Nell’anno del centenario della prima formulazione della teoria della relatività generale, viene presentata in modo organico, nei suoi tratti essenziali, la teoria dello spazio-tempo a cinque dimensioni sviluppata da Sergio Serapioni e già anticipata in un precedente articolo.
La teoria proposta risolve al suo interno in maniera naturale un annoso problema della Fisica: il concetto di massa e la sua emergenza; inoltre fornisce il valore pressoché esatto delle masse delle particelle elementari conosciute.
In questo breve saggio vogliamo provare a sintetizzare la teoria di spazio e tempo sviluppata dall’ingegner Sergio Serapioni nel corso di quasi quarant’anni di attività. Tale teoria prende le mosse dai lavori di Luigi Fantappiè, brillante matematico romano grande amico di Enrico Fermi.
Abbiamo già avuto modo di accennare a questa teoria in un precedente articolo, pubblicato sul n° 49 – Giugno 2013 e al quale rimandiamo il lettore per alcuni dei risultati.
Occorre subito precisare che Serapioni non è uno scienziato accademico, inquadrato in un qualche dipartimento universitario: è un uomo con un grandissimo interesse per la Fisica, per la conoscenza della realtà e con un desiderio di rendere unitaria la nostra visione del mondo fisico. Questo è quello che lo ha sempre guidato e che traspare ogni volta che si discorre con lui.
Nel corso del suo lavoro, Serapioni tocca diversi aspetti della Fisica: dalla struttura delle particelle elementari, alla natura delle forze sino alla cosmologia; e in ogni campo affrontato la sua teoria è in grado di fornire risultati numerici relativi alle grandezze e costanti ?siche che hanno una consistenza incredibilmente alta con le misure a nostra disposizione.
Si tratta di una sequenza, non piccola per altro, di coincidenze oppure la teoria nasconde un fondo di verità? Sono tante le domande poste, che in qualche modo lo scienza «ufficiale» non può eludere.
La visione unitaria e lo spazio a cinque dimensioni
Una delle grandi questioni ancora irrisolte nello scenario della Fisica teorica è il concetto di tempo e due sono le possibili visioni del problema.
Da un lato il tempo è qualcosa che c’è sin dall’inizio: lo includiamo nella teoria e lo usiamo come parametro che indicizza l’evoluzione dello stato di un certo sistema fisico.
Dall’altro invece il tempo emerge dalla teoria sotto opportune condizioni ed è pertanto una caratteristica della teoria stessa.
È interessante notare come le due teorie di maggior successo dell’ultimo secolo, la relatività generale e la meccanica quantistica, facciano propri questi due opposti concetti di tempo.
Infatti la relatività generale si può vedere come una teoria senza alcuna struttura di tempo, nel senso che non possiede una struttura di tempo definita: è a tutti gli effetti una teoria indipendente da un background, da uno scenario, da un palcoscenico in cui gli eventi fisici avvengono.
Per contro la meccanica quantistica necessita di una grandezza, il tempo, per descrivere come lo stato s di un sistema S cambi. Quanto detto ci mostra come la riconciliazione delle due teorie possa essere affrontata andando ad analizzare il concetto di tempo.
Nel suo lavoro pluridecennale Serapioni propone una teoria con un nuovo approccio al concetto di tempo, pensato come l’esito di un movimento (più precisamente una rotazione).
Da notare come questa visione sia molto simile alla rappresentazione di Heisenberg della meccanica quantistica, nella quale senza alcun movimento, senza alcuna modificazione dello stato s di un sistema il concetto di tempo non sarebbe possibile. Nel caso della teoria di Serapioni il movimento, come detto, è una rotazione.
Occorre introdurre a questo punto uno concetto matematico importante anche da un punto di vista fisico: la nozione di gruppo. Un gruppo in matematica è un insieme di elementi dotato di un’operazione che permette di combinare due elementi qualsiasi del gruppo per ottenerne un altro e che soddisfa alcune condizioni (detti assiomi) quali la chiusura (operando su elementi del gruppo si ottengono sempre elementi del gruppo stesso), l’associatività, l’esistenza di un elemento di identità e l’esistenza, all’interno del gruppo, dell’inverso di un elemento (che combinato con l’elemento stesso porta all’elemento identità).
Sembra complesso ma in realtà facciamo normalmente esperienza di uno di questi gruppi: i numeri interi, con l’operazione di addizione.
In matematica esistono diversi gruppi: pensiamo ai gruppi che descrivono le simmetrie di un oggetto quale un quadrato o un altro poligono; oppure i gruppi che nascono a partire da alcune proprietà di certe leggi fisiche. Per esempio le leggi della meccanica classica sono descritte dalla trasformazioni di Galileo che danno luogo al gruppo di Galileo che ci permette di descrivere il mondo fisico classico.
È chiaro quindi come attraverso certi particolari gruppi possiamo descrivere alcuni fenomeni e quindi il «mondo» (Universo) in cui essi vivono. Spesso è possibile suddividere i gruppi matematici in sottogruppi descritti da alcune proprietà particolari; la storia della Fisica ci mostra come il gruppo di Galileo sia un sottogruppo del gruppo di Lorentz che descrive i fenomeni elettromagnetici formalizzati nelle equazioni di Maxwell e dalla teoria della relatività speciale di Einstein.
Nel passaggio dal gruppo di Galileo a quello di Lorentz ci spostiamo da uno spazio piatto a tre dimensioni (3D), in cui il tempo è assoluto e non è influenzato dal moto, a uno spazio quadri-dimensionale (4D) sempre piatto in cui il tempo non è più assoluto, ma diventa una variabile come le usuali coordinate cartesiane.
A sua volta il gruppo di Lorentz è un sottogruppo di un gruppo più generale, come dimostrato da Luigi Fantappiè. Tale gruppo è caratterizzato da due parametri: la velocità della luce c ed il raggio del cronotopo Ru: il gruppo di Lorentz si ricava da questo ponendo tale raggio infinito. Lo spazio, il modello di realtà descritto da questo gruppo, è uno spazio curvo, in rotazione in sé, a 5 dimensioni.
L’idea fondamentale alla base del modello di Serapioni è che l’unica cosa che conta è il movimento (come già puntualizzava Heisenberg) e l’unico movimento possibile sono in realtà rotazioni. Per questo motivo il gruppo di Fantappiè e lo spazio 5D ad esso associato ben si adattano al modello proposto.
Inoltre l’obbiettivo della teoria è quello di fornire in maniera semplice e geometrica una naturale derivazione dei concetti – per esempio di massa e carica elettrica – che altrimenti devono essere accettati come evidenze dell’esperienza sia per la loro esistenza sia per i valori numerici associati alle particelle/corpi, senza quindi alcuna giustificazione teorica.
Grandezze fondamentali e derivate
Veniamo ora a introdurre il modulo fondamentale λ0 tramite il quale potremo costruire attraverso semplici relazioni cinematiche tutti le grandezze fisiche di interesse. Prima di arrivare a questo punto cruciale, Serapioni assume che le caratteristiche di un punto che abita lo spazio a 5D abbia le dimensioni di un tempo e che quello che noi, incapaci di cogliere sensibilmente tutte e 5 le dimensioni, chiamiamo lunghezza altro non è che un iper-volume nello spazio a 5D cioè L = T4.
Questa relazione ci permette di definire altre grandezze sia reali che immaginarie ricavate prendendo successive radici quadrate di questa relazione.
Consideriamo per esempio un generico punto P nello spazio a 5D che ruota con velocità V su una traiettoria circolare caratterizzata da un raggio L. Tramite questa rotazioni possiamo definire il vettore, normale al piano dell’orbita,
Tale vettore ha una dimensione [T7] formato quindi dal prodotto di 7 spostamenti di un ente.
Ma lo stesso punto, o ente, P può ruotare in uno spazio a 5D e quindi solo 4 differenti direzioni indipendenti sono permesse. Questo insieme di rotazioni definisce quindi una grandezza scalare
Dove Vi, i = 1, . . . , 4 sono le velocità di rotazione nelle quattro direzioni disponibili.
Prendendo quindi successive derivate parziali rispetto a L e/o a V otteniamo quantità che sono proprio le grandezze fisiche di interesse quali la carica elettrica, la massa, la corrente e altre.
Occorre a questo punto fare una precisazione. Nella teoria sviluppata abbiamo a che fare con strutture (iper-volumi, volumi, piani) ordinati e occorre tenere in conto la quantità di energia che è necessaria per la «costruzione» di queste strutture ordinate (si veda nei dettagli il precedente articolo del n° 49 – Giugno 2013).
Il risultato netto è che l’energia spesa va a contrarre i volumi e questo viene espresso attraverso il fattore ε. Pertanto la quantità H viene così a modificarsi:
H[T28] → H* [T28/ε8]
Dove si è tenuto conto delle corrette dimensioni di L e di V che appaiono nell’espressione di H.
Questa nuova quantità esprime quindi i possibili movimenti nello spazio 2D della teoria una volta scelto il vettore L. Di questi vettori ne possiamo scegliere 5 in maniera indipendente e quindi i movimenti possibile risultano:
Hmax= (H*)5 = T5x(28/ε8) = T137.03602… = 1/α.
Quindi il numero di rotazioni in uno spazio a 5D in rotazione in sé risulta incredibilmente legato alla costante di struttura fine α.
Siamo allora in grado di introdurre il modulo fondamentale: questo viene fatto uguagliando il volume dell’iper-sfera S4in 4D (che ha le dimensioni di una lunghezza) al raggio classico dell’elettrone (si veda Il sorriso dell’Ingegnere sul n° 49 – Giugno 2013)
∆T4 = re/π ≡ λ0
Dove abbiamo introdotto appunto il modulo λ0 che è il nostro modulo fondamentale.
Questa quantità entra in gioco in molte delle deduzioni e conti prodotti da Serapioni e riportate in diversi volumi (si veda, per esempio, La meccanica del tempo, Alcione Edizioni, 2014) e tra tutte quelle presentate ne riporteremo alcune che hanno maggiore attinenza con la cosmologia e il modello di Universo proposto.
Di seguito pertanto descriveremo alcune di queste predizioni e, a tale proposito, ricordo che quando mi imbattei per la prima volta in questa teoria quasi pretesi che Serapioni fornisse qualche predizione riscontrabile poi sperimentalmente.
Una delle prime predizioni fatte fu quella relativa all’età dell’Universo che abbiamo già discusso nell’articolo precedente del n° 49 – Giugno 2013.
L’emergenza dello spazio e il parametro θ
All’interno della teoria di Serapioni compare un altro parametro fondamentale: θ, il cui valore è attualmente molto piccolo, dell’ordine di 10-21. Questo parametro è legato a due aspetti fondamentali della teoria: l’espansione dell’Universo e la massa delle particelle.
Nel primo caso si suppone che al Big Bang l’Universo fosse puramente bidimensionale, caratterizzato cioè solo dalle due dimensioni extra rispetto alle nostre tre di cui facciamo esperienza quotidianamente. È questo un modo elegante di evitare la singolarità iniziale del Big Bang: non è quindi una vera singolarità ma solo la presenza di due delle cinque dimensioni spaziale. In questa situazione si ha θ = π/2.
Intuitivamente possiamo pensare che in questa situazione non ci sia alcuna proiezione non nulla possibile nello spazio a tre dimensioni in quanto questo appunto non esiste. Successivamente al passare del tempo e con l’emergenza dell’usuale spazio tridimensionale, θ diminuisce progressivamente sino al valore attuale.
L’altro aspetto è legato alla massa delle particelle che, in maniera sicuramente originale e interessante, Serapioni esprime unicamente attraverso relazioni cinematiche legate al moto degli enti lungo le loro orbite e prendendo quantità opportunamente mediate lungo le orbite stesse. In questo modo è possibile definire il modulo di massa, m0, la cui espressione è
m0 = λ04 τ0-2 θ2γ/π2
Dove τ0 = λ0 /c.
La massa dell’elettrone è direttamente legata a questa quantità essendo m0=θme.
In maniera analoga Serapioni deriva il valore della carica elettrica che a sua volta è legata alle stesse quantità fondamentali ma con esponenti differenti:
e2 = λ07 τ0-4 θγ/π
È quindi evidente la forte dipendenza sia della massa sia della carica dal parametro θ. Questo vale chiaramente per l’elettrone ma anche per le altre particelle atomiche.
Quale possibile evoluzione dobbiamo aspettarci per il parametro θ?
Si sarebbe tentati di legare l’evoluzione di θ al fattore di scala a(t) che descrive l’espansione dell’Universo. Quindi un legame stretto: tanto θ decresce tanto più spazio 3D emerge e quindi tanto più a(t) cresce.
Per quanto questa possa essere una soluzione attraente, essa mostra subito un limite fondamentale e ineliminabile. Per comprenderlo occorre fare una breve descrizione dell’evoluzione dell’Universo così come appare ai nostri strumenti di indagine cosmologica e in particolare a quelli volti alle misure del fondo cosmico di microonde.
L’Universo nel modello del Big Bang Caldo si ritiene sia stato caratterizzato nelle sue primissime fasi da condizione estreme di densità e di temperatura e che da queste si sia andato via via raffreddandosi adiabaticamente.
Nel processo di raffreddamento ha raggiunto, in pochi minuti di vita, le temperature tipiche dei nuclei delle stelle, realizzando quindi per un breve tempo reazioni nucleari del tutto analoghe a quelle che sostengo le stelle nella loro esistenza.
Dopo questa fase sono diversi i processi fisici che entrano in gioco e tra questi principalmente lo scattering di Compton che, in maniera molto efficace, riesce a termalizzare la radiazione presente nell’Universo. Misure di questa radiazione sono oggi possibili tramite osservazioni del fondo cosmico che si dimostra essere il miglior corpo nero che esiste in natura.
Torniamo ora al parametro θ. È chiaro che dal suo valore dipendono massa e carica delle particelle. D’altro canto i meccanismi fisici che danno luogo all’Universo che noi osserviamo sono ben noti e si basano sui valori di masse e cariche che misuriamo in laboratorio.
Poiché questi meccanismi sono già presenti e attivi sin dai primi istanti di vita dell’Universo, non è possibile ottenere la stessa storia termica con valori anche leggermente diversi di massa e carica. Pertanto anche se inizialmente θ = π/2, quasi immediatamente con l’inizio dell’espansione, esso deve assumere il valore attuale in modo da garantire il corretto «funzionamento» dei meccanismi fisici necessari.
Potremmo immaginare, in maniera non originale, una specie di transizione di fase nell’Universo primordiale che porta θ ad assumere il valore attuale. Basti pensare per esempio che transizioni di fase sono state utilizzate nei primi modelli inflazionari oppure sono stati recentemente chiamati in causa in teorie di tipo VSL (Varying Speed of Light) in cui si postula che la velocità della luce, sempre limite invalicabile, avesse inizialmente un valore numerico di diversi ordini di grandezza più grande di quello attuale e che tramite una transizione di fase dopo pochi istanti di vita dell’Universo, si sarebbe portata al valore attuale.
La massa minima e la Materia Oscura
La teoria proposta e descritta nel seguito risolve al suo interno in maniera naturale un annoso problema della fisica: il concetto di massa e la sua emergenza e inoltre fornisce il valore, pressoché esatto, delle masse delle particelle elementari conosciute.
Nella moderna teoria delle particelle, il cosiddetto Modello Standard prova a dare una spiegazione di questo fatto chiamando in causa il bosone di Higgs recentemente scoperto al CERN da due esperimenti indipendenti (ATLAS e CMS).
In parole molto semplici è l’interazione con questo campo che conferisce alle particelle la loro massa. Trovo a riguardo molto utile la seguente analogia. Al bosone di Higss come a ogni particella elementare è associato un campo, scalare in questo caso (cioè descritto unicamente da una quantità scalare che varia da punto a punto), e possiamo immaginarci questo campo come un’enorme distesa di neve fresca. I fotoni, particelle prive di massa, possono essere rappresentati da sci dotati di una buona quantità di sciolina che quindi scivolano sulla neve fresca sfiorandone appena la superficie. Una particella come l’elettrone possiamo invece immaginarla come un bambino che si muove con le ciaspole: riesce a muoversi senza grossi problemi ma sprofonda necessariamente in misura maggiore nella neve.
Quindi l’elettrone ha una massa diversa da zero. Un protone/neutrone o altra particella pesante è invece una persona più o meno pesante senza ciaspole: essa sprofonda nella neve. Pertanto nell’analogia è l’ampiezza dell’interazione con il campo scalare generato dal bosone di Higgs che determina l’ammontare della massa delle particelle.
Nella teoria in esame il concetto di massa nasce invece in maniera naturale ed è legato a un movimento di rotazione nello spazio a 5 dimensioni della teoria. Infatti prendiamo un ente in movimento (quindi in rotazione essendo le rotazioni gli unici movimenti possibili) nel piano individuato dalle due dimensioni extra della teoria.
L’ente sarà descritto dalle componenti della velocità vS e vT e dal raggio L del movimento. Tale raggio, come già evidenziato in questa introduzione e come sarà meglio chiaro nel seguito, lo prendiamo pari al modulo fondamentale λ0 legato al raggio classico dell’elettrone.
Con queste quantità possiamo costruire il seguente prodotto:
In questo caso ne abbiamo 4 di queste correzioni da applicare che portano complessivamente ε4 = γ. Le velocità vS e vT trattandosi di velocità nello spazio extra sono ridotte rispetto alla velocità della luce c di una quantità pari all’angolo θ.
Pertanto mediando opportunamente le variabili angolari (il che fornisce un fattore 1/π per ognuno dei due termini del prodotto) otteniamo:
Pertanto la massa fondamentale m0 emerge naturalmente dal moto di un ente nello spazio in rotazione. Da questa quantità come sarà mostrato, potremo derivate tutte le masse delle particelle elementari in maniera puramente cinematica.
A questo punto sorge una interessante possibilità fornita dall’approccio cinematico della teoria. Sappiamo che gli unici movimenti possibili sono rotazioni e che queste avvengono in realtà in uno spazio a 5 dimensioni di cui però noi cogliamo solo le 3 usuali di cui facciamo quotidiana esperienza.
Pertanto a un certo intervallo di tempo ∆t molto piccolo in cui un ente percorre la propria orbita potranno essere associati 10 differenti movimenti (come previsto dalla teoria di Fantappiè) sia nello spazio a 3D che nello spazio a 2D rimanente. Se consideriamo quindi il prodotto di questi spostamenti istantanei, potremo formare 5 grandezze istantanee ottenute dagli opportuni prodotti di rotazioni nelle spazio a 3 e a 2 dimensioni.
Occorre pensare a questi spostamenti istantanei come fossero delle immagini, delle foto che «catturano» il moto in un momento di tempo: in questo istante di tempo la velocità è evidentemente nulla: v = 0. Pertanto le grandezze vettoriali in esame non saranno caratterizzate da una direzione e un verso ma unicamente da un modulo (valore assoluto).
Tali quantità avranno in generale la forma di:
(|∆Rxyz| * |∆Vxyz|) * (|∆RST| * |∆VST|)
Che sappiamo avere le dimensioni di una massa.
Le possibili combinazioni non banali di queste quantità sono in totale 5 in quanto questi sono gli spazi 4D indipendenti che possiamo creare. Ma di che natura sono queste masse?
Ovviamente queste non sono masse reali in quanto quelle di cui facciamo esperienza sono quelle che vivono nello spazio a 3D. Potremmo quindi chiamarle masse apparenti. Ma questo aggettivo non deve trarre in inganno.
Infatti pur non essendo «visibili», esse forniscono comunque un effetto gravitazionale. Pertanto questa materia è veramente «oscura» e contribuisce con una forza che è 5 volte superiore a quella della materia ordinaria. Osservazioni del fondo cosmico fornisco in maniera precisa informazioni sui parametri di densità da cui dipendono in maniera critica l’ampiezza e le scale delle fluttuazioni di tale fondo. L’analisi completa delle osservazioni da parte del satellite WMAP della Nasa ha fornito i valori:
Ωbh2 = 0.02264 ± 0.00050
Ωch2 = 0.1138 ± 0.0045
Dove h è la costante di Hubble normalizzata a 100 km/s/Mpc.
Assumendo il valore di Ωbh2 come stima della massa visibile, otteniamo una densità di materia oscura, prevista dalla teoria, di valore:
Ωc,thh2 = 0.1132
Che pertanto è consistente entro 1σ dell’errore con il risultato sperimentale di WMAP.
I risultati forniti da Planck nel 2013 forniscono invece un Universo in cui la quantità di materia oscura è leggermente superiore:
Ωbh2 = 0.02205 ± 0.00028
Ωch2 = 0.1199 ± 0.0027
La miglior stima di Ωbh2 ci permette di valutare il contributo teorico aspettato per la materia oscura che risulta essere:
Ωc,thh2 = 0.1103
Che risulta solo marginalmente (3σ) consistente con il valore di Planck.
Tuttavia nel 2015 sono stati rilasciati nuovi risultati dalla collaborazione Planck, esito di un’analisi più accurata dei dati che ora comprendono anche il tenue segnale polarizzato del fondo cosmico.
In questo caso la stima per Ωbh2 è leggermente superiore alla precedente fornendo un valore:
Ωc,thh2 = 0.1113
Che migliora la consistenza entro 3σ.
Vi è un altro aspetto da tener presente a riguardo della materia oscura ed è la sua distribuzione spaziale. È chiaro che non abbiamo direttamente la possibilità di osservare tale distribuzione per le caratteristiche stesse della materia oscura (oscura nel senso che non emette radiazione e che non ha alcun tipo di interazione con la materia ordinaria se non quella gravitazionale), ma è altresì chiaro come queste proprietà facilitino la possibilità di simulare numericamente l’andamento e le strutture di questa distribuzione a partire da ben precise condizioni iniziali.
Tali simulazioni forniscono evidenze di come la materia oscura sia normalmente e maggiormente distribuita intorno a galassie e ammassi di galassie.
Sperimentalmente troviamo supporto a questo fatto attraverso lo studio delle curve di rotazione delle galassie a spirale e degli aloni di materia oscura che circondano i grandi ammassi di galassie.
Tutto questo trova naturale spazio nella teoria proposta in quanto la materia ordinaria così come quella oscura si originano dagli stessi movimenti (rotazione) degli enti nello spazio a 5 dimensioni.
Davide Maino
(Professore Associato Confermato di Fisica Sperimentale – Università degli Studi di Milano)
© Pubblicato sul n° 57 di Emmeciquadro