Individuare modalità nuove e significative per insegnare la matematica è uno sforzo importante da parte di quegli insegnanti che amano il proprio lavoro e la matematica.
Oltre all’inventiva e all’intraprendenza che molti esprimono, per imboccare strade nuove occorre attenersi a criteri precisi, evitando di seguire «mode» didattiche del momento o di accontentarsi di «intrattenere» meglio gli alunni.
Proponiamo alcune riflessioni intorno all’idea di «laboratorio» matematico, augurandoci che possano aiutare a tenere saldo il timone nella direzione degli obiettivi fondamentali per ogni insegnamento: introdurre alla realtà interpellando la ragione degli studenti di ogni età.
Se ne parla molto, ma è ancora inconsueto considerare il laboratorio nell’insegnamento della matematica, e intravedere caratteristiche chiare per una «didattica laboratoriale».
Al più si pensa ad attività di tipo concreto, manuale per i bambini della scuola primaria, per i quali è abbastanza condivisa l’idea che sia utile, se non indispensabile, esplorare fisicamente situazioni che favoriscono la concettualizzazione e l’apprendimento significativo. Oppure, per ragazzi più grandi, si immaginano come «laboratoriali» attività che richiedano l’uso dei computer, che possono essere svolte in aula di informatica.
Di che si tratta?
In che modo la matematica può avere a che fare con l’immagine del laboratorio, che associamo alla ricerca sperimentale, alle scienze empiriche?
Un fare che sottopone la teoria alla verifica dei fatti, che deve confermare il pensiero trasformandolo, attraverso opportuni strumenti, in «fatti», in effetti visibili.
La parola laboratorio si adatta alla didattica di una materia che richiede l’astrazione?
La matematica a scuola può essere appresa in tutto l’arco scolare attraverso una forma di laboratorio? E c’è un modo di concepire una attività di laboratorio che esprima tutta la complessità del significato della parola esperienza, che possiamo sintetizzare nella suggestiva espressione: un fare giudicato?
[A sinistra: “Euclide o L’arte della Geometria” di Andrea Pisano. Campanile di Giotto – Lato Est – Formella 16 – Firenze]
Vogliamo sviluppare l’idea che può essere considerato laboratorio ogni attività didattica che sia occasione di unità di gesto e di pensiero, che si rivolga, perciò, alla persona del bambino e del giovane coinvolgendo tutta la sua persona, corpo e mente.
Non basta che l’alunno sia attento nel banco ad ascoltare, eventualmente prenda appunti e successivamente ripeta e applichi. Queste azioni, pur utili, non possono caratterizzare tutta la realtà della scuola, e la crescente irrequietezza indomabile che le classi manifestano rappresenta un indice inequivocabile che occorre cambiare qualcosa. Occorre offrire occasioni in cui si apprenda usando tutti i sensi, usando le mani, addirittura tutto il corpo, particolarmente con i bambini piccoli.
L’uso del proprio corpo nella sua interezza caratterizza l’apprendimento spontaneo dei bambini nei primi anni di vita, e tutti riconosciamo che essi imparano tanto più, quanto più è ricco di stimoli globali il contesto che li circonda. Troppo spesso la scuola, dai sei anni in poi, nella sua prassi didattica, si rivolge principalmente alla mente dei ragazzi, privilegiando un insegnamento verbale e ripetitivo, addestrativo.
Sottolineiamo che nel parlare di laboratorio per la matematica non pensiamo di rilanciare lo spontaneismo, o di proporre ingenue modalità manipolative, nell’idea che un legame al «concreto» faciliti l’apprendimento. Anche le attività manipolatorie che utilizzano materiali concreti, da sole, in quanto tali, non garantiscono né la comprensione dei concetti né la loro acquisizione, e possono non generare apprendimento. Agire concretamente, in sé e per sé, non costituisce esperienza.
Un evento particolare, osservato e «agito», può rimanere chiuso in se stesso, sia che si verifichi una sola volta, sia che venga anche ripetuto più volte. Se non si collega ad altro, se non assume significato universale, se non produce elaborazione linguistica e simbolica, non si trasforma in concetto e in pensiero.
Nell’insegnamento ne abbiamo esempi continuamente, e ne osserviamo le conseguenze quando con delusione constatiamo che un ragazzo non è in grado di trasferire ciò che ha «sperimentato» in una certa occasione in altre situazioni, anche molto simili: non sempre possiamo riconoscere che avvenga transfer cognitivo.
Ogni attività che possiamo, per intenderci, chiamare «empirica», perciò iscrivere in qualcosa che classifichiamo laboratorio, non è efficace e significativa, se non diventa generatrice di pensiero, cioè di interiorizzazione e astrazione delle ragioni e del significato di ciò che si sta facendo. Se ciò che si fa non genera riflessione e giudizio, rimane intrattenimento, e produce non apprendimento ma addestramento (si impara come procedere in prefissate situazioni), e tale risulta il valore delle attività, anche interessanti e fantasiose, che si propongono.
Come ha ben chiarito Anna Paola Longo, «il legame tra la matematica e la realtà è complesso, con un’andata e un ritorno, dall’esperienza alle teorie astratte e di nuovo dalle teorie alla realtà, quando si scopre che una particolare teoria costituisce un efficace modello per un campo di fenomeni.» [1]
Considereremo laboratorio, allora, non solo un luogo e un tempo in cui si compiono azioni riconoscibili dal materiale manipolato, ma ogni volta che le azioni didattiche – anche in classe – sono caratterizzate dalla ricerca di consapevolezza della loro origine e del loro scopo, cioè sono rese razionali non dall’oggetto ma dal soggetto.
Con questa premessa, possiamo affermare che la matematica è profondamente implicata con l’idea del laboratorio, attribuendo consapevolmente a tale parola il doppio «movimento» del pensiero che è necessario a un vero e stabile apprendimento: dal gesto al pensiero e dal pensiero al gesto.
Il laboratorio come metodo
Possiamo brevemente individuare e descrivere le dimensioni educative che devono guidare le occasioni didattiche che vogliamo considerare laboratorio.
Interpellare tutta la persona dell’alunno, da attività fisicamente eseguibili, anche con tutto il corpo (che potranno essere predominanti nella Scuola dell’Infanzia e nella Primaria), alla riflessione verbalizzata e possibilmente scritta; con gli studenti della secondaria, il laboratorio può essere identificato anche con un laboratorio di idee.
Prendere avvio da una domanda, una questione, una problematizzazione, preferibilmente sorta dai ragazzi, ma anche offerta e proposta dall’insegnante, purché esplicitata.
Prevedere una premessa di progettazione, in cui siano coinvolti anche i ragazzi, riguardo al percorso, alle strategie (modelli), e un’ipotesi previsionale sui risultati.
Prevedere, perché un laboratorio si possa considerare concluso, una fase di riflessione (rappresentazione, formalizzazione), che evidenzi le risposte raggiunte, le domande ancora aperte, le domande nuove emerse nel lavoro.
Prevedere una modalità di descrizione e narrazione di quanto è avvenuto, nel suo svolgersi fattivo e nel riflesso su di sé (perché emerga il coinvolgimento personale).
«Credo che nel contesto dell’insegnamento/apprendimento sia utile chiamare laboratorio una situazione in cui lo studente è attivo e mette le proprie idee, le proprie conoscenze in relazione con fenomeni, fatti e problemi: confrontando le osservazioni con le attese che vengono dai propri modelli interpretativi del mondo, formulando ulteriori modelli e ipotesi/congetture, progettando azioni, esperimenti e osservazioni mirate, che consentano di confutare o confermare tali modelli. |
Momenti di laboratorio in classe e oltre la classe
Per insegnanti e alunni, che devono essere protagonisti insieme di una proposta laboratoriale, chiaramente articolata dall’idea alla realizzazione, il lavoro richiederà alcune fasi irrinunciabili.
[A destra: “L’arte dell’Architettura” di Andrea Pisano. Campanile di Giotto – Lato Sud – Formella 9 – Firenze]
Occorre realizzare materiali di vario genere (prodotti), che possono anche essere strumenti per apprendimenti successivi (per esempio, costruire l’abaco, o il tangram, il geopiano o i modelli dei solidi, eccetera).
Si deve seguire un progetto, delineato insieme da insegnanti e alunni: deve esserci un’ipotesi condivisa, in cui il docente dovrà avere presente gli apprendimenti che desidera far raggiungere.
Nel corso delle attività, è importante che l’insegnante osservi gli alunni, perché non serve solo organizzare un’attività, occorre guardarli in azione: accorgersi di qual è la risposta dei ragazzi, se ci sono eventuali difficoltà o criticità, se alcuni alunni sono fuori del lavoro e perché, e infine verificare la coerenza o la differenza tra gli apprendimenti attesi e quelli ottenuti. Chi guida deve curare la documentazione (registrazione delle discussioni, racconto, foto delle diverse fasi, eccetera) del lavoro, anche negli aspetti critici (eventuali errori).
Si deve concludere con la sintesi formale dei contenuti coinvolti, appresi ex novo o richiamati in gioco, nella modalità da memorizzare e sedimentare.
Occorre costruire e utilizzare strumenti di valutazione degli apprendimenti degli alunni, coerenti con il lavoro svolto (verifiche scritte o grafiche, materiali costruiti e prodotti, resoconto narrativo o grafico, eccetera).
Infine è importante stabilire la connessione tra quanto avviene nelle attività del laboratorio con il resto del lavoro disciplinare. Sarebbe deleterio fare intravedere un modo di lavorare che vede insegnante e alunni protagonisti insieme di un lavoro che produce conoscenza, per tornare poi a una attività didattica passivizzante e routinaria, esecutiva.
Anche la classe è laboratorio se l’insegnante non solo «travasa» ciò che sa, ma si sente responsabile dell’esperienza in cui sta coinvolgendo il ragazzo, partendo dal suo mondo categoriale.
Quando i ragazzi si accorgono che «le cose che si vedono dal vivo si ricordano meglio», che si può «osservare cosa succede», anzi, che si può «osservare in modo diverso ciò che succede», e che «il momento più bello è quando si ragiona per estrarre le conclusioni», allora essi possono riconoscere che a scuola avviene qualcosa.
La funzione dell’insegnante è fondamentale: non è un semplice animatore, che tiene occupati i ragazzi in modo efficace. La sua presenza assolve alla dinamica che può essere sintetizzata nei termini: lancio (propone e progetta), ri-lancio (tiene tutti nel lavoro, anche quelli che si sottraggono), bilancio (valuta le azioni e gli apprendimenti).
Dal gesto al pensiero
Le azioni implicate in questo movimento «dal gesto al pensiero» sono di seguito schematizzate.
Vedere, ascoltare, toccare, assaggiare, … odorare, sono le modalità più semplici ed elementari dell’osservazione.
Verbalizzare: denominare, anche generando linguaggio, parlare, descrivere, spiegare ciò che si è fatto.
Rappresentare, riproducendo in modelli concreti le realtà osservate (disegnare, costruire oggetti, fotografare, eccetera), facendone emergere le caratteristiche e l’essenza, in modo da poterle poi riconoscere in altri contesti.
Usare o creare strumenti per osservare o per agire.
Collegare gli oggetti alle azioni compiute, appropriandosi criticamente dell’esperienza.
Riflettere su ciò che succede tramite la discussione, in cui c’è spazio per congetture, ipotesi, nuove osservazioni e comprensione di nuove proprietà; si tratta di osservare in modo diverso ciò che succede.
Agire consapevolmente, orientando le proprie azioni a uno scopo.
Dal pensiero al gesto
La dinamica inversa, «dal pensiero al gesto», richiede essenzialmente queste azioni.
Interpretare i diversi modelli usati o costruiti.
Riconoscere in contesti diversi situazioni problematiche già esaminate, e sviluppare analogicamente azioni adeguate.
Progettare creativamente le osservazioni e le esperienze, dimostrando capacità di previsione relative a fenomeni già noti e strategie di esplorazione per fenomeni nuovi.
Riconoscere in quanto si è compreso e imparato la spinta e la ragione per conoscere altro, per fare nuove scoperte, per operare in modo più fine e più appropriato, per cercare procedimenti più adeguati e più potenti.
Diversi livelli di proposta
Nel senso ampio che abbiamo cercato di delineare, lavorare attraverso situazioni di laboratorio può riguardare la didattica della matematica lungo tutto il curricolo scolastico, tenendo conto che le diverse età e i diversi livelli scolari richiedono diverse caratteristiche di lavoro.
[A sinistra: “Fidia o L’arte della Scultura” di Andrea Pisano. Campanile di Giotto – Lato Nord – Formella 17 – Firenze]
Cercheremo di documentare vari e diversi esempi di attività, che mostrino la possibile efficacia del metodo, insieme alla notevole creatività degli insegnanti, nei diversi segmenti scolastici.
Contenuti e proposte possono dirigersi sia alla normale didattica del curricolo [3], sia a occasioni di potenziamento per alunni particolarmente interessati, anche fuori dell’orario scolastico.
Infine, cercheremo di dedicare attenzione all’ipotesi che una attività laboratoriale può costituire una modalità veramente positiva e efficace in situazioni di recupero. In particolare, sottolineiamo che attività di gioco, singole, a gruppi o a tornei, i cui materiali possono anche essere costruiti con i ragazzi stessi, possono costituire interessanti e produttivi laboratori, come è descritto in: G. Cotroni, Giocando s’impara…anche la matematica. Una proposta didattica inconsueta, Emmeciquadro n.58 – Settembre 2015.
Non va sottovalutato, come aspetto di innovazione e positività, che molto spesso i laboratori permettono la collaborazione tra insegnanti di discipline diverse.
Questo è prezioso per riaprire il dialogo tra la matematica, troppo spesso incontrata come un mondo «a parte», e tanti aspetti della realtà che, lungi dall’esserle estranei, ne permetterebbero una comprensione più vera e profonda.
Raffaella Manara
(già docente di Matematica al Liceo scientifico, membro della redazione di Emmeciquadro)
Indicazioni bibliografiche e sitografiche
A. P. Longo Esperienza e apprendimento. Una sinergia anche per la matematica?, in Emmeciquadro n. 57 – Giugno 2015.
G. Anzellotti, Il Laboratorio è utile per fare e imparare una matematica che significhi qualcosa per noi, Notiziario UMI, Bologna, dicembre 2007.
Un significativo esempio in Emmeciquadro n. 56 – Marzo 2015, P. Soffientini, Geometria che passione! Dall’esperienza il metodo: un percorso per i primi tre anni della Scuola Primaria
© Pubblicato sul n° 59 di Emmeciquadro