La genetica è uno dei grandi temi previsti nelle Indicazioni Nazionali di Scienze in tutti i livelli di scuola.
Come è stato documentato più volte in questa rivista, occorre uno sguardo storico per una didattica che metta al lavoro la ragione.
Perciò anche una breve introduzione alla scienza della genetica ne ripercorre il cammino sperimentale: l’autore considera anzitutto il lavoro di Mendel e la sua rivoluzione nello studio della trasmissione dei caratteri; poi illustrerà i fatti di inizio Novecento, quando i risultati di Mendel vengono «scoperti» alla luce della citologia e, infine, esaminerà la situazione attuale, in connessione con gli studi a livello molecolare. Sempre sottolineandone le ricadute didattiche.
Oggi più che mai sembra che tutta la biologia si articoli attorno alla scienza genetica: l’ingegneria genetica, la genetica molecolare, la genetica di popolazioni eccetera sono i campi in cui si svolge la ricerca di frontiera e da cui si aspettano scoperte importanti per migliorare la vita dell’uomo. In effetti, anche se il 2001 ha visto la fine del Progetto genoma, con la mappatura completa dei geni umani, è ancora apertissima la ricerca sui meccanismi con cui i geni interagiscono tra loro.
Tra la seconda metà del XIX secolo (la memoria di Gregor Mendel a Brno è del 1865) e la prima metà del XX secolo (la scoperta della struttura del DNA è del 1953) si sono chiariti molti dei problemi attorno a cui si articolavano le domande del mondo scientifico: come sono fatte e come funzionano le cellule (teoria cellulare), come si riproducono gli organismi (dibattito tra spermisti e ovisti), come si trasmettono i caratteri di generazione in generazione, come si formano nuove specie e si compie l’evoluzione dei viventi.
Le scoperte in questi diversi campi si sono accavallate e rincorse, a volte si sono confermate a vicenda, altre volte sono apparse inconciliabili, a testimonianza ulteriore che lo sviluppo della scienza non avviene in modo lineare, come il progredire della vita e della conoscenza.
La genetica1, uno dei grandi temi previsti nelle Indicazioni Nazionali di Scienze in tutti i livelli di scuola, viene spesso presentata a partire dalle conquiste della biologia molecolare costringendo gli studenti a memorizzarne i concetti chiave e limitandone la possibilità di comprensione.
Sempre più convinta che ripercorrendo i passi compiuti dagli scienziati nella conquista di nuova conoscenza si possa comprendere in modo adeguato il significato e la portata delle varie scoperte, propongo in questo contributo, che per motivi di spazio viene spezzato in tre parti, una «rilettura» delle vicende sperimentali che hanno portato alla acquisizione dei concetti chiave della scienza genetica.
Perciò, dopo aver brevemente delineato il percorso generale facendo anche riferimento esplicito agli scienziati che hanno operato nel campo, descrivo il lavoro sperimentale di Mendel – quasi un invito a riprodurlo in classe – con la formulazione originale dei «principi». Altre considerazioni, per esempio quelle contenute nei «brani d’autore» riportati nei riquadri azzurri, spesso censurate nella prassi didattica, aiutano a capire il quadro concettuale e il significato di quelle che altrimenti resterebbero pure informazioni.
La suddivisione dell’argomento non risponde solamente a esigenze editoriali, ma anche a una scansione dei concetti chiave della genetica in termini ricorsivi: un itinerario didattico che parte dalla secondaria di primo grado (o eventualmente dall’ultimo anno della primaria) con attenzione al lavoro sperimentale di Mendel; prosegue nella secondaria di secondo grado esaminando i nessi con la teoria cellulare per la fondazione della scienza genetica e, infine, illustra le acquisizioni più recenti – anche a livello molecolare.
Che cosa si eredita come?
La scienza della genetica nasce, di fatto, nella seconda metà del XIX secolo, quando l’intelligenza nell’ideare esperimenti, la pazienza nell’incrociare ripetutamente piante con caratteri diversi, l’uso del calcolo matematico portano Gregor Mendel (1822-1884) a riconoscere, nei fatti studiati, una regolarità di comportamento che costituirà il corpo delle cosiddette «leggi» dell’ereditarietà.
«Nessuna scienza come la genetica può ricondurre così univocamente la propria origine a un singolo ricercatore, che utilizzò tutte le conoscenze possibili al suo tempo per cercare di spiegare come si trasmettono i caratteri di generazione in generazione, ponendo le basi su cui si sono sviluppate tutte le conoscenze genetiche.»2
Gregor Mendel era nato a Heinzendorf, ora parte della Cecoslovacchia; divenuto monaco agostiniano a Brunn (oggi Brno) venne inviato per due anni all’università di Vienna a studiare scienze e matematica. Al suo ritorno in monastero gli venne affidato l’insegnamento di fisica e biologia in una scuola superiore e la cura del giardino del monastero.
In un momento storico in cui erano praticamente sconosciuti gli aspetti citologici della duplicazione e della ripartizione dei cromosomi nelle divisioni cellulari (si dibatteva ancora aspramente sulla generazione spontanea), e ancor più lo erano le caratteristiche chimiche del materiale ereditario, i risultati degli esperimenti condotti da Mendel tra il 1854 e il 1864, e la loro interpretazione presentata in una comunicazione (Versuche über Pflanzenhybriden, Ricerche sugli ibridi delle piante) alla Società di Scienze naturali di Brno nel 1865 ponevano le basi per pensare l’eredità in un modo radicalmente nuovo.
La memoria (pubblicata nel 1866 sui Proceedings della Società) è una relazione modello che espone chiaramente gli scopi del lavoro, presenta in forma concisa i dati rilevanti e giunge con cautela a formulare conclusioni autenticamente nuove; risultò così rivoluzionaria che per oltre trent’anni il mondo scientifico non ne comprese il significato.
I brani d’autore nel riquadro seguente descrivono la portata rivoluzionaria della ricerca di Mendel.
«A metà del XIX secolo, quando Gregor Mendel iniziò i suoi studi all’università di Vienna, era ancora molto vivace il dibattito tra spermisti e ovisti, parte di una controversia sull’ereditarietà che risale all’antichità e in cui era coinvolto anche Franz Unger, il suo professore di fisiologia (tra l’altro si riteneva che i caratteri fossero ereditati con un meccanismo che ‘mescolava’ le caratteristiche dei genitori). Tuttavia, Mendel aveva studiato fisica e matematica con Christian Doppler, lo scopritore dell’effetto che porta il suo nome e da lui aveva appreso i fondamenti della teoria combinatoria e del calcolo delle probabilità che userà poi nelle sue ricerche. Gregor, monaco e fisico, fu il primo di molte generazioni di genetisti che misurò pazientemente, che non si limitò a osservare e classificare, come avevano fatto tutti i biologi prima di lui, ma prese in considerazione la variabilità nella sua totalità. Per questo il lavoro di Mendel rappresentò, anche dal punto di vista concettuale, un punto di partenza fondamentale per ogni successivo lavoro in genetica.» (Erwin Heberle-Bors, Gregor Mendel e l’origine della genetica, in Emmeciquadro n° 3 – Settembre 1998) «Grazie a Gregorio Mendel, per la prima volta i fenomeni biologici acquistano il rigore della matematica. […] Poiché ogni organismo riceve dall’uno e dall’altro genitore un assortimento completo di unità ereditarie, queste si ricombinano a caso nel corso delle generazioni. L’organizzazione studiata da anatomisti, istologi e fisiologi, una struttura di “ordine due” a cui si riferiscono tutte le forme e le peculiarità di un essere vivente, non basta più a spiegare il fenomeno dell’ereditarietà. È necessario ricorrere all’ipotesi di una struttura di ordine più elevato, ancor più nascosta nell’organismo. È in una struttura di “ordine tre” che risiede la memoria dell’ereditarietà. Lo stesso atteggiamento che porta Boltzmann a collegare le proprietà dei corpi alla loro struttura interna, per derivarne la legge che regola lo sviluppo della materia, apre la via all’analisi all’analisi mendeliana dell’ereditarietà e alla conoscenza delle sue leggi. […] Ai disegni misteriosi che dall’antichità sembravano modellare i caratteri degli esseri viventi, il metodo sperimentale sostituisce frammenti di materia, particelle, leggi. E l’intera rappresentazione degli esseri viventi ne risulta sconvolta.» |
I «principi» di Mendel, della dominanza, della segregazione e dell’assortimento indipendente, pur formulati in base a dati statisticamente validi ottenuti da numerosissimi incroci controllati, furono spiegati solo dal progredire delle conoscenze sulla cellula e sul suo comportamento durante la riproduzione.
Anche il tentativo interpretativo di Mendel, che ipotizzava l’esistenza di unità individuali (o fattori) che controllavano l’eredità, rimase una tra le numerose teorie sull’eredità finché non furono accertati l’esistenza dei geni e il meccanismo di formazione dei gameti.
Oggi sappiamo cosa sono i cromosomi, abbiamo molti dati sulla struttura chimica e sul funzionamento dei geni e possiamo interpretare ciò che Mendel intuì basandosi solo sulla regolarità con cui si manifesta la trasmissione dei caratteri.
Non solo: con lo sviluppo della biologia molecolare, a partire dall’identificazione della struttura a doppia elica del DNA [Watson e Crick, 1953] e dal riconoscimento della natura informazionale della molecola e dei meccanismi con i quali il DNA «determina» la vita di ogni organismo, la scienza della genetica ha assunto un ruolo sempre più importante. Fino alla nascita di una nuova disciplina, chiamata genetica molecolare, nel cui ambito si sviluppano gli studi sulla clonazione, sulle terapie geniche, sugli organismi geneticamente modificati (OGM) che sono una sfida per l’uomo del terzo millennio.
Tuttavia la domanda centrale della genetica rimane quella che l’abate del convento agostiniano di Brno, Cyrill Napp, poneva al giovane Gregor sul suo lavoro: «Che cosa si eredita come?».
Gli esperimenti di Mendel e i principi che regolano la trasmissione dei caratteri
Nella lunga pubblicazione del 1866, Mendel descrive i suoi esperimenti con grande precisione analitica. Il punto di partenza delle indagini fu l’incrocio controllato tra piante della stessa specie, aventi caratteristiche morfologiche diverse, ma fu determinante la scelta dei materiali e dei caratteri sui quali centrare le osservazioni.
Mendel spiegava che, di fronte alla sorprendente «regolarità con cui i figli di certi ibridi riproducono le forme ancestrali» e alla complessa natura dei casi studiati, per ottenere risultati statistici accurati occorre isolare i casi che, per quanto possibile, diano risultati certi.
E scelse le varietà di Pisum sativum come organismi modello più adatti ai suoi scopi.
Infatti, i fiori di questa pianta si autofecondano naturalmente in modo che tutta la progenie di una pianta presenta le medesime caratteristiche della pianta madre e piante diverse di pisello si possono incrociare artificialmente con estrema facilità e in modo controllato.
Mendel fecondava artificialmente le piante in questo modo: prelevava,con un pennellino, il polline (gamete maschile) dalle antere di una pianta e lo spargeva sugli organi femminili (sullo stimma, per raggiungere i gameti femminili nell’ovario) dei fiori di un’altra pianta a cui aveva tolto le antere per essere sicuro che non avvenisse l’autofecondazione.
Dopo innumerevoli tentativi di incrocio, identificò un gruppo di proprietà che si manifestavano in due modi differenti (caratteri morfologici antagonisti) e si trasmettevano ereditariamente in modo costante. Nella tabella che segue sono riportati e rappresentati i sette caratteri antagonisti studiati da Mendel. Il carattere dominante in ogni coppia è il primo.
I primi esperimenti furono realizzati incrociando coppie di varietà in cui i membri di ogni coppia differivano l’un l’altro per un solo carattere. Seguiremo il percorso sperimentale che portò Mendel a formulare tre «principi» generali attraverso i risultati ottenuti dagli incroci tra coppie di piante che differiscono per il carattere forma dei semi (liscio/rugoso).
Negli schemi il simbolo P indica i genitori (generazione parentale), il simbolo F1 indica la prima generazione filiale, il simbolo F2 indica la seconda generazione filiale, ottenuta facendo germinare piante della F1.
Principio dell’uniformità degli ibridi di prima generazione (prima legge di Mendel)
Come nell’esempio, relativo a piante di piselli della varietà a semi lisci e piante di piselli della varietà a semi rugosi, Mendel incrociò tra loro piante appartenenti a linee pure (per diverse generazioni davano origine a semi sempre con lo stesso carattere).
Dall’incrocio tra individui appartenenti alla generazione parentale (P, da parentes genitori in latino), ottenne una generazione di ibridi (F1, prima generazione filiale) in cui tutti gli individui presentano il carattere di uno dei genitori (producono semi tutti lisci), come se il carattere seme rugoso fosse sparito.
Esaminando gli incroci con tutte le coppie di caratteri considerate vide che, per ogni coppia di caratteri, solo uno di essi si manifestava in ogni individuo figlio, con totale (o quasi totale) esclusione del carattere opposto. I dati numerici sono riportati nella tabella che segue .
Nella terminologia di Mendel il carattere prevalente è stato chiamato dominante (D), quello che scompariva è stato chiamato recessivo (R). Incroci reciproci DxR o RxD danno risultati identici: i figli all’apparenza sono tutti praticamente D (oggi diremmo che tutti gli individui della prima generazione filiale F1 hanno lo stesso fenotipo).
Il principio generale desunto da questi risultati è l’«uniformità degli ibridi di prima generazione».
Principio della segregazione (seconda legge di Mendel)
Mendel piantò (fece germinare) i semi ibridi (DR) ottenuti nella prima generazione, e permise alle piante sviluppatesi di autofecondarsi (DR x DR) producendo un gran numero di esemplari.
Gli individui di questa seconda generazione di ibridi (F2) ottenuti per autoimpollinazione (F1xF1) non avevano tutti lo stesso carattere, ma alcuni ripresentavano sorprendentemente il carattere che era scomparso nella F1: nel caso in esame il carattere seme rugoso ricompare con una percentuale di circa il 25%.
Così Mendel descrive i risultati dell’incrocio tra gli ibridi di prima generazione: «In questa generazione, unitamente ai caratteri dominanti riappaiono i recessivi con tutte le loro caratteristiche ben definite, e lo fanno in un rapporto medio tipico di 3:1, per cui in media ogni quattro piante di questa generazione, tre mostrano il carattere dominante e una quello recessivo.»
Nella tabella seguente sono riportati i risultati ottenuti in F1 e in F2 per i caratteri presi in considerazione.
In tutti i casi studiati, circa il 75% degli individui ottenuti alla seconda generazione presentava i caratteri degli ibridi di prima generazione, mentre il 25% riproponeva il carattere parentale assente nella prima generazione; in altri termini, le due forme originali erano presenti in un rapporto matematico che è in media di tre dominanti e uno recessivo.3
Mendel pensava che i due caratteri esaminati non si mescolavano né si influenzavano nell’ibrido, ma mantenevano ciascuno la propria identità e, per verificare questa idea, studiò un gran numero di generazioni successive e realizzò incroci (oggi chiamati cross-test e utilizzati dai genetisti fino a tempi recenti) tra piante con carattere recessivo e piante con carattere dominante.
Dimostrò che i semi rugosi della F1 (recessivi) producono piante che danno semi grinzosi e se si incrociano tra loro danno solo recessivi per tutte le generazioni (sono non solo apparentemente, ma realmente puri). Invece, le piante della F2 provenienti da semi lisci (dominanti), quando sono incrociati (autoimpollinazione) dimostrano di essere sia puri dominanti (danno solo dominanti) sia ibridi che, nella F3, danno figli in cui ricompare il carattere recessivo, in proporzione di 3:1. Incrociando poi dominanti puri con ibridi si ottiene un rapporto di 1:2. Perciò le piante provenienti da semi lisci devono essere divise in due categorie, a seconda del tipo di progenie.
Concludeva Mendel che «il risultato totale di autoimpollinazione degli ibridi di prima generazione è solo apparentemente di 3D:1R (perché le piante DR non appaiono diverse dalle piante D), ma in realtà i rapporti sono 1DD:2DR:1RR. I figli ottenuti dall’autoimpollinazione di piante DR di questa seconda generazione (F2 con carattere dominante) consistono ancora di D, DR e R nelle stesse proporzioni e così per tutte le successive generazioni».
Per spiegare questi sconcertanti risultati Mendel ipotizzò che, nelle piante, ogni carattere fosse determinato, secondo un processo a lui sconosciuto, da due unità ereditarie che chiamò Elemente, parola spesso tradotta con «fattori» (oggi si chiamano geni) che venivano da entrambi i genitori.4
L’intuizione più straordinaria fu che queste unità ereditarie sono portate dalle cellule germinali (o riproduttive) i gameti e che ogni gamete trasmette solo uno dei caratteri antagonisti; per questo negli ibridi i fattori non si «rimescolano», ma si separano (segregano) durante la formazione dei gameti e, con la fecondazione, vengono trasmessi indipendentemente ai discendenti. Dunque, ogni individuo che deriva dalla fecondazione possiede una coppia di fattori, ognuno trasmesso da un genitore: se questi sono diversi, quello che si manifesta nella F1 è detto dominante, l’altro recessivo.
Mendel verificò l’ipotesi incrociando i primi incroci rispettivamente con forme pure D e con forme pure R, trovando, come si aspettava, che DRxD dà rapporti 1DD:1DR e che DRxR dà in media rapporti 1DR:1RR.
Questo è stato chiamato «principio della segregazione».
Principio dell’assortimento indipendente (terza legge di Mendel)
Nei lunghi anni di sperimentazione, Mendel incrociò anche varietà che differivano per due caratteri e anche coppie di varietà che differivano per tre caratteri, confermando sostanzialmente le osservazioni già registrate.
Per esempio, quando Mendel incrociava piante con semi lisci e gialli (caratteri entrambi dominanti) e piante con semi rugosi e verdi (caratteri entrambi recessivi) la F1 risultava uniformemente formata da semi lisci e gialli, mentre alla F2 i rapporti lisci:rugosi e gialli:verdi erano in accordo con quelli attesi (3:1).
Restava da vedere se i fattori (geni) che controllano i due caratteri vengono trasmessi come unità indipendenti o se sono in qualche modo associati. Ammettendo che i fattori segreghino e si trasmettano indipendentemente uno dall’altro, il rapporto teorico tra i diversi fenotipi è di 9:3:3:1. (vedi schemi alla pagina seguente).
Quindi si può concludere che coppie diverse di caratteri (alleli) si trasmettono ai figli indipendentemente l’uno dall’altro, secondo il principio della segregazione.
Le leggi di Mendel e la loro interpretazione
Oggi chiamiamo «geni» le unità ereditarie di Mendel, i fattori che determinano i caratteri; sappiamo anche che le cellule delle piante di pisello hanno due geni per la maggior parte dei caratteri; abbiamo dato il nome di alleli alle forme diverse di un singolo gene. Per indicare la forma dominante di un allele i genetisti usano la lettera maiuscola dell’iniziale del carattere (per esempio liscio S), mentre la forma recessiva viene indicata con la lettera minuscola (s).
I gameti portano solo un allele per ogni gene: infatti, durante la formazione dei gameti (meiosi) i due alleli per ogni gene sono segregati (separati) l’uno dall’altro e ogni genitore dà ai figli un contributo genetico individuale.
Per effetto della dominanza tra alleli, l’aspetto fisico (fenotipo) di un individuo non rivela necessariamente la sua esatta costituzione genetica (genotipo); per esempio semi con genotipo diverso (SS) e (Ss) hanno lo stesso fenotipo (superficie liscia). Per un particolare gene il genotipo di un individuo può essere omozigote, se gli alleli sono uguali (SS, omozigote dominante) o (ss, omozigote recessivo) oppure eterozigote se gli alleli sono diversi (Ss).
Rappresentazione delle leggi di Mendel con il quadrato di Punnett
Nei settori del quadrato si rappresentano tutte le possibili combinazioni di alleli che possono risultare nei figli.
Nello schema a fianco si utilizza il quadrato di Punnet per rappresentare, in modo semplice e facendo riferimento agli alleli, i risultati ottenuti da Mendel nella F2.
Le piante di pisello della generazione parentale (P), appartenenti a linea pura, con carattere dominante (liscio), hanno due alleli identici SS che, alla meiosi, formano gameti tutti uguali contenenti solo un allele S.
Invece, le piante di pisello della generazione P con carattere recessivo (rugoso) hanno due alleli identici ss che, alla meiosi, formano gameti tutti uguali contenenti solo un allele s.
Gli ibridi di prima generazione (F1) hanno tutti il carattere dominante e contengono sia l’allele dominante S che quello recessivo s; i loro gameti contengono gli alleli S e s in proporzioni uguali.
Ai lati del quadrato di Punnett sono scritti gli alleli contenuti nei gameti (S e s).
I risultati degli incroci raffigurati nei settori interni del quadrato di Punnet ( ¼ SS + ¼ Ss + ¼ Ss = ¾ semi lisci e ¼ ss semi rugosi) corrispondono esattamente ai risultati ottenuti da Mendel: quando un allele dominante e uno recessivo si trovano insieme nello stesso organismo, solo l’allele dominante controlla l’aspetto della pianta e il fenotipo è dominante (D); quando due alleli recessivi sono insieme il fenotipo è recessivo (R). Analogamente si spiega il rapporto fenotipico 3:1 nella generazione F2.
Essi mostrano che i geni S e G si assortiscono indipendentemente.
Nello schema le piante di pisello della generazione parentale (P), appartenenti a linea pura, con caratteri dominanti (seme liscio di colore giallo), hanno due alleli identici SS e due alleli identici GG che, alla meiosi, formano gameti tutti uguali contenenti un allele S e un allele G.
Invece, le piante di pisello della generazione P con caratteri recessivi (seme rugoso di colore verde) hanno due alleli identici ss e due alleli identici gg che, alla meiosi, formano gameti tutti uguali contenenti solo un allele s e un allele g.
Gli ibridi di prima generazione (F1) hanno entrambi i caratteri dominante e contengono sia gli alleli dominante S e G che quelli recessivo s e g; i loro gameti contengono gli alleli S, G e s, g in proporzioni uguali.
Ai lati del quadrato di Punnett sono scritti gli alleli contenuti nei gameti (SG, Sg, sG, sg).
Il cross-test (o reincrocio)
Per esempio, nel caso si incrocino piante eterozigoti (Ss) con piante omozigoti recessive (ss) si attendono semi lisci (Ss) e semi rugosi (ss) nel rapporto 1:1.
Come si vede nei settori interni dello schema, dall’incrocio si ottengono ¼ + ¼ di individui Ss e ¼ + ¼ di individui ss. Rispettando i rapporti previsti.
Lo stesso Mendel, studiando la trasmissione di due caratteri, aveva verificato i genotipi di ognuna delle piante della F2 con dei cross-test con una pianta doppio recessiva (genotipo ssgg).
Nella seconda parte di questo contributo, in un prossimo numero della Rivista, si vedrà come gli scienziati della prima parte del Novecento hanno stabilito e sviluppato – anche con importanti ricerche sperimentali – le basi forti della genetica proprio a partire dal lavoro di Gregor Mendel.
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Maria Cristina Speciani
(Membro della Redazione della rivista Emmeciquadro, già docente di Scienze Naturali nei licei, autore di libri di testo)
Note
- La parola genetica deriva dal latino genesis (o dal greco genno, γεννώ ) che significa nascere ed è stata utilizzata per la prima volta da William Bateson (1861-1926) per descrivere lo studio dell’eredità biologica e delle variazioni in una lettera scritta ad Alan Sedgwick, nel 1905 e poi, pubblicamente durante la Third International Conference on Genetics tenutasi a Londra nel 1906.
Contemporaneamente, Wilhelm Ludwig Johannsen (1857-1927), in un testo del 1905, che sarà fondamentale per gli sviluppi della genetica Arvelighedslaerens elementer (The Elements of Heredity), usa la parola «gene» per descrivere le unità che portano l’informazione ereditaria e i termini «genotipo» per indicare la totalità dei geni di un individuo e «fenotipo» per indicare l’aspetto complessivo di un individuo. - Cfr: Erwin Heberle-Bors, Gregor Mendel e l’origine della genetica, in Emmeciquadro n° 03 – Settembre 1998.
- In termini statistici si dice che la ricomparsa del carattere non manifestatosi nella generazione F1 ha una frequenza tipica che tende al 25% del totale.
- Anche l’ipotesi di Mendel che entrambi i sessi partecipino all’ereditarietà in modo equivalente si dimostrò molto avanti rispetto al suo tempo. Fu infatti soltanto O. Hertwig, nel 1875, a stabilire che nella fecondazione avviene una fusione tra i due nuclei delle cellule, quella paterna e quella materna. La prova genetica di Mendel, indiretta ma matematicamente univoca, avrebbe conferito agli argomenti di Hertwig una capacità persuasiva decisamente maggiore nel superamento della disputa tra ovisti e spermisti.
© Pubblicato sul n° 58 di Emmeciquadro