Nei corsi di Matematica della scuola secondaria di secondo grado, mostrare la genesi storica di qualche concetto matematico attuale è un modo per far acquisire agli studenti quello che si può chiamare «senso matematico» dei procedimenti, delle dimostrazioni, dei teoremi. Per favorire l’esperienza del «ragionare matematico» e del suo fascino che il più delle volte resta nascosto nei rigidi itinerari scolastici.
L’autore di questo contributo propone un percorso storico – concettuale relativo alla Fabbricazione a strati o Fabbricazione additiva che da alcuni decenni si va affermando come tecnica di costruzione in campi molto diversi.
L’Additive o Layered Manufacturing (Fabbricazione Additiva o Fabbricazione a Strati) è quella tecnica di costruzione a strati che già da diversi decenni si è affermata nei settori delle protesi biomedicali e della componentistica aerospaziale. Si contrappone alle tecniche costruttive tradizionali delle macchine utensili ad asportazione di truciolo in quanto realizza un pezzo aggiungendo materiale in strati successivi, anziché togliendolo da un blocco pieno.
Se pensiamo di «affettare» un oggetto fisico in un numero finito di strati prismatici di spessore finito, ciò che otterremo è un oggetto a gradini, che potrà sostituire quello originario con una approssimazione che è tanto migliore quanto più sottili, e quindi numerosi, sono gli strati.
L’Additive Manufacturing è una tecnologia generativa, o automatica, che permette di fabbricare un oggetto quasi direttamente1 dal suo modello geometrico CAD 3D, suddividendolo tramite un opportuno software (detto slicer) in strati molto sottili (10÷150 μm). Il modello geometrico 3D così «affettato» viene dato come input a una macchina che «legge» il profilo di ciascuno strato e, secondo diverse tecniche,2 realizza quest’ultimo fisicamente a partire dallo strato sottostante. I materiali utilizzati sono soprattutto resine ma anche – sempre più oggi – materiali metallici. Al limite, se gli strati fossero di spessore infinitesimo, e quindi di numero infinito, otterremmo esattamente la forma dell’oggetto.
Le prime «piramidi a gradoni» dell’Antico Egitto forniscono un’immagine molto eloquente della possibilità di approssimare la forma di una piramide con tale tecnica: il risultato è proprio quello che si otterrebbe immaginando di suddividere la piramide in un numero finito di strati di forma tronco-piramidale, costituiti da mastabe3 sovrapposte di dimensioni decrescenti.
[A sinistra: Piramide a gradoni del faraone Djoser (?-2660 a.C.) nella necropoli di Sakkara in Egitto, vicino a Menfi, costruita dall’architetto Imhotep]
L’Additive Manufacturing, impropriamente più noto come «stampa 3D», sta ottenendo oggi sempre più attenzione dal mondo della ricerca e della produzione per alcuni importanti vantaggi rispetto ai tradizionali metodi di Subtractive Manufacturing delle macchine utensili ad asportazione di truciolo: maggiore rapidità, maggiore economicità, possibilità di realizzare geometrie molto complesse, possibilità (dal punto di vista dei costi) di produrre pochi pezzi, al limite anche uno soltanto. Per contro permangono ancor oggi alcuni importanti limiti, quali la scarsa finitura superficiale, le dimensioni piuttosto contenute dei pezzi realizzabili e le loro proprietà meccaniche generalmente insufficienti per un completo uso funzionale.
La prima rudimentale apparecchiatura in grado di produrre oggetti per successivi strati fu ideata e costruita nel 1892 da Joseph E. Blanther, per costruire stampi destinati a realizzare mappe topografiche in rilievo.
[A destra: Mappe topografiche in rilievo di Blanther]
Tale metodo consisteva nell’incidere le linee di livello del terreno su lastre, nel ritagliare queste ultime lungo le linee di livello e nel sovrapporre le lastre così ritagliate le une sulle altre, formando un modello fisico tridimensionale del terreno, che poteva essere utilizzato sia come parte positiva dello stampo (modello pattern) sia come parte negativa.
L’Additive Manufacturing: un’idea del 1604
Tuttavia, il principio geometrico – che è a fondamento delle tecniche costruttive di Additive Manufacturing – di concepire un solido come somma di «numerose» sezioni sottilissime, si trova in un’opera del 1604 di Luca Valerio (Napoli, 1553–Roma, 1618), una delle figure più interessanti della matematica rinascimentale: De centro gravitatis solidorum.
In essa il matematico napoletano riottiene la formula del volume della sfera, già ottenuto da Archimede, ma con un procedimento, ispirato ai metodi archimedei, anticipatore del calcolo infinitesimale. Tale procedimento viene rielaborato, molti anni dopo, da Bonaventura Cavalieri (1598-1647) nella sua opera Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota (1635) e riportato da Galileo Galilei nella Giornata Prima della sua celebre opera Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638), dove Luca Valerio viene chiamato «nuovo Archimede dell’età nostra».
Galileo cita il procedimento di Luca Valerio, per trovare il volume della sfera, a proposito dei numerosi paradossi cui dà luogo l’infinito in matematica. Per bocca di Salviati, parla di «indivisibili» essendo stata pubblicata già da tre anni, nel 1635, l’opera di Cavalieri sugli indivisibili: «Salviati – ….ricordiamoci che siamo tra gl’infiniti e gl’indivisibili, quelli incomprensibili dal nostro intelletto finito per la lor grandezza, e questi per la lor piccolezza».
Galileo aveva intenzione di scrivere un libro sull’infinito, che purtroppo però non scrisse. Se lo avesse scritto, probabilmente avrebbe approfondito certe sue intuizioni geniali, evitando ai matematici tutte le diatribe sull’infinito nei due secoli che lo seguirono. Infatti, bisogna arrivare alla fine del secolo XIX per liberarsi definitivamente dai paradossi dell’infinito attuale, assumendo come definizione stessa di insieme infinito ciò che destava tanta meraviglia e sconcerto: il poter essere un insieme infinito equinumeroso o simile4 a un suo sottoinsieme proprio, ovvero la possibilità di porre in corrispondenza biunivoca l’insieme con una sua parte.
Nel 1872, infatti, Richard Dedekind (1831-1916), nella sua opera Stetigkeit und irrationale zahlen, diede per la prima volta la seguente definizione di insieme infinito e di insieme finito: «Un sistema S si dice infinito quando è simile a una propria parte; in caso contrario S si dice un insieme finito».
George Cantor (1845-1918), qualche anno dopo, accolse la definizione di Dedekind ma mostrò come non tutti gli insiemi infiniti hanno lo stesso numero di elementi o meglio la stessa «infinità» di elementi, che egli chiamò potenza dell’insieme. Per esempio l’insieme dei numeri triangolari [n(n+1)/2], dei quadrati perfetti, dei numeri pari, delle frazioni razionali sono simili ovvero hanno la stessa potenza, in quanto possono essere posti in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri naturali {1, 2, 3, …}: sono numerabili. Cantor dimostrò che l’insieme dei numeri reali, invece, ha una potenza maggiore di quella dei numeri naturali.
Ma in realtà questa definizione, coraggiosamente proposta da Dedekind, la si può leggere fra le righe nelle stesse parole di Galileo che, nei Discorsi e dimostrazioni matematiche, parlando sempre per bocca di Salviati, afferma: «Salviati – Io non veggo che ad altra decisione si possa venire, che a dire, infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, infinite le loro radici, né la moltitudine de’ quadrati esser minore di quella di tutti i numeri, né questa maggior di quella, ed in ultima conclusione, gli attributi di eguale maggiore e minore non aver luogo ne gl’infiniti, ma solo nelle quantità terminate».
Galileo è chiarissimo: i nostri concetti di minore, uguale, maggiore sono applicabili soltanto a insiemi finiti ma non a insiemi infiniti, che sono caratterizzati proprio dalla loro non applicabilità. Da queste parole alla definizione moderna di insieme infinito il passo è veramente breve.
Il paradosso della scodella di Luca Valerio
Ricordando il procedimento di Luca Valerio per trovare il volume della sfera, Galileo trova un altro di questi paradossi dell’infinito: un punto risulta uguale a una circonferenza.
Dice, infatti, Salviati, rispondendo a Sagredo: «Salviati – Così si faccia, poiché tale è il vostro gusto: e cominciando dal primo, che fu come si possa mai capire che un sol punto sia eguale ad una linea….» e Galileo prosegue nel suo dialogo con Sagredo, rassicurandolo che potrà capire facilmente questo paradosso seguendo una dimostrazione veramente breve e facile dovuta a Luca Valerio, fatta non per investigare i problemi dell’infinito ma per «un altro suo proposito»:
«Salviati – La dimostrazione è anco breve e facile. […] la troveremo nella duodecima proposizione del libro secondo De centro gravitatis solidorum posta dal Sig. Luca Valerio, nuovo Archimede dell’età nostra, il quale per un altro suo proposito se ne servì, sì perché nel caso nostro basta l’aver veduto come le superficie già dichiarate siano sempre eguali, e che, diminuendosi sempre egualmente, vadano a terminare l’una in un sol punto e l’altra nella circonferenza d’un cerchio, maggiore anco di qualsivoglia grandissimo, perché in questa consequenza sola versa la nostra maraviglia.»
Ma seguiamo la dimostrazione di Luca Valerio.
A una semisfera di raggio r viene circoscritto un cilindro rotondo che ha quindi anch’esso pari a r sia il raggio di base sia l’altezza .
La scodella di Luca Valerio (modello 3D CATIA V5 realizzato dall’autore)
Costruiamo poi il cono rotondo retto inscritto nel cilindro, avente quindi la stessa base e la stessa altezza di questo.
La scodella e il cono di Luca Valerio (modello 3D CATIA V5 realizzato dall’autore)
Il solido ottenuto sottraendo la semisfera dal cilindro viene chiamato da Galileo «scodella».5 Per tale motivo è nota con il nome «scodella di Galileo», ma in realtà è di Luca Valerio, il quale immagina di tagliare con piani paralleli alla base del cilindro i quattro solidi così costruiti: cilindro, semisfera, scodella e cono.
Considerando una sezione longitudinale (si veda la parte a destra della figura precedente) dei quattro solidi, Valerio trae alcune semplici relazioni geometriche che lo portano a concludere, nella dodicesima proposizione del secondo libro del De centro gravitatis solidorum, che la semisfera ha volume doppio del cono: «Hemisferium duplum est coni, cylindri autem subsesquialterum eandem ipsi basim, et eandem altitudinem habentium».
[A sinistra: Pagina 83 del De centro gravitatis solidorum di Luca Valerio (ed. del 1661)]
Ciò dimostrato, è immediato ritrovare la formula del volume della sfera, tenuto conto della formula del volume del cono retto inscritto nel cilindro.
[A destra: Scodella di Galileo (da Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, Giornata Prima)]
Per seguire la dimostrazione di Valerio conviene, però, utilizzare la figura di Galileo contenuta nei Discorsi e dimostrazioni matematiche, nella quale la «scodella» è rivolta verso l’alto, come è più naturale e comodo pensare.
Da essa possiamo facilmente trarre le seguenti relazioni:
PG = FD = CF = CI = r
CP = PH = x (essendo HĈP = 45°)
PI2 = CI2 – CP2 = r2 – x2
Inoltre il piano GN taglia:
Il cilindro secondo il cerchio di area π PG2 = π r2
La semisfera secondo il cerchio di area π PI2 = π (r2 – x2) = π r2 – π x2
Il cono secondo il cerchio di area π PH2 = π x2
La scodella secondo la corona circolare di area π PG2 – π PI2 = π r2 – (π r2 – π x2 ) = π x2
Poiché queste relazioni sono state ricavate considerando un piano secante GN qualunque, Luca Valerio conclude che qualunque sia la sua posizione, il piano secante GN taglia la scodella e il cono secondo sezioni di uguale area (π x2) (si veda la figura che segue).
Le sezioni della scodella e del cono ottenute con un qualunque piano parallelo alla base del cono hanno sempre aree uguali (modello 3D CATIA V5 realizzato dall’autore)
La dimostrazione data da Luca Valerio segue esattamente lo sviluppo poc’anzi dato ma in termini puramente geometrici. Valerio, infatti, non applica l’algebra alla geometria, ma anche formalmente sviluppa il suo ragionamento in termini puramente geometrici.
L’applicazione dell’algebra alla geometria, invece, rende molto più comprensibile e breve la dimostrazione. Uno sguardo alla dimostrazione originale contenuta nel De centro convincerà facilmente di ciò il lettore più curioso.
A questo punto è facile capire il paradosso che Galileo aveva scoperto nella dimostrazione di Valerio: il piano GN nella sua posizione limite superiore intercetta il cono nel suo vertice e la scodella nella circonferenza della base superiore del cilindro. Ma la proprietà dimostrata per un qualunque piano secante GN deve valere pure in questo caso: il vertice del cono è pertanto uguale come estensione alla circonferenza. Ecco come per Salviati (cioè per Galileo) «si possa mai capire che un sol punto sia eguale ad una linea».
Dalla sezione all’intero solido
Da questa considerazione Luca Valerio è portato a concepire la scodella e il cono formati dalla sovrapposizione di «tanti sottilissimi» fogli di aree uguali, rispettivamente a forma di corona circolare e di cerchio, concludendo in tal modo con l’uguaglianza dei volumi della scodella e del cono6:
Volume scodella = volume cono = 1/3 volume cilindro circoscritto = 1/3 π r3
Ma poiché:
Volume semisfera = vol. cilindro – vol. scodella = π r3 – 1/3π r3 = 2/3 π r3
«Manifestum est propositum» ovvero è dimostrato l’asserto della proposizione XII del De centro gravitatis solidorum: il volume della semisfera è doppio del volume del cono retto avente la stessa base e la stessa altezza del cilindro circoscritto alla semisfera.
In tal modo Luca Valerio ritrova rapidamente la formula del volume della sfera:
Volume sfera = 2 Volume semisfera = 4/3 π r3
È implicito nel ragionamento di Valerio che «tanti sottilissimi» fogli voglia dire infiniti fogli di spessore infinitesimo, cioé tendente a zero.
Questo concetto sarà ripreso diversi anni dopo, nel 1626, da Bonaventura Cavalieri, il quale darà un nome preciso agli infiniti fogli infinitesimi della scodella di Luca Valerio: «indivisibili», una specie di atomi delle figure geometriche, corrispondenti dunque agli infinitesimi del moderno calcolo infinitesimale. La pubblicazione ufficiale dell’opera sugli indivisibili è però del 1635: Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota.
La scodella di Luca Valerio porta a una conclusione veramente sorprendente: il principio costruttivo dell’Additive o Layered Manufacturing non è altro che una «materializzazione» di una fase «finita» del processo matematico ad infinitum del passaggio al limite che permette il calcolo del volume di un solido come integrale definito:
V = ∫v dv
Ovvero come «somma di infiniti straterelli infinitesimi», ovvero degli infiniti «indivisibili» di Cavalieri che compongono il solido.
Certamente occorre molto altro affinché un’idea possa tradursi in qualcosa di concreto e utile. E questo è il compito primario del tecnologo. Diceva Herbert Hoover (1874-1964), ingegnere e trentunesimo presidente degli Stati Uniti d’America: «Gran professione quella dell’ingegnere! Con l’aiuto della scienza ha il fascino di trasformare un pensiero in linee di un progetto per realizzarlo poi in pietra o metallo o energia.»
Tuttavia il padre dell’idea matematica dell’Additive Manufacturing è un matematico italiano del secolo XVI: Luca Valerio.
Luca Nicotra
(Ingegnere meccanico e giornalista pubblicista, Presidente dell’Associazione “Arte e Scienza” e Accademico Onorario dell’Accademia Piceno Aprutina dei Velati)
Note
Nell’Additive Manufacturing (A.M.) le operazioni di Computer Aided Process Planning (CAPP), ovvero di scelta dei parametri ottimali per la produzione, sono molto ridotte rispetto al caso del Subtractive Manufacturing proprio delle lavorazioni ad asportazione di truciolo con macchine utensili a controllo numerico (CNC).
Per tale motivo spesso, ma impropriamente, si dice che l’A.M. consente la produzione di un oggetto per lettura diretta del modello geometrico CAD 3D.Le tecniche più utilizzate commercialmente sono : SLA (Stereolitografia), SLS (Selective Laser Sintering), SLM (Selective Laser Melting), FDM (Fused Deposition Modeling), LOM (Laminated Object Manufacturing), LPF (Laser Powder Forming), LENS (Laser Engineered Net Shaping), Inkjets, 3DP (Three Dimensional Printing).
Per una descrizione di tali tecniche cfr. Alberto Boschetto, Luca Nicotra, Prototipazione Rapida in Ingegneria Assistita dal Computer, Vol. 1, 2a ed., UniversItalia, Roma 2014, pp. 341-378 (a cura di Luca Nicotra e Francesca Campana).La mastaba era la più antica forma di sepoltura dei sovrani dell’Antico Egitto, che consisteva nel sigillare la tomba reale, disposta varie diecine di metri sotto il livello del suolo, con una costruzione in muratura di forma tronco-piramidale.
Da più mastabe di dimensioni decrescenti disposte l’una sopra l’altra sono derivate le piramidi a gradoni, poi perfezionate nelle piramidi vere e proprie.
Molti autori (fra i quali Bertrand Russell) chiamano similitudine fra due insiemi la corrispondenza biunivoca fra i due insiemi.
«Per tanto intendasi il mezzo cerchio AFB, il cui centro C, ed intorno ad esso il parallellogrammo rettangolo ADEB, e dal centro a i punti D, E siano tirate le rette linee CD, CE; figurandoci poi il semidiametro CF, perpendicolare a una delle due AB, DE, immobile, intendiamo intorno a quello girarsi tutta questa figura: è manifesto che dal rettangolo ADEB verrà descritto un cilindro, dal semicircolo AFB una mezza sfera, e dal triangolo CDE un cono.
Inteso questo, voglio che ci immaginiamo esser levato via l’emisferio, lasciando però il cono e quello che rimarrà del cilindro, il quale, dalla figura che riterrà simile a una scodella, chiameremo pure scodella: della quale e del cono prima dimostreremo che sono eguali;» (G. Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, Giornata Prima).In virtù del postulato 2 delle Nozioni Comuni della geometria euclidea: se cose uguali vengono aggiunte a cose uguali, gli interi sono uguali.
Indicazioni bibliografiche e sitografiche
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© Pubblicato sul n° 59 di Emmeciquadro