Un contributo di argomento «biologico» per impostare percorsi didattici «forti» nella formazione della persona.
Il tema del metodo è trasversale a tutte le discipline scientifiche: la scienza della vita nasce proprio quando i ricercatori, tra essi Redi, Spallanzani, Pasteur, utilizzano in modo rigoroso il metodo sperimentale. La prassi diffusa di circoscrivere la didattica della biologia ai contenuti di tipo molecolare – DNA e dintorni – censura la ricchezza di esperienza e di specializzazione del metodo che si ritrova lungo la storia delle principali scoperte sui viventi e sul loro mondo.
Come documentato più volte in questa rivista, insegnare facendo riferimento al cammino di una disciplina non aumenta le difficoltà di comprensione, anzi dà significato a informazioni complesse che, altrimenti, sarebbero solo memorizzate.



Gran parte della biologia si è sviluppata grazie a osservazioni compiute a occhio nudo e a sperimentazioni basate su cambiamenti percepibili dall’occhio umano o misurabili con semplici strumenti. Si sono costruite così le basi della botanica, della zoologia, dell’anatomia.
Nell’arco di due secoli, tra il XVII e il XIX secolo, l’opera di alcuni scienziati ha di fatto impostato la struttura della moderna biologia. Dai dati raccolti si sono elaborati quadri sintetici come la sistematica e teorie come quella dell’evoluzione, nella linea di ricerca sulla varietà dei viventi; inoltre, hanno trovato risposta domande fondamentali come quelle sulla generazione di nuovi organismi e sulla trasmissione dei caratteri di generazione in generazione.
In questo contributo percorreremo gli inizi della biologia sperimentale attraverso le figure di Niccolò Stenone e Antonio Vallisneri, facendo riferimento all’ampia documentazione già pubblicata su questa rivista e sottolineando come la loro opera si strutturi attorno al rigore dell’osservazione e della sperimentazione.1,2
Ma, soprattutto, vedremo come gli esperimenti di Francesco Redi nel XVII secolo, di Lazzaro Spallanzani nel XVIII secolo, e di Louis Pasteur nel XIX secolo3 non solo abbiano risolto definitivamente il dibattito sulla generazione spontanea, trascinatosi per secoli, ma abbiano stabilito un punto di non ritorno nei metodi con cui procede la ricerca biologica, aprendo la via anche alla verifica sperimentale delle modalità con cui si trasmette la vita di generazione in generazione (per esempio nel dibattito tra spermisti e ovisti).
Gli schemi semplificati di questi esperimenti storici sono anche un suggerimento per attività di laboratorio nella scuola secondaria e/o per una riflessione sui metodi e le procedure sperimentali.



Agli albori della scienza: osservare e sperimentare

Già prima del Seicento lo studio della vita è radicato nelle osservazioni accurate, nelle dissezioni e in alcuni casi anche in una sorta di «verifica sperimentale»; per esempio, nel medioevo Alberto Magno, per studiare lo sviluppo del pulcino allevava le uova e osservava le varie fasi dello sviluppo. Ma le categorie sperimentali fondamentali entrano in campo, nello studio della vita, con l’opera di personalità significative non solo per le scoperte compiute, ma perché realizzano, anche nelle scienze della natura, il passaggio da una conoscenza acquisita prevalentemente sui testi, a una conoscenza conquistata direttamente sul campo. «Nel 1600, agli albori dello sviluppo della scienza e del pensiero scientifico, Galileo aveva aperto con determinazione la strada e Cartesio (1596-1650) aveva teorizzato con acutezza e spregiudicatezza il metodo. Ora tutto era da fare e inventare, la natura era lì, libro immenso e affascinante da guardare e avvicinare in modo nuovo, ma occorreva tenere in conto i pesanti condizionamenti culturali dell’ambiente e la difficoltà di saper discernere ciò che della tradizione era perituro e ciò che era valido.».4
Scriveva Francesco Redi, nell’incipit della sua prima opera, Osservazioni intorno alle vipere (1664), «Ogni giorno più mi vado confermando nel mio proposito di non voler dar fede nelle cose naturali, se non a quello che con gli occhi miei propri io vedo, e se dall’iterata e reiterata esperienza non mi venga confermato.»
[A sinistra: Francesco Redi (1626-1698)]
In questa direzione si era già posto anche l’inglese William Harvey almeno per quanto riguarda le sue ricerche, come chirurgo e anatomista, sulla circolazione del sangue negli animali, pubblicate nel 1628 nel libro De motu cordis et sanguinis in animalibus che lo rese famoso in tutta Europa.
[A destra: William Harvey (1578-1657)]
Invece, nell’opera De generatione animalium (1651) non nega la generazione spontanea e l’affermazione nel frontespizio, ex ovo omnia, non è basata su osservazioni o esperimenti, ma è dichiaratamente ispirata alla filosofia aristotelica.



Ipotesi ed esperimenti

Il primo vero esperimento scientifico nella ricerca sulla vita è considerato quello condotto nel 1668 da Francesco Redi per confutare la teoria della generazione spontanea (che affermava che i viventi potessero nascere dalla materia non vivente), sostenuta da Aristotele nella Storia degli animali e che nessuno osava mettere in discussione.

Dopo aver osservato che «dai più diversi tipi di carne di ogni sorta d’animali, lasciati putrefare al caldo e in ambiente aperto nasce gran quantità di vermi, i quali poi, trascorso un periodo quiescente (ninfa o pupa in linguaggio moderno), danno origine ad altrettante mosche», Redi formula l’ipotesi che i vermi «dal seme delle sole mosche derivassero, e non dalle carni stesse imputridate». Suddivide un pezzo di carne in otto barattoli, costituendo tre gruppi: alcuni senza tappo (controllo), altri chiusi con un tappo o con una sottile garza, in modo che potesse penetrare solo l’aria.
Nei barattoli del gruppo di controllo si vedevano entrare delle mosche e successivamente si erano trovate sopra la carne diverse larve. Invece non si erano viste mosche entrare nel barattolo con la reticella, ma solamente sopra e attorno. Più tardi anche in questi barattoli furono trovate alcune larve sulla carne. Nei barattoli tappati invece non furono ritrovate né larve, né mosche.
Questi risultati dimostravano che le mosche nascono dalla carne putrefatta solo quando altre mosche vi abbiano deposto le uova: nei barattoli aperti le mosche avevano deposto le uova sulla carne; nei barattoli chiusi con la garza le mosche avevano deposto le uova su di essa e successivamente erano cadute sopra la carne; nei barattoli chiusi le mosche non potevano entrare e non erano riuscite a depositare le uova.

Come è evidente, l’esperimento non ha richiesto strumenti tecnologici avanzati, ma una rivoluzione concettuale rispetto al passato: il problema è isolato (la domanda è circostanziata: i vermi possono derivare dalle mosche?) e studiato in condizioni diverse da quelle esistenti in natura (dove i pezzi di carne non sono separati dalla mosca attraverso una garza), per capire bene come funziona e rispondere alla domanda che è alla base dell’esperimento, arrivando fino ad affermare che «sempre ogni vivente è nato dall’uovo o da un altro vivente».
Nel XVII secolo scienziati come Jan Swammerdam (1637-1680) e Antonio Vallisneri (1661-1730) e nel XVIII secolo René-Antoine Réaumur (1683-1757) continuarono il lavoro di Redi ottenendo analoghi risultati.

Francesco Redi (1626-1698) Nato ad Arezzo, studia grammatica e retorica a Firenze e si laurea in medicina e filosofia a Pisa nel 1647.
Dopo aver studiato diversi argomenti e aver viaggiato molto in Italia, dal 1653, quando diventa «primo medico» di Ferdinando II, non si allontana più dalla Toscana. Accademico e Arciconsolo della Crusca, studiò le etimologie dei vocaboli; ma soprattutto eseguì «naturali esperienze» negli appartamenti dell’Arciduca e nell’Accademia del Cimento (gruppo di scienziati che in Toscana si cimentava con il metodo sperimentale), di cui era socio.
[A sinistra: Esperimento di Francesco Redi sulla generazione degli insetti]
È considerato uno dei migliori scrittori italiani, non tanto per i suoi componimenti poetici, quanto per le sue prose, per la massima parte di argomento scientifico.
L’opera che dimostra l’uso del metodo sperimentale nel fare chiarezza sul problema della generazione spontanea, è un volume di poco più di 200 pagine pubblicato nel 1668, Esperienze intorno alla generazione degli insetti fatte da Francesco Redi Accademico della Crusca e da lui scritte in una lettera all’illustrissimo signor Carlo Dati.

Descrizione analitica e teorie sintetiche: Stenone e Vallisneri

Il danese Niccolò Stenone (1638-1686), ricordato per una serie di scoperte in anatomia (a soli 22 anni scopre il dotto che porta il suo nome, quello che conduce la saliva dalla parotide alla cavità orale), è considerato il fondatore di discipline diverse come paleontologia, geologia e cristallografia. Come altri scienziati del XVII secolo, studia anzitutto la matematica e si rivolge poi allo studio della natura conquistando nuove conoscenze grazie soprattutto all’uso di una metodologia appropriata. Come scriveva nel 1916 il geofisico statunitense William Herbert Hobbs (1864-1952): «Stenone è il pioniere dei metodi osservazionali che dominano nella scienza moderna, […].
Non c’è nessuno scrittore di scienze naturali prima del XVIII secolo che per l’accuratezza delle descrizioni, la stringatezza del ragionamento o il discernimento nei giudizi possa essere paragonato al “dotto danese”». E quanto all’importanza del procedere con rigore e con spirito critico egli stesso sosteneva: «in questioni di scienze naturali è bene non legarsi ad alcuna teoria, ma classificare le osservazioni con ordine cercando di arrivar di propria iniziativa a qualche risultato.
Nel campo delle scienze naturali noi traiamo il nostro sapere solo da esperimenti ed osservazioni e da tutto ciò che possiamo rilevare con i principi metafisici e meccanici.»

Niccolò Stenone, in danese Niels Steensen, nasce in una famiglia di predicatori luterani (anche se il padre aveva preferito il lavoro dell’orafo), in un periodo difficile per la Danimarca, coinvolta nella Guerra dei Trent’Anni (1618-1648) da cui sarebbe uscita stremata come molti altri paesi; la situazione rimase critica per la peste del 1654 e lo stato di belligeranza con la Svezia (1657-1660).
Nel 1656, a diciotto anni, si iscrive all’Università di Copenhagen optando per Medicina a causa delle «angustie familiari», anche se la sua passione è la matematica, la disciplina della certezza.
[A sinistra: Niccolò Stenone (1638-1686)]
Oltre la medicina, studia le scienze naturali, la matematica e le lingue classiche, ma la sua fama è legata soprattutto alle opere di anatomia. Tra queste: Observationes anatomicae (1661), in cui «rivoluziona le idee sulle ghiandole, fondandone lo studio scientifico; De musculis et glandulis observationum specimen (1664) in cui dimostra che «il cuore non è nient’altro che un muscolo»; Discours sur l’anatomie du cerveau, (1669), che raccoglie le sue indagini sul cervello e Elementorum Myologiae Specimen seu Muscoli Descriptio Geometrica, (1667), in cui l’idea fondamentale è «fare della biologia una parte della matematica», ovvero applicare la matematica alla soluzione di un problema biologico.
Nel 1673 dà alle stampe altri lavori di anatomia, tra cui il Proemium demonstrationum anatomicarum, che descrive la dissezione effettuata a Copenhagen sul cadavere di una donna giustiziata. Dopo, non scriverà più nulla di scientifico.
Due avvenimenti importantissimi avevano segnato la sua vita privata: l’abbandono a Firenze del luteranesimo, religione dei padri, per il cattolicesimo (1667) e soprattutto l’ordinazione sacerdotale, sempre a Firenze, nel 1675, a 37 anni.
A partire da questa data, e soprattutto dopo l’ordinazione episcopale (1677) fino alla morte (1686), la sua attività è esclusivamente pastorale e si compie in tutta l’Europa.

In questo periodo, lungo il fronte più avanzato del dibattito naturalistico e delle scienze della vita in Europa, si colloca anche l’opera di Antonio Vallisneri (1661-1730), con una serie di riflessioni ampie e articolate che riprendono e rilanciano temi e prospettive della tradizione di Marcello Malpighi (1628-1694) (bolognese, collabora anche con la Royal Society, per la stesura di una storia naturale completa) e di Redi.
«Portato all’inquadramento teorico generale delle sue tesi scientifiche, quantunque, baconianamente, attentissimo al rispetto del dato empirico, Vallisneri si impegnò nel superamento dei limiti del dualismo e del meccanicismo cartesiani, facendo riferimento prima al pensiero malebranchiano e, poi, leibniziano. Una lezione, la sua, che, fondandosi su puntuali osservazioni naturalistiche, entomologiche e d’anatomia comparata, sviluppò alle estreme conseguenze dell’orizzonte scientifico e filosofico preilluministico, di cui pur faceva indubbiamente parte, il concetto dell’analogia tra i regni della natura e l’idea della grande catena degli esseri. […] Nella massa di scritti editi e inediti rilevantissima (lasciata alla sua morte nel 1730), erano delineate prospettive scientifiche che rappresentavano un punto di passaggio assai significativo, anche se spesso non adeguatamente riconosciuto, almeno sino ad anni assai recenti, verso la stagione illuministica. Stagione illuministica della quale Vallisneri giunse a intravedere, per i versanti scientifici di sua pertinenza, diverse linee di sviluppo e di superamento di quella stessa prospettiva che gli era appartenuta e che aveva rappresentato il suo contesto culturale di riferimento.».5

Antonio Vallisneri nasce a Trassilico, in Garfagnana, il 3 maggio 1661, da Lorenzo, allora capitano di ragione di quella vicaria per il duca di Modena e Reggio Alfonso IV d’Este, e da Maria Lucrezia Davini.
In diverse località, in relazione agli spostamenti del padre, la sua formazione segue il modello classico della ratio studiorum gesuitica, articolata nei corsi di grammatica, umanità, retorica e filosofia. Poi all’Università di Bologna, viene a contatto con le tesi corpuscolaristiche e con quelle cartesiane, ma soprattutto con lo sperimentalismo galileiano, in un ambiente in cui è forte la presenza del pensiero baconiano e dove, tra l’altro, ebbe per maestro Marcello Malpighi.
[A destra: Dida Antonio Vallisneri (1661-1730)]
Tra le sue opere più significative: l’Istoria del Camaleonte Affricano, in cui illustra le ricerche meticolose, condotte per diversi anni, sulle abitudini di vita (in particolare le abitudini alimentari e il mimetismo) e sull’anatomia dei camaleonti; la Lezione Accademica intorno all’Origine delle Fontane, in cui affronta la questione dell’origine delle acque sorgenti perenni, avvalendosi di osservazioni compiute nei suoi viaggi scientifici sui monti della Garfagnana, che è considerata un modello esemplare del metodo galileiano per la lucidità dell’approccio sperimentale con cui viene condotta.
[Vallisneri, facendo riferimento alle sue osservazioni, confuta la tesi, allora diffusa, che le sorgenti perenni attingano acqua direttamente dal mare rilevando come, al contrario, tutte le sorgenti siano alimentate dalle acque piovane, direttamente o, nei periodi di siccità, indirettamente, dallo scioglimento delle nevi e dei ghiacciai d’alta quota.]
Nel 1721 pubblica l’Istoria della Generazione dell’Uomo e degli Animali che propone un’opzione teorica chiara e influenza notevolmente la cultura del tempo in tutta Europa e il De’ Corpi marini, che su’Monti si trovano in cui affronta la questione, anch’essa centrale nel dibattito europeo, delle caratteristiche e dell’origine dei fossili marini presenti sui rilievi montani. Muore a Padova il 18 gennaio 1730 dopo una breve e improvvisa malattia polmonare.

Nuovi strumenti, nuove procedure

Nella ricerca scientifica, man mano che si mettono a punto strumenti di indagine più accurati, si aprono nuove domande e, a volte, si rimettono in discussione questioni che sembravano ormai risolte.
Così è accaduto quando le ricerche microscopiche del XVIII secolo hanno reso visibili strutture e fenomeni biologici fino ad allora sconosciuti. In particolare, la scoperta di esseri microscopici (piccoli protozoi chiamati infusorî) all’interno di infusioni o di brodo riapre il dibattito sulla generazione spontanea che sembrava superato grazie agli esperimenti di Redi e alle scoperte di Malpighi e di Vallisneri sulla riproduzione degli insetti della frutta.
[A sinistra: John Needham (1713-1781)]
Vedremo qui, brevemente, i termini della disputa tra lo scozzese John Needham, discepolo di Georges-Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), il più autorevole naturalista dell’epoca, e un Lazzaro Spallanzani che cominciava appena a occuparsi di questioni biologiche: gli esperimenti condotti da Spallanzani tra il 1765 e il 1767, che di seguito schematizziamo in modo semplificato, restano come esempi paradigmatici per l’impostazione accurata – tenendo conto di tutte le possibili variabili – e per il rigore nel rispetto delle procedure.
Non chiusero definitivamente il dibattito sulla generazione spontanea, ma dimostrarono, per la prima volta, la possibilità di ottenere ambienti privi di microrganismi.
Quanto al microscopio, vedremo in un prossimo contributo la sua portata rivoluzionaria nel mondo biologico: dalle osservazioni di Robert Hooke (1635-1703) e di Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723) che hanno posto le basi per la formulazione della teoria cellulare (tutti gli organismi sono costituiti da cellule, 1836) fino ai microscopi di ultima generazione (Scanning Probe Microscope, SPM) che rendono visibili strutture biologiche con dettagli tridimensionali a scala nanometrica.

Il rigore delle procedure sperimentali nell’opera di Spallanzani
Lo scozzese John Needham dubitava che le tecniche sperimentali usate da Redi fossero applicabili agli organismi microscopici. Perciò, nel 1745, aveva ripetuto gli esperimenti di Redi utilizzando del brodo di montone: versato in un flacone di vetro e riscaldato per pochi minuti sulla brace veniva poi conservato a temperatura ambiente.
Dopo quattro giorni il liquido appariva torbido e l’osservazione al microscopio rivelava la presenza di moltissimi microrganismi. In base a questi risultati Neeedham sosteneva la possibilità di generazione spontanea dei microrganismi all’interno del brodo di carne, nel filone di chi riteneva che «sostanza organica senza vita si riorganizzasse e riprendesse a vivere spontaneamente». I suoi risultati furono pubblicati nel 1748 sui Phylosophical Transactions of the Royal Society.
Spallanzani era convinto che «sperimentare comunque è mestiere di tutti, ma sperimentare a dovere è sempre stato e sarà sempre di pochi», come dimostrano le procedure seguite conducendo, tra il 1765 e il 1767, quello che alcuni microbiologi identificano come «il primo esperimento di sterilizzazione» e la «prima rudimentale determinazione della resistenza dei microrganismi al calore»: in estrema sintesi potremmo dire che aumenta i tempi di bollitura e sigilla accuratamente le beute dimostrando che la sterilità è raggiungibile e che perdura nel tempo. Suddivide il problema in più parti da analizzare separatamente tenendo conto di una molteplicità di variabili che possono intervenire nel fenomeno.
Utilizza diversi substrati colturali (da otto a undici) ognuno ottenuto con un tipo diverso di vegetale; fonde alla fiamma il collo dei flaconi di vetro contenenti gli infusi di vegetali per proteggerli da contaminazioni esterne; pone i flaconi di vetro a bollire per tempi crescenti, (da mezzo minuto a 60 minuti) quindi li mantiene a temperatura ambiente.
I risultati mostrano che la sopravvivenza microbica diminuisce all’aumentare del tempo di ebollizione e che, dopo 45 minuti e oltre, in nessuna delle infusioni sono presenti microrganismi: i substrati bolliti per 45 minuti e oltre, risultano sterili dimostrando, in modo inconfutabile, che anche i microrganismi si originano solo da microrganismi preesistenti.

Nello schema semplificato, utilizzabile anche per esperimenti nei laboratori scolastici, sono rispettate quattro condizioni: i recipienti del gruppo 1 sono lasciati aperti; i recipienti del gruppo 2 sono accuratamente sigillati (tappati); i recipienti del gruppo 3 sono riscaldati e il liquido viene portato all’ebollizione e poi lasciati aperti, mentre i recipienti del gruppo 4 sono riscaldati e il liquido viene portato all’ebollizione e poi chiusi.
I risultati dimostrano che la bollitura uccide tutti i microrganismi presenti nel brodo e che la chiusura delle beute impedisce l’ingresso di microrganismi dall’aria e conserva sterile il brodo.

Tuttavia il dibattito continuò e raggiunse toni molto vivaci: Needham accusava Spallanzani di avere ucciso con la bollitura la «forza vitale» contenuta nel brodo e di averne impedito l’ossigenazione sigillando ermeticamente le beute. «Nonostante la rivalità scientifica, i rapporti tra i due scienziati furono amichevoli, tanto che Needham curò la traduzione in francese dell’opera di Spallanzani per la pubblicazione a Parigi e Londra. Needham volle comunque aggiungere al libro una sua appendice nella quale non rinunciava a difendere le proprie idee.».6
Come vedremo, dopo duecento anni dagli esperimenti di Redi, mentre la biologia sperimentale si affermava con sempre maggior forza, la questione della generazione spontanea era ancora aperta.

Lazzaro Spallanzani (1729-1799), nato a Scandiano (RE), fu per trent’anni (dal 1769 alla morte) professore di Scienze Naturali all’Università di Pavia.
[A destra: Monumento a Lazzaro Spallanzani nella piazza di Scandiano (RE) suo paese di nascita]
Inizia a studiare diritto, ma dal 1763, quando diventa professore di greco e matematica al Collegio San Carlo di Modena e lettore di filosofia all’Università, matura la sua passione per la fisiologia e le scienze della vita facendosi rapidamente un nome fra i naturalisti italiani e stranieri. Segno di questa fama è l’iscrizione alla Royal Society di Londra nel 1768.
Nel 1768 pubblica il primo documento di argomento biologico: Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione de’ Signori di Needham, e Buffon che contiene una prima confutazione della dottrina della generazione spontanea.
In seguito completa la dimostrazione della teoria di William Harvey (1578-1657) osservando i capillari negli animali a sangue caldo (embrione di pollo); fornisce inoltre una descrizione degli eritrociti e realizza una delle prime osservazioni dei leucociti. Nella sua ricerca applica i metodi (e il rigore) della fisica allo studio degli organismi.
Nel 1776 pubblica Opuscoli di fisica animale e vegetabile che contengono indagini su diversi argomenti, ma sono unificati dal metodo, profondamente galileiano, che comprende la ripetizione degli esperimenti, la modificazione delle condizioni sperimentali e la loro riproduzione su diversi animali. In particolare, usando nuove tecniche di sua concezione, riprende gli studi precedenti sulle basi della vita e confuta, in maniera convincente, le obiezioni avanzate da Needham alle tesi del Saggio di osservazioni.

Gli esperimenti di Pasteur sulla generazione spontanea
A metà del XIX secolo la teoria della generazione spontanea trova ancora difensori all’Accademia di Medicina di Francia: nel 1855 Félix Pouchet (1800-1872) aveva presentato una memoria sull’evidenza sperimentale della generazione spontanea e nel 1859 aveva pubblicato addirittura un trattato, Hétérogénie, ou traité de la génération spontanée, interamente dedicato a sostenere la tesi della generazione spontanea.
Nel 1858 Louis Pasteur (1822-1895) aveva portato sul ghiacciaio Mer de Glace, nella catena del Monte Bianco, dei palloni ermeticamente chiusi, ripieni di lievito di birra, facilmente alterabile, dimostrando che «più ci si eleva, meno possono vivere i germi, e che certe zone assolutamente pure non ne contengono nessuno.». E nel 1860, anche per controbattere le tesi di Pouchet, aveva pubblicato una serie di contributi su una prestigiosa rivista scientifica.
[A sinistra: Louis Pasteur in laboratorio (dipinto di Albert Edelfelt, 1885)]
Nel 1860 l’Accademia delle Scienze di Parigi istituisce il premio Alhumbert (2500 franchi) sul tema: “Essayer par des expériences bien faites de jeter un nouveau jour sur la question des générations dites spontanées.
Si riapre così una nuova stagione di attività sperimentale per far luce sulla questione della generazione spontanea. Il premio sarà vinto nel 1864 da Louis Pasteur.
Pasteur, già famoso per le scoperte sulla «asimmetria molecolare» in ambito chimico-fisico e per i tentativi di verificare sperimentalmente la sua importanza nei fenomeni biologici, sta studiando, in quel periodo, i processi di fermentazione.7 Sostiene che i lieviti, gli agenti responsabili della fermentazione, sono nell’aria e fermentano i succhi mentre scienziati come Joseph Louis Gay-Lussac (1778-1850), Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794) e Justus von Liebig (1803-1873) sostengono invece, peraltro senza prove sperimentali, che la fermentazione è un fenomeno esclusivamente chimico in cui il lievito non aveva importanza.
Pasteur esegue una serie di esperimenti per dimostrare che nell’aria sono presenti microrganismi e che la crescita di microrganismi nelle infusioni è sempre dovuta al contatto diretto o indiretto con l’aria, con la polvere e comunque con l’ambiente.

Matracci a collo di cigno usati da Pasteur nei suoi esperimenti

Per contrastare l’idea che la mancanza di crescita microbica negli infusi bolliti e poi richiusi sia dovuta all’assenza dell’ossigeno necessario per la crescita (l’obiezione di Needham a Spallanzani), negli esperimenti del 1864 Pasteur impiega matracci a collo d’oca (o di cigno) che permettono l’entrata dell’ossigeno, ma fanno depositare le particelle di pulviscolo atmosferico ed eventuali agenti contaminanti.

Come si vede nello schema, dopo aver sottoposto a bollitura il contenuto dei matracci, uccidendo ogni forma di vita all’interno, osserva che i microrganismi riappaiono solo se il collo dei matracci viene rotto. «Mai la teoria della generazione spontanea potrà risollevarsi dal colpo mortale inflittole da questo semplice esperimento» disse lo stesso Pasteur in una conferenza alla Sorbona di Parigi: Siamo convinti che seguire con gli studenti il percorso sperimentale appena descritto – dove possibile anche in laboratorio – aiuti a comprendere i fondamenti del metodo scientifico più dello studio di qualsiasi schema teorico.
Crediamo che valga la pena di confrontare i punti fondamentali degli esperimenti di Spallanzani e Pasteur. Non tanto per mostrare, come nota acutamente Antonio Casolari, che «il conseguimento della sterilità, realizzata da Spallanzani, confuta di per sé solo la teoria della generazione spontanea»8 mentre gli esperimenti di Pasteur lo fanno indirettamente, ma per capire con quanta difficoltà e/o complessità procede la scienza e, in particolare, l’indagine biologica. Occorre chiarire quale è la domanda a cui gli scienziati vogliono rispondere: che cosa provoca la formazione di microrganismi nel brodo di carne in putrefazione? Occorre specificare l’ipotesi da verificare: i microrganismi vengono dall’aria e l’ebollizione li uccide, per questo l’impostazione degli esperimenti sia molto simile.
Tuttavia, come si vede anche solo nella rappresentazione schematica, i due scienziati utilizzano apparecchiature e procedure differenti. E operano in momenti della storia del pensiero abbastanza diversi.
Riflessioni di questo tipo fanno capire meglio come procede la scienza.

Riassumendo

Come abbiamo visto, negli anni che seguono la fondazione metodologica galileiana, scienziati come Francesco Redi, Marcello Malpighi, Niccolò Stenone, Antonio Vallisneri, Lazzaro Spallanzani lavorano utilizzando nella biologia, nella fisiologia e nella geologia criteri di indagine fondati su ipotesi rigorose associate ad accurate verifiche sperimentali.
In termini semplificati possiamo dire che la biologia sperimentale usa, al suo inizio, metodi e procedure tipici della fisica: isola un problema e lo studia in una situazione artificiale e controllabile.
Come in tutti i campi dell’indagine scientifica, osservazioni ripetute e ripetibili aprono la strada a nuove scoperte ma, appare più chiaro oggi, anche a uno specificarsi/specializzarsi del metodo in relazione alla complessità dei viventi.
Osservare, sperimentare, procedere con rigore sono azioni tipiche della scienza, azioni che occorre riproporre per fare scienza a scuola. Azioni fondamentali anche in campi di ricerca di origine recente: nello studio delle popolazioni, in ecologia, in etologia eccetera.
La biologia si è costruita, e si sviluppa tuttora, secondo un percorso concettuale strettamente legato all’evoluzione del pensiero, del metodo sperimentale e della tecnologia.
Perciò vedremo in altri contributi come si è sviluppata in diversi ambiti/percorsi di indagine la conoscenza dei viventi, oggetti di natura particolare, imprevedibili, non facili da studiare tenendo conto della molteplicità e complessità dei fattori che determinano e mantengono la vita.

Vai all’articolo in formato PDF

Maria Cristina Speciani
(Membro della Redazione della rivista Emmeciquadro, già docente di Scienze Naturali nei licei, autore di libri di testo)

Note

  1. Vedi: Francesco Abbona, Niccolò Stenone. Un modello di ricercatore, in Emmeciquadro n° 21 – agosto 2004
  2. Vedi: Dario Generali, Antonio Vallisneri. L’opera e la riflessione scientifica, in Emmeciquadro n° 19 – dicembre 2003
  3. Vedi anche: Filippo Peschiera, Louis Pasteur: lavoro scientifico e domanda di senso, in Emmeciquadro n° 46 – settembre 2012
  4. Francesco Abbona, cit.
  5. Dario Generali, cit.
  6. Cfr.: Francesco Agnoli, Enzo Pennetta, Lazzaro Spallanzani e Gregor Mendel. Alle origini della Biologia e della Genetica, Cantagalli, Siena 2012, p. 22. Vedi anche, a pagina 23, il commento di Voltaire sui rapporti tra i due scienziati, entrambi sacerdoti della Chiesa Cattolica
  7. Pasteur, per un industriale francese, cercava di capire perché nelle vasche di fermentazione per produrre alcol da barbabietola la produzione talvolta non avvenisse per nulla. L’osservazione microscopica dimostrò che nelle vasche si erano sviluppati microrganismi diversi (“lieviti lattici”) che, invece di produrre alcol producevano acido lattico
  8. Cfr.: Antonio Casolari, Spallanzani e Pasteur, Lampi di stampa, Milano 2007.

© Pubblicato sul n° 57 di Emmeciquadro

Leggi anche

SCIENZAinATTO/ Arte, bellezza e cultura: il nuovo ABC della saluteSCIENZA in ATTO/ Questioni di naso. L’importanza degli odori nella vita e in medicinaSCIENZA in ATTO/ Biomimetica: Natura docet