successo deriva dalla fusione dell’ottica con la fotofisica/chimica di molecole fluorescenti.
È interessante notare, proprio in considerazione di un approccio «puntinista» nella formazione dell’immagine, che quando molecole fluorescenti spettralmente identiche, distribuite nello spazio a distanze superiori rispetto al limite di diffrazione, vengono osservate attraverso una lente, le rispettive emissioni possono essere confuse spazialmente.
Tale situazione di confusione è stata superata proprio bloccando l’emissione simultanea di fluorofori adiacenti e spettralmente identici. Il concetto in termini di implementazione pratica è legato alla possibilità di controllare con precisione nel tempo e nello spazio i diversi stati delle molecole fluorescenti in uso. Si possono avere stati acceso o spento, emissione in colori differenti, variazioni nella durata del tempo di vita della fluorescenza e così via.



Il metodo di Hell

All’inizio degli anni 1990, Stefan Hell mostrò in maniera quantitativa le condizioni sperimentali per il nuovo concetto di microscopia a deplezione mediante emissione stimolata (STED). Successivamente mise a punto un microscopio a fluorescenza per fornire la prova di principio sperimentale di funzionamento della microscopia STED.

Due fasci laser sono utilizzati in un sistema di scansione. Il primo è utilizzato per eccitare fluorofori nel campione all’interno di una regione spaziale con diffrazione limitata (forma circolare), il secondo è comunemente spostato verso il rosso rispetto al primo fascio ed esibisce un profilo ad alta intensità con un minimo di intensità pari a zero al centro della regione focale che cresce in tutte le direzioni rispetto al fuoco (forma a ciambella).
[A sinistra: Stefan W. Hell (1962-…) – Max Planck Institute for Biophysical Chemistry, Göttingen – Germany, German Cancer Research Center, Heidelberg – Germany]
Il ruolo del secondo fascio, di solito chiamato fascio STED, è di «spingere» rapidamente i fluorofori che sono stati eccitati dal primo fascio allo stato fondamentale. Ottimizzando le caratteristiche del fascio e le sequenze di impulsi per l’eccitazione e dei fasci STED, la fluorescenza eccitata dal primo fascio viene estinta ovunque tranne che nella regione vicina allo zero del fascio STED.
L’incremento dell’intensità ( I ) del fascio STED restringe notevolmente questa regione in funzione dell’aumento della probabilità di deplezione. L’estensione risultante della regione fluorescente nel piano laterale cresce secondo la formula:



Che può essere considerata come una variante dell’equazione di Abbe.
Da questa espressione consegue che la «barriera» di risoluzione imposta dal limite di Abbe viene annullata. La proprietà, Isat, è l’intensità necessaria per ridurre del 50% il numero di molecole che popolano lo stato eccitato per una specifica molecola fluorescente ed è una proprietà fotofisica/chimica della molecola utilizzata.

 

Il miglioramento è applicabile anche al caso di eccitazione a due fotoni. Inoltre utilizzando concetti basati sul tempo di vita media della fluorescenza è possibile ottenere super-risoluzione a ridotte intensità del fascio di deplezione. Sono state altresì realizzate la super-risoluzione a tre dimensioni e una parallelizzazione del concetto in favore della velocità di formazione delle immagini. Un aspetto rilevante riguarda il fatto che questo metodo permette di ottenere super-risoluzione senza necessità di alcuna elaborazione computazionale.

 

I metodi di Betzig e Moerner
Eric Betzig e Willy Moerner utilizzano una via differente per realizzare immagini in super-risoluzione spaziale.
[A destra: Eric Betzig (1960-…) – Janelia Research Campus, Howard Hughes Medical Institute, Ashburn, VA, USA]
I loro metodi che si basano sulla possibilità di localizzare con estrema precisione singole molecole sono però legati a un certo onere computazionale nella formazione delle immagini. I risultati pionieristici ottenuti nel laboratorio di Moerner nel 1989 su singole molecole diedero un impulso significativo al campo della localizzazione di singola molecola fino ad arrivare alle applicazioni in microscopia, dimostrando che era possibile analizzare singole molecole fluorescenti in termini sia di assorbimento che di emissione.
[A sinistra: William E. Moerner (1953-…) – Stanford University, Stanford, CA, USA]
Betzig ha iniziato la sua ricerca nello studio delle singole molecole fluorescenti applicando la microscopia a scansione in campo vicino su superficie ottenendo risultati di super-risoluzione. I metodi a singola molecola vanno qui intesi come una classe di tecniche per le quali una super-risoluzione spaziale si ottiene dalla possibilità di localizzare con precisione teoricamente illimitata le singole molecole considerate come sorgenti puntiformi di fotoni.
La parola chiave più importante è legata alla conoscenza del fatto che l’emissione deriva da singole molecole. In questo contesto, il sistema di rilevamento del microscopio riceve fotoni dalle singole molecole immerse in un ambiente denso alla risoluzione ottica, (si veda la formula [1]).
Se le singole molecole fluorescenti emettono attivamente da collocazioni sparse, ovvero si trovano, quando emettono, a distanze superiori al limite di diffrazione, allora, trascurando il rumore di fondo e la discretizzazione in punti immagine elementari (pixel) si possono considerare le molecole fluorescenti una per una. In questo caso, il centro della regione di emissione della singola sorgente puntiforme può essere stimata con un errore s lungo le coordinate x e y, dato da:

S=d /√N                                            [3]

Dove N è il numero totale di fotoni registrati dal rivelatore e d è uguale al limite di diffrazione di Abbe nella relazione [1]. Quindi, la capacità di localizzare una sorgente puntiforme è migliorata rispetto al limite originale di Abbe di un fattore 1/√N.

Ciò significa che con 10000 fotoni rilevati da una singola molecola fluorescente si ottiene un fattore di 100 volte inferiore al limite di Abbe.
Dunque, con un numero crescente di fotoni rilevati non vi è alcun limite per un possibile miglioramento della risoluzione spaziale.
Betzig nel 1995 suggerì di determinare le posizioni di un gran numero di sorgenti puntiformi con proprietà spettrali distinguibili in due fasi, ovvero: la determinazione indipendente del PSF di ciascuna classe spettrale; la stima in super-risoluzione dei centri delle PSF con la precisione calcolata in base alla formula [3]. Infine, combinando le posizioni è possibile realizzare un’immagine ad altissima risoluzione come fecero G.J.Brakenhoff e collaboratori nel 1998, implementando una versione non ottimizzata dell’idea di Betzig.
L’avvento delle proteine fluorescenti verdi (GFP, Green Fluorescent Protein), generalmente non tossiche ed esprimibili in diversi organismi con effetti trascurabili sulla loro fisiologia, spinse Moerner a studiare il comportamento dei mutanti di GFP a livello di singola molecola nel 1997.
Così è stato scoperto un comportamento «intermittente» che porta la molecola a uno stato finale stabile spento la cui fluorescenza può essere ripristinata mediante irradiazione a una lunghezza d’onda diversa. Gli stati acceso e spento delle molecole potevano dunque essere controllati dalla luce.
G. Patterson e J. Lippincott-Swartz eseguirono un esperimento chiave che dimostrò le foto-proprietà di varianti foto-attivabili (PA) di GFP nel 2002. Le molecole, inizialmente inattive in termini di fluorescenza, possono essere attivate da un opportuno irraggiamento e quindi essere in grado di emettere fluorescenza quando eccitate ad una certa lunghezza d’onda. Come tutte le molecole fluorescenti, tali PA-GFP possono essere permanentemente inattivate mediante fotodecadimento. Betzig immediatamente si rese conto che tali foto-proprietà potevano essere utilizzate per ottimizzare il processo per avere una distribuzione sparsa di molecole fluorescenti all’interno di una densa popolazione.
La soluzione appare oggi come un uovo di Colombo: impiegando una bassa intensità di fotoattivazione si ha una modesta probabilità di fotoattivazione. Dunque si ottiene con buona probabilità un sottoinsieme di molecole attivate sparse. Una successiva eccitazione dell’insieme sparso attivato permette di localizzare le posizioni delle molecole fluorescenti attivate secondo la (3). Diversi insiemi sparsi di molecole possono essere attivati e inattivati permanentemente mediante fotodecadimento fino a che tutti i sottoinsiemi dalla densa popolazione di molecole sono stati campionati e utilizzati per formare un’immagine. Questa immagine risulta essere a super-risoluzione spaziale.
Nel 2006 è stato pubblicato un lavoro fondamentale da Betzig e colleghi che descriveva una tecnica di microscopia con immagini ad altissima risoluzione applicata a una sezione sottile (100 nm) di campione biologico. Il metodo è stato chiamato PALM (Photoactivated Localization Microscopy). Nello stesso anno sia X. Zhuang e collaboratori che S.T. Hess e collaboratori, descrissero metodiche di microscopia a fluorescenza ad altissima risoluzione.
Successivamente l’imaging in campioni spessi è diventato un argomento di interesse come recentemente sottolineato dal Moerner che ha indicato come metodo promettente quello sviluppato nel 2011 presso i laboratori di Alberto Diaspro da Francesca Cella Zanacchi e colleghi e che ha permesso per la prima volta di applicare la microscopia a super-risoluzione a singola molecola su un campione tumorale dello spessore di 200 μm.
Possiamo dire che la formula di Abbe, scolpita nella pietra, è ancora valida e al contempo sgretolata. Il nuovo paradigma della microscopia è basato sul controllo e l’utilizzo di molecole fluorescenti per ottenere una super-risoluzione spaziale modulabile.
Nello stile di Johannes Faber, si può usare la frase nanoscopium nominare libuit per il microscopio a fluorescenza a super-risoluzione che è diventato un nanoscopio in rapida evoluzione verso l’era della Nanoscopia 2.0 .1

 

 

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Alberto Diaspro
(Dipartimento di Nanofisica – Nikon Imaging Center, Istituto Italiano di Tecnologia; Dipartimento di Fisica, Università degli Studi di Genova)

 

 

Nota

  1. Questo lavoro è dedicato alla memoria di Mario Cassano (1922-2014). L’autore è grato a Giuseppe Vicidomini, Paolo Bianchini, Francesca Cella Zanacchi e Colin JR Sheppard per le utili discussioni e a tutto il gruppo di Nanobiofotonica dell’IIT. Una dedica speciale è per Osamu Nakamura (1962-2005) e Mats Gustafsson (1960-2011), scomparsi prematuramente.

 

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 55 di Emmeciquadro