La «freccia del tempo» viene spesso confusa con il popolare concetto di «flusso» o «passaggio» del tempo: un concetto senza significato. Tuttavia, ciò che è indiscutibile è che gli stati fisici dell’Universo evolvono nel tempo, con una direzionalità oggettiva e facilmente osservabile.
L’origine ultima di questa asimmetria nel tempo, collegata al secondo principio della Termodinamica e all’aumento irreversibile dell’entropia, dipende dalla cosmologia e dallo stato dell’Universo al suo inizio.
L’articolo descrive i vari processi fisici che contribuiscono alla crescita dell’entropia, e conclude che la gravitazione possiede la chiave per fornire una spiegazione esauriente di questa elusiva freccia.
L’argomento della «freccia del tempo» è svilito da una terminologia ambigua o inadeguata e dalla confusione dei concetti. Perciò io comincerò il mio intervento definendo con cura i termini.
Per prima cosa un’affermazione incontrovertibile: l’osservazione che gli stati dell’Universo fisico sono distribuiti asimmetricamente rispetto alla dimensione temporale. Un semplice esempio è fornito da un terremoto: il suolo trema e gli edifici cadono. Non ci aspetteremmo la sequenza inversa, nella quale la scossa che subisce il suolo ha come risultato l’assemblarsi di un edificio a partire da un cumulo di macerie.
Nella vita quotidiana siamo circondati da tali processi indirizzati temporalmente. Basta proiettare all’indietro la registrazione di una scena quotidiana – essa ci appare immediatamente rovesciata temporalmente – per vedere come sia insita la direzionalità nel tempo dei processi fisici.
La freccia del tempo e non il flusso del tempo
È consuetudine riferirsi all’asimmetria dei processi fisici (sequenza di stati) nel tempo attaccando una freccia alla sequenza: «la freccia del tempo». Già qui si nasconde un tranello semantico per confonderci. Osservate attentamente che mi sono riferito alla direzione delle sequenze di stati fisici nel tempo, mentre la terminologia consueta è di fissare una freccia «di» tempo. Ciò è seriamente fuorviante. La freccia è una proprietà della sequenza di stati fisici nel tempo, non una proprietà del tempo in sé; è una proprietà del mondo in relazione alla dimensione temporale. […]
C’è ora una seconda, più ostinata, concezione errata di cui devo parlare. Essa riguarda il cosiddetto flusso o passaggio del tempo, su cui molto è stato scritto dai filosofi. Nel linguaggio popolare si descrive spesso il tempo come qualcosa che fluisce o passa. Per aumentare la confusione, la freccia del tempo è spesso identificata con questo flusso o passaggio, con la freccia che punta nella «direzione» in cui si muove il tempo (cioè verso il futuro). Si osservi che questa terminologia mette insieme due diversi modi di usare la freccia. Uno è l’uso di una freccia per indicare una orientazione spaziale (come per l’ago di una bussola), e l’altro è il paragone con una freccia in volo, che simboleggia la direzione del moto.
Si mostra facilmente come sia sbagliato assegnare il movimento come una proprietà del tempo. Il movimento descrive il cambiamento di stato di qualcosa (per esempio la posizione di una palla da un tempo t1 a un tempo successivo t2. Il tempo in sé non si può «muovere» a meno che non ci sia una seconda dimensione temporale relativamente alla quale si possa giudicare il suo moto. La domanda: «quanto in fretta passa il tempo?» ha la sola risposta banale «un secondo ogni secondo», in effetti una tautologia. Per attribuire in modo significativo un moto o una velocità di passaggio del tempo, come si potrebbe stabilire se questa velocità cambia? Quale differenza si dovrebbe osservare nel mondo se il tempo accelerasse o rallentasse? Del resto possiamo facilmente immaginare che le percezioni umane degli eventi nel tempo siano più veloci o più lente, come quando guardiamo la moviola delle azioni nello sport, ma ciò corrisponde a un mondo in cui la velocità dei processi cerebro/mentali rimane inalterato, mentre viene cambiata la velocità di ogni altra cosa.
Modi di parlare informali come «la gravità rallenta il tempo» e «il tempo scorre più veloce nello spazio che sulla Terra» alimentano la confusione. Ciò che queste affermazioni significano è che le lancette di orologi nello spazio ruotano più velocemente rispetto alle lancette di orologi identici sulla Terra. Si può verificare ciò confrontando le configurazioni spaziali degli orologi.
La terminologia più scorretta di ogni altra è quella di parlare del «tempo che scorre all’indietro» Il tempo non «scorre» del tutto; in effetti l’affermazione si riferisce a un rovesciamento nel tempo (che non cambia) della normale sequenza direzionale degli stati fisici, per esempio delle rovine che sono assemblate in edifici. Non è il tempo in sé, ma la sequenza di stati che «va all’indietro». Tutto ciò è stato precisato dai filosofi da più di un secolo, la metafora del fiume del tempo è così potente che nel parlare normalmente è difficile non scivolare dentro di essa. Difficile, ma non impossibile.
Ogni affermazione sul mondo che fa riferimento al passaggio del tempo può essere rimpiazzata da un’asserzione più complessa che non fa alcun riferimento al passaggio del tempo, ma correla puramente stati del mondo in vari istanti agli stati cerebro/mentali in questi stessi istanti. Si consideri per esempio la frase: «Con grande aspettativa abbiamo osservato affascinati il tramonto del Sole sull’oceano alle ore 18.00».
Esattamente gli stessi fatti osservabili possono essere comunicati da questa poco elegante espressione «La configurazione dell’orologio alle ore 17.50 è associata al Sole sopra l’orizzonte, essendo lo stato celebro/mentale degli osservatori uno stato di aspettativa; la configurazione dell’orologio alle ore 18.10 è associato al Sole sotto l’orizzonte essendo lo stato celebro/mentale degli osservatori uno stato di persone affascinate».
Prima che io lasci l’argomento del flusso (illusorio) del tempo, lasciatemi trattare di un’ultima concezione errata che è molto comune. L’affermazione che il flusso del tempo non esiste è spesso confusa con l’affermazione che il tempo stesso non esiste. Quest’ultima è sciocca come se si dicesse che, se una palla è ferma, allora lo spazio non esiste. Naturalmente il tempo esiste. Noi misuriamo intervalli di tempo con gli orologi, come misuriamo intervalli di spazio con i righelli. Inoltre, non solo gli intervalli di tempo esistono, ma istanti di tempo possono essere ordinati esaminando sequenze di stati fisici.
C’è una chiara direzionalità in questo ordine, con una freccia del tempo usata in questo caso (correttamente) nel senso che si può attaccare simbolicamente una freccia a una direzione di sequenza di stati fisici, come quella di edifici che crollano. Questa proprietà (di poter attaccare una freccia) è una proprietà degli stati del mondo in relazione al tempo. Non è una proprietà del tempo. Dato che, allora, una freccia del tempo nel modo che ho descritto è una proprietà genuina dell’Universo fisico, è naturale cercare una spiegazione per la sua origine. Così da dove «proviene» questa freccia?
L’Entropia e la seconda legge della Termodinamica
Lo studio sistematico della freccia del tempo cominciò sul serio nella metà del diciannovesimo secolo con lo sviluppo della Termodinamica e della Meccanica Statistica.
Una semplice rappresentazione della freccia del tempo può essere quella che si ottiene immaginando una scatola rigida e impenetrabile divisa in due da una barriera. Da una parte della barriera c’è il gas A, dall’altra parte il gas B. La barriera è poi rimossa e i due gas si mescolano, dato che le loro molecole, muovendosi caoticamente, si urtano in modo casuale. Dopo un certo tempo i due gas sono mescolati in modo omogeneo. Non ci aspettiamo la sequenza inversa di eventi, nella quale due gas completamente mescolati si separano spontaneamente e si ritirano negli angoli opposti della scatola. Il processo di mescolamento produce così un chiaro esempio della freccia del tempo. Una variante dell’esperimento precedente si ha quando i gas sono dello stesso tipo, ma con temperature differenti. Quando la barriera è rimossa il calore fluisce dal gas più caldo a quello più freddo.
La spiegazione del fenomeno è evidente: le molecole del gas più caldo in media si muovono più velocemente, così negli urti con le molecole del gas più freddo che si muovono più lentamente un po’ di energia cinetica viene trasferita dalle molecole più veloci a quelle più lente. Il processo continua finché si raggiunge una temperatura uniforme in ogni parte del gas, uno stato che corrisponde all’equilibrio termodinamico, nel quale in media non c’è alcun scambio di energia.
Dopo la sua formulazione avvenuta nella metà del diciannovesimo secolo, il secondo principio della Termodinamica trovò presto una vasta gamma di applicazioni, non solo in Fisica, ma anche in astronomia, chimica, biologia e in ingegneria. In effetti, (quasi) dovunque è osservata una freccia del tempo, si manifesta il secondo principio della Termodinamica. […]
Da dove si origina il secondo principio della Termodinamica?
I fisici del diciannovesimo secolo, in particolare Ludwig Boltzmann (1844-1906) e James Clerk Maxwell (1831-1879), si accinsero a ricavare la seconda legge della Termodinamica, almeno nel semplice caso di un gas contenuto in un recipiente, considerando la meccanica delle singole molecole costituenti il gas.
Boltzmann studiò cosa sarebbe successo a un insieme di molecole confinate in un contenitore rigido, che obbedivano alle leggi della meccanica newtoniana, muovendosi in ogni direzione e urtandosi a vicenda e con le pareti del recipiente.
Egli fu in grado di dimostrare matematicamente, considerando il comportamento medio di un gran numero di molecole, che, se il gas non era in uno stato di massima entropia, allora gli effetti delle collisioni molecolari avrebbero avuto come conseguenza un aumento dell’entropia.
[A sinistra: Ludwig Boltzmann (1844-1906)]
Tuttavia divenne presto evidente che c’era un problema. Le leggi della meccanica newtoniana a cui si appellava Boltzmann per descrivere il moto delle molecole sono simmetriche rispetto a un’inversione temporale: non hanno insita una direzione temporale.
Così ogni data collisione molecolare è reversibile: facciamo scorrere all’indietro le traiettorie delle molecole ed esse torneranno alla loro configurazione iniziale. In linea di principio, se uno potesse invertire simultaneamente tutti i movimenti molecolari allora due gas completamente mescolati si potrebbero separare e ritirarsi alle estremità opposte del recipiente. Inoltre il matematico e fisico Henri Poincaré (1854-1912) fu in grado di dimostrare che, dato un tempo sufficientemente lungo, sarebbe capitato proprio questo processo di separazione. […]
La cosiddetta ricorrenza di Poincaré richiede tuttavia una sbalorditiva quantità di tempo. Per pochi grammi di aria contenuta in un recipiente, bisognerebbe aspettare un tempo maggiore dell’età dell’Universo perché l’azoto e l’ossigeno si separino e si addensino alle estremità opposte del recipiente.
Benché queste prime analisi formali si riferissero a semplici molecole confinate in un recipiente, la maggior parte delle conclusioni si estesero a tutte le susseguenti generalizzazioni comprendenti quasi tutti i fenomeni fisici. La seconda legge della Termodinamica, originandosi inevitabilmente da redistribuzioni statistiche tra molte parti componenti provenienti da configurazioni più o meno ordinate, è generalmente considerata come la legge di natura più diffusa e più solidamente fondata. Benché invertire simultaneamente il moto di mille miliardi di molecole sia impraticabile, e nessuno possa aspettare fino ad assistere a un comune processo termodinamico che vada all’indietro, queste analisi matematiche del diciannovesimo secolo servirono a mettere in evidenza che la freccia del tempo non è intrinseca al sistema stesso (per esempio un contenitore di gas), o alle leggi che governano la sua evoluzione.
Piuttosto, l’origine della freccia del tempo risiede nelle condizioni iniziali. Se un sistema come quello di un recipiente contenente gas parte in uno stato relativamente ben ordinato (bassa entropia), come nel caso dei due gas separati spazialmente, allora con alta probabilità il sistema evolverà in seguito verso uno stato meno ordinato. Questo principio di tendenza dall’ordine al disordine descrive tutte le quotidiane esperienze relative alla freccia del tempo (come quella degli edifici ordinati che collassano in maceria disordinata). […]
Il principio di un ordine che lascia strada al disordine descrive anche la freccia del tempo su una scala più grande. Nei nostri dintorni cosmici l’esempio più cospicuo del secondo principio della Termodinamica è quello del flusso di calore che emana dal Sole nelle fredde profondità dello spazio. L’energia immagazzinata nel Sole sotto forma di nuclei di idrogeno viene convertita, attraverso reazioni termonucleari, in fotoni. Per ciascun nucleo di idrogeno che si fonde, milioni di fotoni si diffondono dalla superficie del Sole nelle lontane distanze dell’Universo per non tornare mai: un impressionante esempio di energia ordinata (concentrata in un protone) che viene convertita in energia meno ordinata (molti fotoni dispersi attraverso lo spazio).
Lo stesso processo generale avviene anche nell’Universo quando le stelle ardono per mezzo della loro riserva di combustibile nucleare, ed eventualmente muoiono, formando sia nane bianche, sia stelle di neutroni o buchi neri. Così l’intero Universo è uno scivolo dall’ordine al disordine, dalla bassa entropia all’alta entropia. Quando questo fatto fondamentale fu compreso nella metà del diciannovesimo secolo, Herman von Helmholtz (1821-1894) e Lord Kelvin (William Thompson, 1824-1907) si riferirono a esso come «la morte termica dell’Universo». […]
Lo stato iniziale dell’Universo
Se la sorgente della freccia del tempo è associata alle condizioni iniziali, allora quando applichiamo il secondo principio della Termodinamica all’Universo come un tutto, dobbiamo considerare lo stato dell’Universo al tempo della sua origine con un Big Bang. Ci aspettiamo che lo stato dell’Universo iniziale dovesse avere un valore di entropia più basso di quello dello stato attuale. Ma a prima vista sembra che qui ci sia un paradosso.
Le misure, come quelle eseguite dal satellite Planck dell’Agenzia Europea dello Spazio, indicano che l’Universo iniziale era in uno stato vicino alla massima entropia, con la materia e la radiazione termica diffuse in modo omogeneo nello spazio in equilibrio termodinamico a una stessa temperatura (molto alta). In effetti, lo spettro della radiazione termica rilasciata dal Big Bang segue un andamento da manuale per una radiazione in equilibrio termodinamico con la materia (il cosiddetto spettro di Planck o di corpo nero) con un livello di precisione mai verificato prima. Ma se l’Universo cominciò in equilibrio, perché adesso è in uno stato di non equilibrio, mentre il secondo principio della Termodinamica esige una tendenza opposta?
L’entropia gravitazionale
La risposta ha a che fare con la natura della gravitazione. Ritorniamo all’esempio del contenitore di gas. Supponiamo che lo stato iniziale consista di un gas di idrogeno ad alta temperatura concentrato in una piccola zona vicino al centro del contenitore.
Questo stato ordinato a bassa entropia scompare immediatamente nel momento in cui il gas si espande nel vuoto intorno a esso e riempie il contenitore con densità uniforme e massima entropia. In accordo con il secondo principio della Termodinamica non vi aspettereste di imbattervi in un contenitore uniformemente riempito di gas, nel quale il gas spontaneamente e improvvisamente imploda verso il centro.
Ora supponete che questa situazione sia riportata alla scala delle dimensioni astronomiche, così che non si possano trascurare gli effetti gravitazionali del gas. Le nostre aspettative sono ora molto differenti. Non sorprenderebbe osservare una vasta nube di gas diffusa che si contrae verso il centro. In effetti, è precisamente questo il nostro modo di comprendere come le stelle si formino da gigantesche nubi di molecole distribuite nella galassia.
Come l’Universo si espanse e raffreddò il grado di compattamento attraverso l’Universo si amplificò, alzando l’entropia gravitazionale e rendendo complessa la struttura del campo gravitazionale, ma allo stesso tempo conducendo materia e radiazione fuori dall’equilibrio.
Noi ora ci troviamo in una tipica collocazione cosmica, vivendo vicino a una sfera di gas caldo concentrato per effetto della gravità e circondato da un freddo spazio vuoto: il Sole e i suoi dintorni si trovano a uno stato di entropia materia/radiazione inferiore al massimo, come bilanciamento dello stato di entropia superiore al minimo della configurazione gravitazionale del sistema solare. Questo bilanciamento non è tuttavia a somma nulla. Globalmente l’entropia è aumentata. L’entropia gravitazionale del Sole non è tuttavia in alcun modo vicina al suo massimo. Le stelle evitano un’ulteriore contrazione dovuta alla loro auto-attrazione gravitazionale solo in virtù del loro calore interno, una situazione mantenuta dalla generazione di energia termonucleare nei loro nuclei. Quando il carburante viene a mancare, le stelle si contraggono, o lentamente, o talora in modo catastrofico.
L’ultimo stato finale di questo processo è un buco nero, corrispondente a un oggetto completamente imploso. Se un buco nero fosse totalmente «nero», cioè alla temperatura dello zero assoluto, allora la sua entropia sarebbe infinita (una misura dell’entropia è l’energia termica divisa per la temperatura). Tuttavia nel 1975 Stephen Hawking (1942-…), attingendo a un precedente lavoro di Jacob Bekenstein (1947-…), mostrò come la meccanica quantistica consenta ai buchi neri una temperatura finita, permettendo di assegnare un preciso valore all’entropia di un buco nero di data massa, carica elettrica e momento angolare. Nel caso di un buco nero di massa solare questa entropia è circa 1018 volte più grande dell’entropia del Sole, cosa che illustra in modo impressionante quanto lontana sia la configurazione del Sole dal suo stato di massima entropia.
Usando la formula di Bekenstein-Hawking per l’entropia di un buco nero, Roger Penrose (1931-…) calcolò quanto lontano sia lo stato dell’Universo iniziale dal valore massimo. L’entropia attuale è circa 10100 ?B (dove ?B, l’unità di entropia, è nota come la costante di Boltzmann). All’epoca (circa quattrocentomila anni dopo il Big Bang) a cui si riferiscono le misure del satellite Planck, l’entropia era molto più bassa, circa 1090 ?B. Ma il massimo possibile di entropia per l’Universo è circa 10123 ?B. Così l’entropia all’epoca attuale, nonostante la sua enorme crescita negli ultimi 13 miliardi di anni, rimane tuttavia eccezionalmente piccola (10-23) rispetto al massimo valore.
L’origine della freccia
Abbiamo quindi una chiara spiegazione per la freccia del tempo. L’Universo è partito con uno stato gravitazionale di bassa entropia e in uno stato radiazione/materia di alta entropia. Con l’evoluzione dell’Universo, l’entropia del campo gravitazionale è aumentata, e in cambio si è stabilito un disequilibrio termodinamico nei gradi di libertà della materia e della radiazione. Quest’ultimo disequilibrio, esemplificato dal gradiente termico intorno al Sole, regola la maggior parte dei familiari processi quotidiani, sulla Terra e vicino a essa, che generano entropia e manifestano una freccia del tempo.
Questi processi hanno una lunga via da percorrere prima che l’Universo raggiunga l’equivalente moderno della morte termica del diciannovesimo secolo (la massima entropia). Ma questo semplice riassunto sorvola su molti dettagli come per esempio: la gravitazione e l’energia oscura1, l’entropia gravitazionale2, l’entropia subito dopo il Big Bang3.
Come si spiegano le condizioni iniziali?
Il tema principale del lavoro in corso è l’origine dello stato gravitazionalmente uniforme, a bassa entropia dell’Universo iniziale. Per spiegare la freccia del tempo mi sono appellato a delle condizioni cosmologiche iniziali molto speciali; come si possono spiegare queste condizioni iniziali?
Non c’è accordo sulla risposta alla domanda del perché, o del come, l’Universo che conosciamo sia emerso dal Big Bang in uno stato di bassa entropia gravitazionale. Io citerò qui tre possibili risposte. La prima è quella di accettare semplicemente le condizioni come un dato di fatto, in modo molto simile a quello in cui la maggior parte dei fisici accetta le leggi della Fisica come dati di fatto: essi non cercano una spiegazione.
La seconda risposta è quella di appellarsi a un processo fisico conosciuto come «inflazione», che è l’attuale spiegazione standard delle prime fasi dell’Universo. Secondo la teoria dell’inflazione subito dopo il Big Bang l’Universo aumentò la sua dimensione (si «inflazionò») di uno straordinario fattore, guidato da un grande impulso di «antigravità» o di energia oscura, del tipo sopra accennato, ma enormemente più grande come intensità, con un Universo che raddoppiava la sua grandezza ogni 10-34 s.
Durante questa fase inflazionaria, ogni precedente irregolarità nella distribuzione di materia ed energia fu appiattita fino a sparire, garantendo che, quando l’Universo fosse uscito da questo breve episodio di espansione frenetica e accelerata, sarebbe stato reso eccezionalmente uniforme, un po’ come un pallone rugoso diventa liscio quando viene gonfiato.
L’inflazione cerca in qualche modo di spiegare lo stato a bassa entropia dell’Universo iniziale, ma sposta solo di un passo indietro la questione dell’origine ultima della freccia del tempo. L’inflazione non è un episodio di magia, ma un meccanismo fisico che di per sé richiede certe condizioni iniziali (i dettagli non ci riguardano). Così ci si può ancora chiedere perché l’Universo è iniziato con il meccanismo inflazionario predisposto all’azione.
Una possibile via di soluzione circa questo problema implica l’estensione della teoria a quella che vien detta un’eterna inflazione. In questa rappresentazione uno sguardo di un occhio divino rivelerebbe una inflazione senza inizio né fine; è lo stato naturale permanente delle vicende cosmiche. Ciò che succede e che «bolle» di uno spazio che si espande, ma senza inflazione, scappano via casualmente da questa superstruttura inflazionaria, ciascuna nuova bolla rappresentando un Big Bang. Così il Big Bang che ha dato inizio al nostro Universo è solo uno nel numero infinito di Big Bang sparsi attraverso uno spazio tempo sempre in inflazione, ciascuno automaticamente reso omogeneo dalla precedente inflazione. […]
Un approccio differente è quello di ricorrere alla cosmologia quantistica, una tematica introdotta da John Wheeler (1911-2008) e Bryce DeWitt (1923-2004), e ulteriormente sviluppata da James Hartle (1939-…) e Stephen Hawking. Applicando la meccanica quantistica all’Universo come un tutto, si assegna una funzione d’onda per rappresentare lo stato di ogni cosa, incluso il campo gravitazionale. Nella meccanica quantistica la funzione d’onda consiste nella sovrapposizione di un infinito numero di componenti, con ciascuna componente che rappresenta una possibile realtà.
La maggior parte dei cosmologi quantistici accetta l’interpretazione dei multi-universi, secondo la quale ogni componente possiede un eguale statuto ontologico, e così rappresenta a buon diritto una completa storia cosmica. Così la cosmologia quantistica ci si presenta con una descrizione in cui (generalmente in modo infinito) molti universi coesistono e sviluppano storie alternative in una realtà parallela. […]
Le spiegazioni per l’origine della freccia del tempo qui descritte brevemente sono fondate sul modello standard della cosmologia, con tutte le sue implicite assunzioni sulla natura dello spazio, del tempo, della gravità, della materia e delle leggi immutabili.
È assolutamente possibile che questa struttura concettuale estremamente intricata sia un giorno rimpiazzata da qualcosa di radicalmente differente (per esempio leggi dipendenti dal tempo, spaziotempo come qualcosa che compare), nel qual caso bisognerebbe vedere l’origine della freccia del tempo in un modo completamente differente. […]
[traduzione di Lorenzo Mazzoni]
Paul Davies
(Direttore del Centro per i Concetti fondamentali della Scienza (BEYOND), Università dello Stato dell’Arizona)
(Il testo completo, The arrow of time, corredato da un’ampia bibliografia di approfondimento è riportato in: Euresis Journal, agosto 2014)
Note
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Il destino ultimo dell’Universo è ben lungi dall’essere certo. I dati sperimentali attuali favoriscono un Universo dominato dall’«energia oscura», un tipo di energia del vuoto che «antigravità», e così, a differenza della normale attrazione gravitazionale che concentra la materia in blocchi, spinge in fuori la materia verso stati meno disomogenei. Alla fine l’espansione verso esterno può essere dominante sulla contrazione.
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Non c’è una definizione generale di entropia del campo gravitazionale che incorpori i buchi neri, l’energia oscura e vari stati della materia, così che le precedenti considerazioni in termini di entropia gravitazionale devono considerate come informali e non rigorose.
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La storia dell’Universo da 400000 anni in avanti, che io ho delineato, tralascia le complessità della storia dell’entropia nel periodo che va dal momento del Big Bang fino a 400000 anni. Ciò comprende le interazioni con altri protagonisti, come i neutrini e le particelle supermassive che possono aver dominato lo stato dell’Universo prima di 10-34 s. La «storia dell’entropia» dell’Universo durante la prima frazione di secondo è un work in progress, ma certamente comprende almeno un’epoca di non equilibrio, durante la quale fu stabilita la (piccola) asimmetria tra la materia e l’antimateria.
© Pubblicato sul n° 56 di Emmeciquadro