Perché segnalare oggi un saggio sulle scoperte scientifiche pubblicato più di trent’anni fa (1983)? La risposta più immediata potrebbe essere: se amate la scienza provate a leggerlo e certamente ne sarete soddisfatti.
Tuttavia cercherò di spiegare perché lo ritengo particolarmente attuale e adatto a chiunque insegni Fisica. L’autore è un fisico, filosofo e storico della scienza i cui interessi sono rivolti in special modo agli sviluppi della Fisica del secolo scorso.
Il pregio di questo testo consiste nell’innescare riflessioni a partire dal tentativo di comprensione, nella loro genesi storica, dei fattori che permettono di scoprire le leggi fondamentali dei fenomeni naturali, evitando il rischio di trarre conclusioni che non derivino da ciò che è realmente accaduto. E questo non sembra scontato, se si pensa che grandi epistemologi come Popper o Lakatos ritenevano invece che questo aspetto non fosse di alcun interesse, fissando la loro attenzione solo su problemi di giustificazione o validità delle leggi1 o addirittura affermando la necessità di ricostruire l’attività effettiva degli scienziati in modo razionale, assumendo più o meno esplicitamente che la storia della scienza vada purificata, distillata da incrostazioni e sacche di irrazionalismo2.
Del tutto differente la posizione di Holton che ravvisa la presenza di una ragionevolezza in tutte le fasi cruciali che portano all’elaborazione di una teoria, fino alla sua convalida; tutte fasi in cui si percepisce la presenza di una razionalità profonda di cui è intessuta la realtà naturale. Proprio in questa prospettiva si comprende il motivo per cui Holton preferisce sovente lasciar parlare i protagonisti stessi di alcune delle principali scoperte.
Numerosissime sono infatti le citazioni, oltre che accurate. Così, attraverso le loro stesse parole, è possibile ripercorrere le tappe che hanno condotto Newton, Einstein e in seguito Bohr alla formulazione della legge di conservazione della quantità di moto valida per tutti i corpi dotati di massa, comprese le particelle elementari; oppure interpretare, grazie a Bohr, il dualismo onda-corpuscolo in modo complementare, approfondendo così un tema ricorrente della Fisica, il rapporto continuo-discreto.
L’autore descrive inoltre l’esperimento con cui Millikan determinò la carica elettrica elementare e infine accenna alla teoria concepita da Heisenberg che assumeva i principi della Meccanica Quantistica nascente per spiegare l’effetto Zeeman anomalo.
La maggior parte delle citazioni è tratta dagli scritti di Albert Einstein3. Esse vengono utilizzate non solo per descrivere come questi sia giunto alla formulazione delle teorie della Relatività Ristretta e Generale, ma anche per sviluppare la sua tesi portante,4 oltre che per avallarla attraverso la carrellata delle sue scoperte, comprese quelle precedentemente esposte. Tale tesi consiste nel ritenere che ogni proposizione scientifica possieda tre dimensioni.
Solitamente la prima e la seconda sono accettate e riconosciute da tutti gli studiosi, quella empirico–fenomenologica (le esperienze dei fenomeni osservati) e quella euristico-analitica (il metodo logico-matematico con cui si descrivono i fenomeni).
La dimensione che invece si trascura è la terza, che conferisce profondità a questo quadro e che corrisponde ai cosiddetti themata5. Essi comprendono quelle convinzioni, intuizioni, principi ispiratori e linee guida, che orientano la ricerca dello scienziato. Infatti, si chiede Einstein, «se il ricercatore non avesse un’idea precostituita, come sarebbe mai in grado di trascegliere quei fatti dall’immensa abbondanza dell’esperienza più complessa, anzi proprio quei fatti sufficientemente semplici da consentire alla connessione de iure di diventare evidente?»6.
Holton ritiene i themata fondamentali per giungere a quelle scoperte che di solito sono attribuite esclusivamente al genio di qualche individuo superdotato (senza nulla togliere ai grandi inventori della storia). Sempre i themata rendono possibile giustificare l’esistenza di discontinuità concettuali nei postulati delle teorie, in quanto non si connettono direttamente con la base esperienziale.
Come lo stesso Einstein riteneva dopo essersi distaccato dalle concezioni positiviste, la teoria non deriva infatti induttivamente dall’esperienza e la correlazione tra concetti ed esperienza sensibile non è di natura logica, bensì intuitiva: una libera creazione del pensiero non proveniente direttamente dall’esperienza sensibile.
Si pensi, solo per fare un esempio ben illustrato nel libro, ai due postulati della Relatività Ristretta; essi non sono facilmente intuibili, eppure attraverso di essi è possibile considerare in modo unitario fenomeni di tipo meccanico, elettromagnetico e ottico, semplificando il quadro concettuale complessivo; inoltre permettono di vedere alcune problematiche da un’altra prospettiva, per cui è stato possibile disfarsi di alcune false convinzioni, come quella dell’esistenza dell’etere.
Lo stesso si dica dell’unificazione dei concetti di massa e di energia, della innovativa interpretazione delle grandezze Spazio e Tempo come intimamente legate, della dimostrazione dell’uguaglianza di massa inerziale e massa gravitazionale.
Tutti questi esempi riguardanti le principali scoperte di Einstein ci consentono di riflettere sul fatto che egli non avrebbe potuto né concepire né sistematizzare ipotesi così ardite se non avesse avuto un’idea fondamentale – un tematha appunto – ovvero la convinzione che lo scopo principale della scienza consista nel comprendere in modo integrato, ordinato, unitario e completo le esperienze sensibili avvalendosi dell’uso di concetti primitivi.
A questo punto mi sembra opportuno mettere in evidenza la portata rivoluzionaria di questo tipo di concezione, forse troppo a lungo trascurata. Essa riguarda la comprensione non solo di come avviene una scoperta scientifica, ma anche del fenomeno della conoscenza tout court, in quanto fenomeno complesso che comprende in sé una dimensione creativa intesa come atto libero imprevedibile, non deducibile da fattori antecedenti e dunque analizzabile solo attraverso modelli di tipo probabilistico.7
Tornando al nostro libro, altri themata propri di Einstein che val la pena ricordare sono i seguenti. Il primo, diretta conseguenza di quanto appena esposto, consiste nel ritenere che la storia delle scoperte scientifiche sia evolutiva e che nuove teorie possano includere teorie precedenti. In questo senso Einstein non si riteneva un rivoluzionario, come spesso si tende a dipingerlo, ma piuttosto un continuatore, primo fra tutti del pensiero galileiano.
Procedendo in base a un atteggiamento sostanzialmente realista, era convinto che le teorie non dovessero essere necessariamente falsificate da fatti empirici, che le premesse teoriche dovessero risultare il più possibile naturali, logicamente semplici (anche per evitare ricostruzioni ad hoc di una teoria mediante assunti ausiliari), che le leggi matematiche dovessero essere il più possibile belle esteticamente e che la comprensione della realtà attraverso di esse non fosse per niente scontata e tale da suscitare grande meraviglia.
Mi sembra importante segnalare infine la lucidità di giudizio dimostrata dall’autore, in tempi come quelli odierni in cui risulta difficile orientarsi nel comunicare contenuti scientifici e nell’operare scelte sensate insegnando. Holton al riguardo mette in rilievo due tendenze opposte fra coloro che discutono e dibattono sulla scienza.
La prima è caratteristica di coloro che diffidano della razionalità scientifica, ritenendo che i metodi adottati siano disumanizzanti e che la scienza e la tecnica siano negative; tale posizione, se ha il pregio di esaltare l’aspetto di esperienza personale dello scienziato, esclude l’effettiva possibilità della comprensione razionale dei fenomeni naturali.
La seconda tendenza riguarda coloro che si limitano a considerare gli aspetti logici e matematici della scienza in quanto ritenuti gli unici a garantire l’oggettività scientifica. La diatriba tra le due fazioni si alimenta nella contrapposizione tra i punti di divergenza.
Credo che anche la ricerca scientifica contemporanea sia sottoposta ad analoghe riduzioni, frutto a loro volta da un lato di una sostanziale riduzione dell’io a sentimento (come nella prima tendenza) o a logica (come nella seconda tendenza) e dall’altro di una visione della realtà come di qualcosa che esiste fuori dall’io, ma di cui ci sfugge totalmente la comprensione (prima tendenza), se non attraverso schemi logici convenzionali (seconda tendenza).
In entrambi i casi, il rapporto con la realtà nella sua totalità è perso inesorabilmente, e con esso vien meno anche l’unica possibilità di incremento dell’io stesso con l’esito di svilirlo distruggendo le sue potenzialità di ricerca di ciò che è bello, buono e vero.
Gerald Holton
L’immaginazione scientifica. I temi del pensiero scientifico
Giulio Einaudi – Torino 1983
Pagine 402 – Euro 23,24
Recensione di Nadia Correale
Note
-
K. R. Popper, The Logic of Scientific Discovery, 1934.
-
I. Lakatos, A. Musgrave, Criticism and the growth of knowledge, 1970.
-
Le opera di Albert Einstein più citate dall’autore sono: On the method of Theoretical Physics (1933), Physics (1933), Physics and reality (1936) e Autobiographical Notes (1946).
-
Si veda la Lettera a Maurice Solovine, il 27 maggio 1952, pubblicata nel 1956, p. 120.
-
Dal greco, themata plurale di thema, argomento.
-
Ibidem
-
Per un approfondimento si suggerisce la lettura dell’articolo: Fortunato Tito Arecchi, Le cose piuttosto che gli oggetti. Fenomenologia della coscienza, Emmeciquadro n° 44, Marzo 2012
© Pubblicato sul n° 58 di Emmeciquadro