È una constatazione anche fin troppo facile: le nostre società attuali sono decisamente deboli nella individuazione e nella proposizione degli scopi. A livello personale come a livello delle realtà collettive, siano esse una istituzione, una azienda, una comunità, ad apparire indeboliti, offuscati, confusi sono gli scopi e le finalità del fare.
Non che manchino le dichiarazioni e le formulazioni teoriche: prendendo a prestito una modalità tipica delle aziende, oggi molte realtà organizzate, da una scuola a una ONG, si presentano indicando subito la loro mission, cioè l’intento che dovrebbe guidare tutta l’attività.
Il più delle volte però si tratta di formulazioni piuttosto retoriche e scarsamente realistiche, che poi nella concretezza quotidiana vengono disattese o che comunque risultano inefficaci. Sono obiettivi che non riescono a motivare l’impegno e che non reggono, quando insorgono difficoltà e ostacoli, di fronte al semplice interrogativo: perché?
È la stessa debolezza che a livello personale scoraggia molti di fronte alle proposte appena un po’ più impegnative del previsto e rende incerta la prospettiva di impegni con carattere di continuità.
Accanto a questa constatazione circa le finalità dell’operare, va rilevata una crescita del numero e delle potenzialità degli strumenti a disposizione: apparecchiature, macchine, sistemi tecnologici vari. Ci sono gli strumenti in senso classico, che hanno attraversato tutte le stagioni della tecnologia, dalla meccanica, all’elettrotecnica, all’elettronica e ora le incorporano tutte nel loro mix di hardware e software: emblema di questa evoluzione sono i robot; tanto che molti dispositivi di uso quotidiano, elettrodomestici compresi, tendono a essere catalogati nella popolazione robotica: robot-lavatore, -pulitore, -frullatore e così via.
Ma ci sono anche strumenti di puro software: sono le App, termine ormai universalmente utilizzato per indicare i diversi programmi per applicazioni specifiche. Sono lo strumento base per utilizzare un tablet o uno smartphone e crescono con una rapidità impressionante: c’è una App tendenzialmente per ogni funzione e tutti, soprattutto i giovani, siamo continuamente bombardati dalle proposte di nuove efficacissime App; sembra che non ci sia desiderio che non possa essere esaudito da una opportuna App.
La disparità e il contrasto tra le due tendenze che abbiamo delineato sono enormi: ci sono un’abbondanza di mezzi e una scarsità di fini; c’è una crescente potenza degli strumenti e c’è una progressiva debolezza degli scopi.



C’è, in generale, un disallineamento tra mezzi e fini: salta la corrispondenza tra lo strumento e lo scopo per il quale era stato pensato; ma ciò che più preoccupa è il venir meno della consapevolezza che una corrispondenza ci debba essere.
C’è spesso una confusione tra mezzi e fini, al punto che il mezzo diventa il fine e lo scopo del suo utilizzo sembra essere l’utilizzo stesso: la questione è preoccupante soprattutto se si pensa ai più giovani, che sempre più accostano gli strumenti hi-tech in questa modalità distorta.
Una riflessione sulla tecnologia oggi deve quindi collocarsi all’interno di questa problematica. La scuola dovrebbe essere un luogo adatto per affrontarla; anche perché un buon educatore è portato a considerare il vissuto reale dagli studenti e una seria proposta educativa oggi non può ignorare il contesto ipertecnologico nel quale, di fatto, si colloca (contesto che è stato approfondito in alcune delle sue principali direttrici nel Simposio «Scienza e tecnologia, un dialogo che continua», organizzato dall’INFN presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso e del quale in questo numero vengono presentati gli Atti).
Purtroppo anche l’introduzione dei nuovi strumenti digitali nelle scuole tende a risentire della stessa logica. Si pone tutto l’accento sullo strumento, indicandone le enormi potenzialità ma senza una chiara indicazione dei reali obiettivi, senza sollecitare una continua valutazione critica della adeguatezza degli strumenti agli obiettivi (e senza il timore di scoprirne, eventualmente, l’inadeguatezza): come se lo strumento fosse di per sé garanzia di efficacia conoscitiva e educativa.
La «scuola digitale», della quale il recente PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale) ha fissato le linee di indirizzo, è essa stessa uno «strumento» e come tale andrà declinata: non certo come un automatismo risolutivo dei problemi della nostra scuola.



 

 

 

Mario Gargantini
(Direttore della rivista Emmeciquadro)

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 59 di Emmeciquadro

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