Spesso si sente dire che la scuola non si occupa del presente. Sono soprattutto gli stessi studenti ad avvertire una distanza, percepita come incolmabile, tra la scuola e il mondo in cui viviamo. È inutile dire che non è una soluzione quella che cerca di fare spazio alla contemporaneità tagliando le radici culturali della nostra civiltà.
È, infatti, la modalità con la quale si guarda e si interroga un’opera letteraria o un testo filosofico a renderli nostri contemporanei. Per questo la cultura classica come la storia medievale, per esempio, possono essere insegnate facendone percepire il loro valore fondamentale per la comprensione dell’oggi.
Tuttavia, credo che possa valere per le diverse discipline insegnate a scuola quello che Marc Bloch affermava a riguardo della storia: «l’incomprensione del presente nasce inevitabilmente dall’ignoranza del passato. Ma non è forse meno vano affaticarsi nel comprendere il passato, se non si sa niente del presente. […] Lo studioso che non abbia il gusto di guardare intorno a sé, né gli uomini, né le cose, né gli avvenimenti, meriterà forse il nome di prezioso antiquario, ma opererà saggiamente rinunciando a quello di storico».
Il rischio che gli studenti avvertano lo studio come un lavoro da «antiquari» e non come un’esperienza di conoscenza del reale è molto forte. Forse ciò deriva proprio dalla difficoltà, presente nel mondo della scuola, di tematizzare e di affrontare veramente la contemporaneità. Sono tante le ragioni organizzative e didattiche che si incontrano e rendono problematico svolgere adeguatamente tale tema. Nonostante l’enfasi con la quale si insiste sull’importanza del Novecento, spesso non si riesce ad andare oltre alla trattazione delle vicende culturali d’inizio XX secolo, sia per quanto riguarda le discipline umanistiche, sia per quanto riguarda le discipline scientifiche.
Certamente, si deve questa lacuna non solo ai diversi problemi didattici che possono insorgere nell’insegnamento, ma anche alla difficoltà di concepire in modo sintetico la stessa contemporaneità.
Che cosa è propriamente la contemporaneità? È possibile individuare delle prospettive di lettura che permettano un’adeguata interpretazione delle sue linee fondamentali?
Queste sono alcune delle molte domande che hanno spinto un gruppo di insegnanti di Diesse Lombardia a iniziare un percorso di approfondimento, La contemporaneità: conoscerla per insegnarla, articolato in quattro incontri. In ciascuno di questi momenti esperti e professori universitari si sono resi disponibili per cercare di favorire la comprensione di alcune delle sfide culturali alle quali gli insegnanti oggi non possono sottrarsi, se vogliono tentare di superare la distanza tra la scuola e la realtà del presente.
Quali sono queste sfide culturali?
Una prima sfida è rappresentata dalle questioni inerenti il tema, sempre più urgente, dei diritti dell’uomo. Lo Stato di diritto e la promozione dei diritti umani costituiscono un fondamento per tutte le società democratiche contemporanee.
Tuttavia, la rivendicazione di una molteplicità di diritti soggettivi ha rotto l’equilibrio tra individuo e comunità mettendo alla prova il rapporto tra etica e diritto, generando forti tensioni. Come dirimere queste controversie?
Una seconda sfida culturale presa in considerazione è costituita dal tema della globalizzazione nei suoi aspetti economici e linguistici: una visione fondamentalmente utilitaristica sembra consegnare sia economia sia linguaggio a una progressiva omologazione. Tale impoverimento del patrimonio culturale dell’umanità è una condizione inevitabile della globalizzazione?
Inoltre, come non occuparsi della contemporaneità dal punto di vista artistico-letterario, compito che non è sicuramente né semplice né immediato, ma fondamentale per tentare di aiutare a comprendere quale sia la posizione più adeguata per stare di fronte alla letteratura e all’arte contemporanea?
La prima sfida da cui si è, però, voluti partire è quella rappresentata dai problemi posti dai nuovi orizzonti della scienza: quale il suo rapporto con la tecnica, quale il significato di termini come naturale e artificiale, quale il possibile contributo della filosofia?
A questo riguardo, il 25 novembre scorso, Carlo Soave (già Ordinario di Fisiologia vegetale presso l’Università degli Studi di Milano), Carmine Di Martino (professore di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Milano) e Mario Gargantini (giornalista scientifico) hanno dialogato su tali problemi offrendo importanti spunti di lavoro.
I loro interventi hanno permesso di fare chiarezza sul significato di alcuni termini, la cui ambigua interpretazione è all’origine di posizioni che tendono acriticamente a esaltare la tecnica e la scienza, favorendo visioni tecnocratiche, oppure a demonizzarle, come se per l’uomo esistesse la possibilità di farne a meno.
Senza volere qui ripercorrere puntualmente le relazioni, ne evidenzio alcuni degli aspetti più importanti, in modo tale da fare percepire in che modo questo ciclo di seminari intende favorire una visione sintetica della contemporaneità.
Carlo Soave, ripercorrendo sinteticamente il cammino compiuto dall’uomo dalla domesticazione delle piante alla nascita degli OGM, ha mostrato come sia falsa la contrapposizione tra artificiale e naturale, in quanto, da diecimila anni, la coltivazione delle piante è una delle espressioni della genialità umana, della sua capacità di progettare, di selezionare, di modificare.
Nel corso della storia la natura è venuta così a dipendere dall’uomo, almeno tanto quanto l’uomo dipende da essa. Si può dire che tutte le piante coltivate sono modificate geneticamente. In uno dei passaggi più importanti della relazione, Soave ha voluto chiarire come ciò che definisce gli OGM, non sia la modificazione del genoma, ma il metodo con il quale la si produce. Il vero problema, allora, non è schierarsi a favore o contro le nuove capacità dell’uomo di intervenire sulla natura, quanto comprendere come la tecnica non possa mai essere disgiunta dal soggetto, da come il soggetto si pensa, da che cosa vuole diventare. Non c’è sviluppo umano senza un soggetto consapevole di sé.
L’intervento di Carmine Di Martino ha chiarito, rifacendosi alla paleontologia, in particolare a quanto espresso dal sociologo e filosofo Peter Sloterdijk (1947-…), come il processo di ominizzazione sia conciso con la nascita e lo sviluppo della tecnica. Umano e tecnico, perciò, fin dall’inizio non si contrappongono. La tecnica non corrompe l’umano perché partecipa alla sua emergenza.
Non c’è niente di più irrealistico di pensare l’umano senza la tecnica. È assolutamente sbagliato ritenere che oggi, nell’epoca in cui l’intelligenza ha permesso sviluppi prodigiosi della tecnica, promuovere l’umano significhi operare una sorta di purificazione della vita dalla tecnica. Il punto decisivo è invece comprendere come la questione in gioco sia l’identità umana: che cosa sia l’identità umana; che cosa la minaccia e che cosa la promuove realmente; quali siano i fini da perseguire attraverso le enormi potenzialità della tecnica.
Come ha sottolineato Mario Gargantini, evidenziando il rischio di confondere i mezzi con i fini, il rischio di fare diventare la stessa tecno-scienza lo scopo dell’agire umano, il vero problema è l’«educazione». In un contesto, come evidenziava già Romano Guardini (1885-1968), in cui l’uomo moderno «non è stato educato a un retto uso della potenza», diventa veramente fondamentale rilanciare la questione del senso, dello scopo.
Del resto, la stessa tecnologia invitando a stabilire ciò che la macchina può fare al posto dell’uomo, ha sempre sfidato gli uomini a pensare a ciò che nella loro vita è importante. Si tratta, pertanto, di una questione antropologica, prima ancora che etica: occorre sempre di più chiedersi cosa significhi essere uomini.
Come si è reso evidente in questo primo incontro e, come si spera, lo sarà nei prossimi, si tratta di un tentativo originale di affrontare un problema molto importante, la distanza tra la scuola e il mondo presente, attraverso un’azione di formazione rivolta a tutti gli insegnanti della scuola superiore di primo e di secondo grado.
Troppo spesso, di fronte alle tante difficoltà della scuola, prevale la lamentela, soprattutto nei confronti degli studenti, descritti il più delle volte come disinteressati e annoiati; invece, come suggerisce questo percorso di formazione, la strada più proficua da intraprendere, sebbene lunga e faticosa, è proprio quella dell’educazione: educarsi per educare. In particolare l’affronto di questi temi, che potremmo definire trasversali, ha favorito la partecipazione di insegnanti di svariate discipline a un percorso comune, contribuendo in modo significativo a superare uno dei limiti più grandi del mondo della scuola: un eccesso di settorializzazione che ha reso spesso difficile un vero confronto interdisciplinare.
È possibile reperire tutte le informazioni relative al corso La contemporaneità: conoscerla per insegnarla sul sito di Diesse Lombardia .
Giulio Luporini
(Docente di Storia e Filosofia nella Scuola secondaria di secondo grado, è membro del direttivo di Diesse Lombardia – Didattica e innovazione scolastica, Centro per la formazione e l’aggiornamento)
© Pubblicato sul n° 59 di Emmeciquadro