La posta in gioco in un discorso sull’insegnamento delle discipline scientifiche è molto alta: non si tratta solo di ammodernamento, aggiornamento, competitività e confronti internazionali. In ogni lezione, come pure in ogni riflessione in merito, è in gioco una visione dell’uomo, del valore della conoscenza, delle condizioni che rendano autentica un’esperienza educativa.
Vorremmo indicare tre parole che sintetizzano i fattori principali in questione e tracciano le linee non tanto di un dibattito quanto piuttosto di un impegno che dovrebbe coinvolgere tutti. Le parole sono: realtà, verità, esperienza.
Riguardano contenuti già messi a tema, da diverse angolature e a diversi livelli di approfondimento, su queste pagine (e la consultazione dello Storico della rivista, che abbiamo recentemente messo a disposizione, può consentire di ripercorrere le tappe di un cammino dove proposte, anche lontane nel tempo, conservano una loro sorprendente attualità). Sono argomenti che rischiano di essere trattati, nel migliore dei casi, come premesse, come affermazioni generali che non toccano il vivo della quotidianità e che non sembrano di grande aiuto nell’affrontare i problemi e le situazioni, difficili o meno, di ogni giorno.
La realtà è spesso la grande assente quando si insegnano le scienze e la matematica. Assente a causa di una concezione astratta e formalistica della conoscenza scientifica; e anche per un’idea di scuola che non considera le discipline come luoghi preferenziali dell’incontro e del rapporto col reale. Si potrà obiettare che se c’è un’epoca in cui la realtà è entrata nella scuola, questa è l’attuale: oggi chi vive nella scuola, gli studenti in primis, vi porta tutta il carico dei problemi, dei bisogni, dei disagi vissuti in altri ambiti; e così nella scuola c’è un gran lavoro di comprensione delle situazioni più critiche e ci sono tanti tentativi di supportare i casi difficili e speciali.
Manca però l’idea che la realtà passi dalla disciplina: per molti studenti quando si parla di fisica, di chimica, di biologia non si stanno descrivendo fenomeni che accadono davvero; per molti, le formule e le leggi sono pure costruzioni matematiche e non rappresentano relazioni tra caratteristiche reali di oggetti reali.
Quando, talora, la realtà entra in scena, lo fa in una modalità puramente spettacolare, appariscente ed emozionale; quindi lontana dalla «realtà reale». La conseguenza è il destarsi di un interesse momentaneo, al più di una curiosità superficiale: in effetti, come si fa ad appassionarsi a dei formalismi e a delle pure convenzioni?
Invece, nelle nostre aule può riaccadere quello che è accaduto nella storia, dove l’aderenza alla realtà – come sostiene Alberto Strumia nell’intervista in questo numero – è uno dei caratteri «che ha reso affascinante la scienza, fin dall’antichità, ma soprattutto a partire dal diciassettesimo secolo».
Con una realtà che si rende evanescente dietro ai modelli e alle teorie, si indebolisce anche la molla che alimenta la curiosità e che motiva la fatica del conoscere: la tensione alla verità. È una delle parole più scomode e accuratamente evitate anche negli ambienti scolastici; ma, come sostiene ancora Strumia ribaltando la celebre dichiarazione di Marx, «lo scienziato vuole conoscere il mondo, non gli basta manipolarlo». E questa finalità della ricerca scientifica può e deve essere anche una finalità del lavoro educativo.
Anzi, si possono scoprire – come fa Marco Bramanti parlando di Matematica e ricerca della verità – molti aspetti, per esempio, della pratica della ricerca matematica che hanno una grande valenza analogica rispetto alla personale ricerca di valori e significati. Uno per tutti la passione, che determina dedizione e forza nell’impegno: una parola, quest’ultima, che viene spesso evocata nella scuola, in genere come esortazione moralistica, ma che può scaturire solo da un atteggiamento come quello espresso da Laurent Lafforgue, citato da Bramanti: «I matematici e i fisici si investono nella loro ricerca completamente. Per risolvere un problema o fare una scoperta devono lasciarsi abitare da una domanda giorno e notte, addirittura durante il sonno».
Così la scuola, e in essa l’insegnamento scientifico, può tornare a essere esperienza, cioè comunità di soggetti interessati all’incontro tra loro e con gli oggetti (la realtà).
Ciò richiede, prima e più ancora delle tecniche (innovative) e dei programmi (rinnovati) la disponibilità al coinvolgimento di maestri e allievi in un cammino di domanda, di scoperta, di verifica. In modo che si possa sempre abbozzare una risposta alla domanda «Vale la pena?».
Mario Gargantini
(Direttore della rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 56 di Emmeciquadro