Questo contributo prende spunto dalla relazione tenuta dall’autore durante l’annuale convegno dell’Associazione Universitas University svolto al CERN di Ginevra nel febbraio 2015 intorno al tema scienza e verità.
Nella prima parte, pubblicata sul n° 59 – dicembre 2015 della rivista, illustrando le conoscenze scientifiche sul comportamento umano, l’autore ha preparato il terreno per riflettere sulla conoscibilità del reale e sulla responsabilità dello scienziato nella ricerca e nella comunicazione.
Un terreno difficile, dove i «dati» della scienza si scontrano spesso con le «riflessioni»del mondo filosofico, ma, per l’autore, un’occasione per mostrare l’importanza della coscienza personale di ogni uomo di fronte alle verità maturate nella propria vita, espressa in chiusura dalla citazione di Rabbi Akiba: «Misura la sincerità e la pietà nel tuo cuore e conoscerai le distanze nel cielo».
Nella prima parte di questo contributo si è fatto riferimento a quanto la genetica, lo studio dell’evoluzione, la neurologia e psicologia evoluzionistica e alcune ipotesi cosmologiche possono contribuire a una discussione su scienza e verità.
Infatti, se la sede ultima della verità è la coscienza, questa esiste solo come sede dell’unicità di ogni singolo individuo. Nel dibattito plurisecolare attorno alla possibilità dell’uomo di formulare giudizi di verità si sono scontrate diverse posizioni.
Tuttavia, sia che si faccia riferimento a principi di valore emananti da un Ente esterno al mondo e all’universo, sia che dentro di noi il caso, la necessità e la contingenza li abbiano creati, o sia che il futuro, mente umana compresa, sia stato in potenza contenuto nella molecola di un DNA primigenio, la coscienza di ciascuno uomo, definito il suo stato morale, deve rispetto allo stesso accettando e praticando le verità che ha maturato.
Dall’antropologica alla domanda cosmologica
A parere di Telmo Pievani [42] l’astrofisica è un catalogo di «buchi» esplicativi: non sappiamo spiegare la singolarità dell’inizio dell’universo, la formazione delle galassie, l’inizio del tempo, i confini dell’universo, la natura della luce, cosa c’era prima del Big Bang, come finirà la nostra storia universale. È possibile che alcune delle note di Pievani non trovino risposte per inerenti e ovvie difficoltà metodologiche della ricerca astrofisica.
È esperienza comune osservare che le riflessioni sul cosmo hanno sempre generato più domande che fornito risposte [53, 54]. La sola domanda se ci fu una «nascita del tempo» ha attratto l’attenzione continua di scienziati, filosofi e scrittori. Probabilmente c’è stata la nascita del nostro tempo così come è nato il nostro universo.
[A sinistra: Ilya Prigogine (1917-2003)]
La nascita del nostro tempo non dovrebbe, secondo l’autore citato, essere la nascita del tempo. Già nel vuoto fluttuante il tempo preesisteva allo stato potenziale.
Possiamo immaginare un tempo potenziale allo stato latente e che chiede un evento per attualizzarsi. In questa immaginazione il tempo non nasce con il nostro universo ma ne precede l’esistenza, e potrà assistere alla nascita di altri universi [55].
L’universo dei quanti
Propone una difficile verità del mondo, totalmente esterna all’uomo, fondata su alternative di probabilità.
[A destra: Werner Karl Heisenberg (1901-1976)]
La teoria dei quanti accetta che le particelle subatomiche possano avere comportamenti inattesi spiegabili solo se una particella si trova in due luoghi contemporaneamente [44]. Questo limite di accuratezza che permea l’universo è noto come «principio di indeterminazione di Heisenberg».
Hugh Everett [57] si convinse che la matematica dei quanti descrivesse la realtà: se le relative equazioni ammettono molteplici risultati, da qualche parte si verificheranno tutti. È il punto di partenza per sospettare l’esistenza, in dimensioni per noi non percepibili, di molti universi. La cosmologia quantistica ipotizza che universi-bolle multipli scaturiscano in modo casuale da un vuoto quantistico con probabilità calcolabili [58].
L’accettazione della teoria dei quanti ha profondamente modificato il nostro modo di vedere il mondo perchè rappresenta un allontanamento radicale dall’antropocentrismo e ipotizza una fonte fisica di possibili eventi a noi sconosciuti e soprattutto difficilmente indagabili.
[A sinistra: Jacques Monod (1910-1976)]
Al contrario, Einstein, lo scienziato che ha dominato la fisica del XX secoloII sospettava che Dio potesse essere nascosto nella natura delle leggi fisiche, un atteggiamento che conteneva l’ammissione dell’esistenza possibile di una verità assoluta.
La ricerca nel cosmo di verità scientifiche è stata particolarmente fruttuosa [59], ma la complessità e vastità dell’oggetto da indagare rimane tale da rendere la verità scientifica particolarmente difficile da definire e controllare.
Il contributo della cosmologia al nostro tema è comunque rilevante: introduce domande più di risposte ma rimette in gioco discipline, come la filosofia e la teologia che, per ruolo e storia hanno e possono contribuire a rispondere al chi siamo.
Il mondo è reale e conoscibile
La nostra specie ha sempre considerato quasi un dovere il tentativo di spiegare il mondo e se stessa. L’approccio alle verità del mondo fisico, quelle dell’uomo incluse, per secoli oggetto della filosofia, si identifica oggi nella scienza, motore del sapere che sostiene le tecnologie in uso nelle attuali società. Con limiti o incertezze.
Un esempio riguarda lo studio della base biologica della natura umana che, verso la fine dello scorso secolo, venne considerato con timore: si temeva mettesse in dubbio gli ideali sociali che le società umane si assegnavano. Un filosofo, Emanuele Severino [60], richiama, al proposito, la tesi di Gyorgy Lukacs (Storia e coscienza di classe; 1923).
Lukacs fu negativo, riguardo all’applicazione dei metodi delle scienze naturali alla società, perché la scienza assume che la natura non sia in sé irrazionale: se contraddizione si notasse questa dovrebbe ascriversi alla riflessione scientifica sulla realtà (il concetto era stato esplicitato per evitare che nell’analisi della società capitalistica automaticamente la si assolvesse, dovendo cercare le colpe solo nel metodo adottato).
Quando, con l’avvento della sociobiologia e della psicologia evoluzionistica, le paure riaffiorarono, il mondo dei biologi e dei filosofi si divise in due fazioni che si sono da allora affrontate su posizioni spesso venate da ideologie contrapposte (una lunga cronaca, di parte, di quanto succedeva si può leggere in John Dupré [61]). Malgrado la disputa non sia ancora sopita, è quasi un obbligo morale affrontare senza riserve ogni tentativo di rispondere in modo scientifico anche alle domande che ci riguardano [62].
Come già discusso, si deve però considerare che delle teorie scientifiche si dice che sono «probabilmente» vere [63]. Nonostante questo, la scienza si basa su un a priori: il mondo esterno a noi è reale ed è possibile comprenderlo [64]. Schiere di scienziati e di filosofi sono addirittura stati affascinati dall’idea di un mondo non solo oggettivamente reale ma anche deterministicoIII.
Date certe condizioni iniziali, la concatenazione degli eventi evolutivi sarebbe già stata scritta all’inizio del processo, come se gli uomini fossero prigionieri di eventi che risalgono addirittura all’origine del tempo [2].
In realtà la storia naturale ci insegna che, specialmente per quanto riguarda l’evoluzione della vita sulla Terra, la contingenza (assenza di una dinamica preordinata nel gioco dei vincoli che hanno regolato la congiunzione tra caso e necessità [42]; si veda anche oltre) ha giocato un ruolo.
Questa posizione è condivisibile, ricordando tuttavia che, specialmente nelle scienze biologiche, esistono quasi infiniti esiti del passato evolutivo assimilabili a tanti micro determinismi: si consideri, per esempio, lo sviluppo di un uovo di Drosophila in una larva, dove innumerevoli processi metabolici tra loro interagenti vengono ripetuti all’infinito in modo simile per tutte le uova, una osservazione che era servita a Conrad Waddington [65] per chiarire che lo sviluppo organico era canalizzato, concetto esteso anche all’evoluzioneIV.
Una considerazione analoga si adatta alla struttura della materia dove le particelle elementari – che esistono in numero finito – obbediscono a leggi che regolano le loro poche interazioni [66] e che Giovanni Bignami [59], quando considera la «Teoria dell’Evoluzione del Tutto», estende, oltre alla biologia, anche alla chimica dei processi inorganici e organici affermando che, in un dato contesto locale, la diversa velocità delle reazioni chimiche premia una reazione che prevale sulle altre, un esito quasi darwiniano.
La vita deve tener conto della dinamica di queste reazioni condizionate da leggi fisiche e chimiche, e, di conseguenza, l’evoluzione chimica assegna direzione e soluzione a processi assimilabili a forme di determinismo chimico [59].
Una visione neurologica del determinismo biologico è presente nel comportamento individuale: quando gli uomini si considerano in grado di innalzarsi sopra la loro natura biologica definendo se stessi con le proprie idee vengono in parte sottovalutati i codici sociali. I neuroni specchio suggerirebbero, al contrario, che anche i codici sociali hanno uno sfondo chiaramente biologico [23].
I dubbi sull’esistenza di verità assolute e intrinseche al mondo che conosciamo possono anche essere epistemologici, la non conoscenza o poca precisione di leggi o concetti sulla natura dovute a ignoranza o indifferenza o impossibilità. Per esempio, il non conoscere «quello che c’era prima del Big Bang» potrebbe significare che esiste un orizzonte per la conoscenza teorica (nel senso dell’orizzonte dei fotoni: il luogo dei punti dello spazio dove la velocità apparente della sua espansione raggiunge quella della luce, frontiera dello spazio osservabile).
Verità e leggi della natura
La Terra è un laboratorio in cui la natura o Dio rende manifesti i risultati di infiniti esperimenti [67]. Alla ricerca di possibili spiegazioni della natura entro la quale vive, l’uomo interpreta gli esperimenti naturali tentando di costringerli in leggi fisiche.
Il processo che la scienza segue nel cercare di definire le leggi naturali è discontinuo, essendo spesso legato a folgorazioni mentali di singoli scienziati attivi in tempi e condizioni permissivi per le loro scoperte. Inoltre, il processo è frequentemente soggetto a revisione che affina la verità scientifica.
Vengono presentati due casi di come la verità scientifica raramente è assoluta ma spesso perfettibile se non negabile e sostituibile.
Il primo riguarda la modifica ereditabile di un carattere indotta dall’ambiente. La pianta Craterostigma plantagineum perde fino al 96% del suo contenuto in acqua, risorgendo poi dopo alcune ore di re-idratazione.
La pianta, che ha un aspetto del tutto normale (a sinistra), lasciata senza acqua si dissecca fino a contenere solo il 2% di acqua (al centro). Differentemente dalle piante che conosciamo, le piantine secche di Craterostigma se rimesse in acqua ritornano allo stato normale di idratazione (a destra) e continuano a vivere.
Il tessuto della pianta coltivato in vitro è tollerante alla perdita di acqua se pre-incubato con l’ormone acido abscissico (ABA). L’ormone, o la carenza di acqua, inducono, infatti, la trascrizione dei geni che conferiscono ai tessuti la capacità di ri-idratarsi risorgendo.
Un esperimento di trasformazione di Craterostigma con un costrutto che, una volta inserito nel genoma, può attivare funzioni responsabili della resurrezione, ha permesso di isolare tessuti trasformati che resistono alla perdita di acqua in assenza dell’ormone.
È stato isolato e sequenziato il DNA del gene CDT-1 responsabile del comportamento di questi tessuti che rimangono vivi anche quando hanno subito una grave perdita di acqua. Appartiene a una famiglia di retro trasposoni (elementi genetici che possono cambiare la loro posizione nei cromosomi quando il loro RNA viene prodotto, copiato in DNA e reinserito nel genoma), retro trasposoni trascritti specialmente durante l’essicazione dei tessuti.
Il gene CDT-1 non codifica una proteina ma un piccolo RNA (siRNA a doppio filamento di 21 paia di nucleotidi) in grado di aprire i cammini metabolici della resistenza alla perdita di acqua [68]. È stata anche ricostruita la serie di retro trasposizioni che hanno permesso alla pianta la sintesi di livelli significativi dell’siRNA e quindi la sua capacità di risorgere.
È coerente interpretare l’esperimento assumendo che una variabile ambientale – siccità – induce la retro trasposizione di un elemento ripetuto, a cui consegue la inserzione di nuove copie dello stesso nel genoma, che così acquisisce la capacità di resistere a drastiche condizioni ambientali. Quello descritto è un meccanismo del tutto coerente con l’ipotesi di Lamarck relativa all’ereditabilità dei caratteri acquisiti sotto stimolo ambientale.
Il secondo caso di distorsione della verità scientifica riguarda gli organismi geneticamente modificati.
In Europa, Italia inclusa, gli OGM sono discussi adottando la premessa falsa che sono dannosi alla salute e all’ambiente. Si comprenderebbe la posizione di governi e media se si sostenesse che ragioni economiche e turistiche sconsigliano il ricorso agli OGM.
Non si comprende, invece, come mai una verità molto semplice venga sostituita da un falso. Da dove viene la paura verso questi innocui prodotti della tecnologia? Se lo chiede Pinker [10]. L’autore la riconduce in parte a una scuola di giornalismo che accetta come veri dati falsi derivati da esperimenti sull’effetto nei topi dei cibi OGM, ma in parte da un’impostazione mentale relativa al nostro intuito biologico che ci spinge a credere che le cose vive abbiano un’essenza invisibile che dà loro una forma e delle facoltà.
Nel contesto della discussione degli OGM si considera che i cibi naturali derivino da organismi con una essenza pura di pianta o di animale, conferita loro anche dalla potenza dell’ambiente naturale dove essi crescono. Questa intuizione, che si forma precocemente negli uomini e aiuta a definire anche i comportamenti verso il mondo che ci circonda, è una fallacia naturalistica che ci può portare all’errore.
Per concludere su quelle che nei libri di testo vengono proposte come leggi naturali, è verosimile che ogni singolo scienziato si conceda interpretazioni variabili e livelli diversi di accettazione (è qui eventualmente da considerare la posizione di Dupré [61]: sostiene su basi empiriche e concettuali che non esistono leggi di natura universali e inderogabili).
La diversità interpretativa delle leggi naturali rimanda ai qualia: se da un lato mina la piena accettazione da parte della comunità scientifica, dall’altro introduce forme di critica che aiutano a modificarle o cambiarle: le verità incomplete sembrerebbero quasi una necessità della scienza in evoluzione.
Al di fuori del nostro mondo
Nella contrapposizione tra chi ritiene il mondo autosufficiente e chi lo vede come materializzazione di entità o voleri esterni al mondo, o nella discussione tra determinismo e contingenza, l’esistenza di una entità, chiamiamola Dio, viene spesso affrontata con accenni frettolosi se non indifferenti: si sostiene «ritorna il creazionismo», spesso identificato nel disegno intelligente.
La discussione che segue, tuttavia, esclude questa recente interpretazione della realtà del mondo, assumendo che discutere la sua verità senza considerare l’ipotesi Dio è atto di illogico orgoglioV.
«C’entra o no Dio con quello che esiste?» La domanda non è inutile se nei secoli ha attirato l’attenzione di tanti filosofi e scienziati. Voltaire: «Se esiste un orologio così perfetto deve esistere un orologiaio». Gottfried Wilhelm Leibniz: «Perché c’è qualcosa anziché niente?». Isaac Newton riteneva che la sua teoria si limitasse a descrivere gli effetti della gravità e che Dio potesse essere nascosto nella natura della gravità, una posizione simile a quella di Albert Einstein che, per un certo periodo della sua vita, sospettava che le leggi fisiche fossero l’incarnazione di Dio. Per i pitagorici Dio non era un matematico, ma la matematica era Dio.
L’idea che la matematica sia il linguaggio dell’universo, e di conseguenza l’idea che Dio sia un matematico, nasce dall’opera di Archimede a cui Galileo Galilei si allinea [5]. Anche Stephen Hawking ritiene che se verrà sviluppata una teoria del tutto gli uomini conosceranno la mente di Dio. Posizioni più agnostiche o critiche obiettano che qualsiasi entità capace di reggere il cosmo intero deve trovarsi al di là dell’umana comprensione, nel qual caso non importa se affermiamo che esiste o che non esiste [3], la domanda non è di pertinenza scientifica e il Big Bang non è una metafora della creazione. Per Richard Dawkins sfidare l’autorità di pensatori come Kant e Hume non deve intimorire: «Dio esiste o non esiste. È una questione scientifica; un giorno conosceremo la risposta e nel frattempo possiamo dire qualcosa di abbastanza concreto in merito alle probabilità» [42].
È certo che esiste almeno un universo, il nostro, compatibile con la vita umana. Da dove provengono le costanti fondamentali della natura? Perché sono così «adatte» alla comparsa della vita e dell’uomo?
Un’estinzione di specie acquatiche avvenuta tra il Pleistocene e il Pliocene fu forse causata da radiazioni cosmiche provenienti da una supernova dello Scorpione Centauro. È stata fatta l’ipotesi che forme di vita avanzate abbiano concrete probabilità di evolversi solo nelle regioni galattiche povere di stelle, le zone di vita. Nelle regioni più dense fenomeni assimilabili all’esplosione di supernove potrebbero cancellare con regolarità ogni tentativo evolutivo [69].
Una ipotesi cosmologica è il modello scientifico tradizionale: l’universo inizia in un determinato momento e lentamente degenera verso lo stato di morte termica. Il modello ha consenso perché introduce la nozione di tempo universale – il tempo di Dio – e la certezza che è esistita una data precisa per la creazione [64].
La cosmologia quantistica ammette invece l’esistenza di universi multipli che nascono, con probabilità calcolabili, in modo casuale dal vuoto quantistico, come se esistessero limiti assoluti alla nostra capacità di predire il futuro basandoci su leggi fisiche.
La sua accettazione ha profondamente modificato il nostro modo di vedere il mondo. Forse ha solo spostato la domanda cosmologica più indietro in un improbabile tempo assoluto [70], aggiungendo comunque incertezze che la scienza deve considerare sollecitando anche i contributi della filosofia e della teologia.
La verità è una responsabilità individuale
Nel testo si è cercato di condurre il lettore su sentieri difficili anche per chi ha scritto. Quello che emerge dalle pagine che precedono spesso contiene, infatti, molte verità almeno parzialmente questionabili. Inoltre, se la sede ultima della verità è la coscienza, questa esiste solo come sede dell’unicità di ogni singolo individuo: unico vuol dire diverso ma anche responsabile in sé e per sé.
Un atteggiamento che può aiutare è riconoscere che se da una parte l’orgoglio di essere come siamo ci avvicina alle grandi domande, dall’altra la pratica dell’umiltà suggerirebbe un giudizio di sé continuo in termini di verità.
È vero che conoscere come l’evoluzione ha influito sugli impulsi morali aiuta se li si considera parte del nostro patrimonio genetico [52, 71]. Per Immanuel Kant, invece, solo una legge universale può garantire a un essere razionale una ragione sufficiente per agire in buona fede, una anticipazione della necessità di un Ente esterno al mondo che diventa il riferimento per i giudizi di verità.
La psicologia morale, dominata nel secolo scorso da Jean Piaget (1896-1980) e Lawrence Kohlberg (1927-1987), sosteneva una terza via: i giudizi morali sono tramandati dalla società, perfezionati in funzione dell’esperienza e basati sulla capacità di ragionare su dilemmi morali [72].
In questo dibattito plurisecolare viene spesso dimenticato il ruolo di una possibile cultura della verità praticata su basi personali. Infatti, sia che si faccia riferimento a principi di valore emananti da un Ente esterno al mondo e all’universo, sia che dentro di noi il caso, la necessità e la contingenza li abbiano creati, o sia che il futuro, mente umana compresa, sia stato in potenza contenuto nella molecola di un DNA primigenio, la coscienza di ciascuno uomo, definito il suo stato morale, chiede di essere leali accettando e praticando le verità che ha maturato.
È un richiamo difficile da comunicare, ma nondimeno particolarmente utile per chi si dedica alla ricerca scientifica (si riconsideri il paragrafo sull’autoinganno). La migliore espressione di questa raccomandazione è una citazione posta in apertura di un capitolo del libro La segreta geometria del cosmo.
L’autore cita Rabbi Akiba, martire nel 132 d.C.IV: «Misura la sincerità e la pietà nel tuo cuore e conoscerai le distanze nel cielo»[58].
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Francesco Salamini
(Accademico dei Lincei, membro del comitato scientifico di Expo 2015. Già professore di Botanica e Fisiologia all’Università di Piacenza, ha diretto istituti per il miglioramento genetico delle piante in Italia e all’estero)
Note
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Nella meccanica quantistica si assume che le forze o le interazioni tra le particelle siano tutte descrivibili attraverso lo scambio di particelle.
La forza gravitazionale che può agire anche a grandi distanze è attrattiva e dovrebbe essere mediata da particelle (i cosiddetti gravitoni).
La forza (interazione) elettromagnetica coinvolge le particelle dotate di carica elettrica, come gli elettroni e i protoni, ma non con quelle prive di carica, come i neutroni. L’interazione elettromagnetica è attribuita allo scambio di particelle dette fotoni.
La terza forza è indicata come forza nucleare debole responsabile della radioattività, cioè del decadimento dei nuclei atomici.
La forza nucleare forte, tra le quattro la più forte, garantisce la coesione tra la materia del mondo in cui viviamo. È responsabile del legame che unisce i protoni e i neutroni nel nucleo di un atomo. All’interno dei protoni e neutroni, le particelle elementari (i quark) sono tenuti insieme da una particella, il gluone [69].
Il problema dell’unificazione delle forze e delle particelle elementari che costituiscono la materia è discusso, con difficoltà per l’eccesso di dettagli specialistici, in Frank Wilczek [66]. -
La relatività generale non tiene conto delle proprietà della materia descritte dalla fisica quantistica. Assume che la gravità sia conseguenza della curvatura dello spazio-tempo che è «distorto» dalla distribuzione della massa-energia in esso presenti. La massa del Sole incurva lo spazio-tempo quadrimensionale: la Terra segue una traiettoria rettilinea nello spazio-tempo, ma nello spazio tridimensionale si muove lungo un’orbita ellittica. Secondo la relatività generale, in prossimità di una massa elevata come quella della Terra lo scorrere del tempo è più lento.
La teoria predice l’esistenza nell’universo di un punto dove la teoria stessa perde validità: le soluzioni delle equazioni di Einstein indicano che circa 13,7 miliardi di anni fa la distanza fra le particelle vicine deve essere stata pari a zero.
L’esistenza di questa particolare topografia cosmica è un esempio di ciò che i matematici definiscono una singolarità dello spazio-tempo che, per il nostro universo, corrisponde al cosiddetto Big Bang. George Gamow predisse che a quel tempo l’universo avrebbe dovuto essere estremamente caldo e denso. Robert Henry Dicke e Jim Peebles suggerirono allora che fosse possibile vedere i bagliori dell’universo primitivo perché la luce delle regioni remote avrebbe potuto raggiungerci soltanto ora.
Questa luce esisterebbe sotto forma di una radiazione a microonde: la radiazione cosmica di fondo. In qualsiasi direzione Arno Penzias e Robert Wilson puntarono la loro antenna, la radiazione di fondo non variava: confermarono così l’assunto di Alexander Friedman: l’universo appare identico in qualunque direzione si guardi [69].
Oggi sappiamo che l’universo si sta espandendo di un valore compreso tra il 5 e il 10 per cento, ogni miliardo di anni [69]. Le galassie si allontanano sistematicamente tra di loro con velocità proporzionali alla loro distanza; Georges Lemaitre indica che non fuggono ma è lo spazio-tempo che si espande. Le galassie, inoltre, non dovrebbero essere strutturate se dovessero essere trattenute solo dalla loro gravità. Nasce da qui l’ipotesi della materia oscura che comunque sviluppa gravità. Se l’universo si sta espandendo, deve esistere una corrispondente forza espansiva, per ora indicata come energia oscura. Tra energia e materia oscura si raggiunge il 96% di tutto quanto l’universo contiene. Il restante 4% è la materia che conosciamo che, secondo il modello standard, consiste di due tipi particelle: quark e leptoni.
Il modello standard spiega la forza elettromagnetica e le due forze nucleari (forte e debole) che sono mediate da messaggeri, i bosoni (fotone, gluone, bosoni W e Z). Il bosone di Higgs dovrebbe conferire alle particelle una massa. Non è ancora disponibile una visione del mondo che contenga anche la forza di gravità (discusso in Bignami [59]).
Secondo la teoria quantistica è possibile che lo spazio-tempo abbia un’estensione finita senza però avere dei limiti come un confine o un margine esterno [69]. Carl Friedrich Gauss, Janos Bolyai, Nikolai Ivanovich Lobacevskij e Bernhard Riemann hanno, infatti, sviluppato le geometrie non euclidee, dimostrando che uno spazio illimitato non è necessariamente infinito: è finito ma senza frontiere, una ipersfera. -
Stephen J. Gould [78] nello spiegare il significato della parola evoluzione assegna al processo una curiosa connotazione deterministica, posizione che non traspare dalla sua poderosa opera di ricercatore e divulgatore «Evoluzione in inglese significa svolgere nel tempo, in modo progressivo e direzionale, una sequenza di eventi, come si srotola la cima arrotolata delle foglie di felce, una “evoluzione” di parti preformate».
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Il concetto di canalizzazione considera il ruolo di decisioni metaboliche relative specialmente all’organizzazione dei piani di sviluppo corporale, decisioni che in stadi di sviluppo successivi condizionano la scelta di ulteriori possibilità di sviluppo. Queste, infatti, dovranno rispettare i limiti posti dalle decisioni precedenti.
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Un tema affascinante è posto dalla domanda: è concessa all’intelligenza e alla ragione la capacità di provare l’esistenza di Dio? La considerazione della vita e del pensiero di Anselmo d’Aosta [79] contribuisce a una risposta.
Credo per comprendere, credo ut intelligam, riassume la speculazione del filosofo medioevale. Anselmo ritiene molto umano che la fede tenda all’auto-comprensione [80]. Infatti, premette che «se non crederò, non comprenderò» (Proslogion) e conferisce al pensiero un ruolo indispensabile nel realizzare un piano della verità dove la mente umana è capace di cogliere la realtà e di dare giudizi morali [81]: «l’intelligenza raggiunta nella vita sta a metà tra fede e visione beatifica, e quanto più si cammina verso l’intelligenza, tanto più ci si avvicina alla visione».
È un atteggiamento che tende alla ricerca dell’evidenza intellettuale dell’oggetto, Dio, dell’indagine [82]. Anselmo manifesta, in questo, un profondo desiderio: Credo sed intelligere desidero (De libertate arbitrii). Nel Monologion afferma «E quando parlo di un dire della mente o della ragione, intendo non il pensare il suono significante, ma il vedere presenti alla mente con lo sguardo del pensiero le cose stesse future o esistenti». Fino a esplicitarsi nell’affermazione che «la mente razionale è la sola creatura che possa assurgere a investigare la somma essenza […].per similitudine di natura. È quindi evidente che quanto più intensamente la mente razionale attende a conoscere se stessa, tanto più efficacemente ascende a conoscere la somma essenza».
Anselmo ha anticipato che nella comprensione di come il cervello opera e si è evoluto sta la chiave che spiega l’uomo e che lo avvicina al primo motore. -
Rabbi Akiba. Ben Joseph Akiba (Akiva) è stato una autorità della tradizione ebraica e uno dei padri del giudaismo rabbinico. Nato attorno al 50 d.C. morì nel 132 d.C., giustiziato dai romani dopo molti anni di carcere.
Rifiutò di obbedire a un editto dell’imperatore Adriano che vietava la pratica e l’insegnamento della religione ebraica. La sua tomba a Tiberiade è meta di pellegrinaggi di preghiera.
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© Pubblicato sul n° 60 di Emmeciquadro