L’enorme progresso dell’elettronica e dell’informatica, pone la domanda se sia ormai lo sviluppo tecnologico a determinare il tipo di società umana, piuttosto che siano le esigenze della società a guidarlo.
L’articolo chiarisce che un’applicazione tecnologica nasce sempre come una risposta a un bisogno o a un desiderio. Il problema diventa allora non tanto dello sviluppo tecnologico in sé, ma dell’uomo che lo gestisce.
Occorre, secondo l’autore, una «profonda consapevolezza di sé con la quale è necessario che le stesse conoscenze scientifiche e tecnologiche vengano sviluppate e utilizzate».



Poco più di cinquant’anni fa, nell’aprile del 1965, Gordon E. Moore, che era allora il direttore del dipartimento ricerca e sviluppo della società americana Fairchild Camera and Instrument Corporation, scrisse un articolo per la rivista Electronics nel quale osservava che la quantità di transistor che potevano essere inseriti in un circuito integrato, era raddoppiata ogni anno, da quando essi erano stati inventati; sulla base di tale constatazione l’autore prediceva che questo trend, sarebbe proseguito anche nel futuro (predizione che divenne nota come Legge di Moore).
[A sinistra: Gordon E. Moore (1929- )]
Egli ebbe fiuto nel riconoscere che un trend di sviluppo esponenziale si stava verificando nel mondo della microelettronica, e fu presto chiaro che la stessa cosa stava accadendo anche per altri componenti, quali dischi, memorie, cavi ottici, eccetera.
È grazie a questo rapidissimo sviluppo che elettronica e informatica hanno consentito la diffusione di massa di una miriade di nuovi prodotti e servizi, e hanno dato origine a un gran numero di nuovi modi di vivere e di lavorare.
Questo trend tecnologico, così come quelli che si sono verificati nel recente passato in tanti altri campi della tecnica, ha avuto una forza di trascinamento enorme, e se riflettiamo sull’infinita quantità di avvenimenti culturali, sociali, politici ed economici che si sono nel frattempo verificati nel mondo, sembrerebbe di poter concludere che, la tecnologia (e non solo quella elettronico/informatica) è capace di continuare a svilupparsi a un suo «inevitabile» passo, apparentemente indipendente da tutto quello che capita, come se essa fosse il vero motore delle vicende umane, o almeno di quelle della storia moderna.
Per questo si comprende molto bene la legittimità della domanda che diversi studiosi e osservatori1 del mondo della tecnologia2 si sono posti, e che potremmo sinteticamente formulare in questi termini: è la società che guida lo sviluppo tecnologico, o è lo sviluppo tecnologico che determina la società?



Lo sviluppo tecnologico determina la società?

Per la verità questa domanda è tutt’altro che nuova, e la questione se lo sviluppo della tecnologia sia la forza principale che condiziona l’evoluzione della civiltà moderna (e forse anche di quella antica), attraversa la storia di almeno gli ultimi due o tre secoli.
Potrebbe sembrare una domanda, da addetti ai lavori, e dunque di scarso interesse generale, ma in realtà si tratta di una questione che non è difficile rendersi conto di quanto impatti non solo con i destini della storia umana, ma anche con la vita quotidiana di ognuno di noi. Per restare all’informatica/elettronica, la sua penetrazione nei nostri modi di lavorare, comunicare, insegnare, divertirsi, eccetera, offre molte occasioni di esemplificazione, ormai talmente note che non ci sembra neanche il caso di ripeterle.
Basta solo ricordare che abbiamo nelle nostre case e uffici computer enormemente più potenti di quelli che servirono ai primi astronauti a sbarcare sulla luna, e una nutrita serie di altri marchingegni elettronici3 (la metà dei quali, nel giro di 5-6 anni, probabilmente saranno superati); inoltre chi scrive, e probabilmente buona parte dei lettori, passa ormai una discreta fetta della sua giornata davanti a un computer o attaccato a uno smartphone.4



Il computer AGC (Apollo Guidance Computer) delle missioni lunari

È questa progressione che guida le attuali relazioni fra tecnologia e cultura, e sembra che non ci sia classe sociale, appartenenza etnica, livello di istruzione o di coscienza sociale che tenga: una serie di tecnologie vengono adottate in massa, senza metter niente in discussione, e tutti sembriamo alla mercé di chi le produce o le vende.
Insomma sembra proprio che la potenza dei computer, degli smartphone, o anche la gamma di optional delle automobili, la quantità di medicine e di procedure biologiche che abbiamo a disposizione, debbano aumentare semplicemente perché possono aumentare.

Ciò non è forse una chiara dimostrazione che non è la società a scegliere in che modo, e se, l’informatica, la meccatronica, le biotecnologie, eccetera, devono crescere, ma sono queste tecnologie a determinare come la società deve adattarsi alla loro esistenza5?
A dir la verità ogni tanto si sente ancora qualche voce isolata che prova a manifestare il suo dissenso rispetto a quelle che diventano le abitudini tecnologiche dominanti (spesso delle vere e proprie «mode») e addirittura, diversi anni fa, qualcuno scriveva saggi «in odio ai computer»6.
Ma sembrano più degli sfizi e delle idiosincrasie di singoli personaggi, che fanno tanto «pittoresco», come gli Amish della Pennsylvania, e di cui si può sorridere benevolmente, perché tanto il mondo va in tutt’altra direzione.

 

 

Quale giudizio dare?

 

Ora che giudizio dare su tutto questo? È innegabile che ci troviamo coinvolti in un meccanismo che non governiamo, e che questo ci può mettere alla mercé di chi in qualche modo lo domina e lo promuove, ma la larga accettazione sociale che certi prodotti o certi modi di fare incontrano, dipende solo dal fatto che siamo «costretti a convincerci che ci possono servire» da martellanti campagne pubblicitarie7 (come quelle sui telefonini) o dipende anche dal fatto che questi prodotti (PC, cellulari, automobili, condizionatori d’aria, eccetera) ci affascinano e ci piacciono maledettamente, [A destra: Telefoni cellulari in India] perché consentono di soddisfare alcuni nostri bisogni/desideri fondamentali, quali essere sani, comunicare, conoscere, divertirsi, muoversi, avere una casa calda d’inverno e fresca d’estate, eccetera, sempre presenti nella natura umana, e che oggi vengono soddisfatti con una facilità in altri tempi assolutamente inconcepibile?
Apparentemente non c’è niente di disdicevole in queste esigenze o desideri, ma il modo in cui oggi sempre più facilmente (spesso con grandi sprechi e in modo futile), almeno nei paesi avanzati, riusciamo a soddisfarli, mentre molti individui e popoli non hanno ancora nemmeno la possibilità di esprimerli, pone indubbiamente problemi esistenziali ben più gravi di quelli che la tecnologia è in grado di risolvere, come ha ben evidenziato Papa Francesco nella sua recente Enciclica Laudato si’8.

 

 

Una risposta ai desideri dell’uomo

 

Eppure nessuno può negare che gli uomini abbiano sempre cercato di comunicare coi loro simili, fossero essi semplicemente un parente in viaggio, o un amico scienziato con il quale scambiare delle opinioni su una osservazione astronomica.
O che gli uomini abbiano sempre avuto bisogno di muoversi, si trattasse semplicemente di portare un carico di ortaggi al mercato più vicino, o di soddisfare il proprio desiderio di conoscere posti lontani. O che gli uomini abbiano sempre avuto bisogno e desiderio di scaldarsi e di lavarsi, non solo per vivere anche d’inverno, invece di andare in letargo come le marmotte, ma anche per farsi belli.
Così, per comunicare, un tempo c’erano solamente le lettere, poi il telegrafo e il telefono, ora ci sono gli smartphone, internet e i social network, che permettono di avere uno scambio di dati, informazioni, opinioni quasi immediato fra luoghi agli antipodi del mondo, quando un tempo ci volevano mesi per avere la risposta a una semplice lettera.
Certamente è cambiata drasticamente la rapidità e la comodità con la quale il bisogno o il desiderio di comunicare viene soddisfatto, ma tutt’oggi la permanenza del desiderio è il motivo e il motore dello scambio; senza bisogno o desiderio di comunicare non ci sarebbero le e-mail, i twitt, gli sms o altre forme di messaggistica elettronica, ma non ci sarebbero state neanche le lettere.
Ugualmente, per spostarsi prima c’erano solo le carrozze a cavalli, poi i treni, poi le automobili e gli aeroplani, che permettono di andare sempre più veloci e sempre più lontano (addirittura qualcuno ci sta preparando la possibilità di fare i «turisti spaziali»). Ma è il desiderio di muoversi velocemente quello che guida tutto, perché in primo luogo ci si vuole spostare rapidamente dove si vuole, non tanto passare del tempo in viaggio.

Lo stesso, per lavarsi e scaldarsi un tempo ci si arrangiava con poveri mezzi, ora abbiamo il gas in casa per la cucina e il riscaldamento, l’acqua corrente calda e fredda, e stanze da bagno che un tempo sarebbero state degne di una reggia.
Sono semplici esemplificazioni, si potrebbe continuare a lungo su questo tono, e sempre si potrebbe mettere in luce un desiderio o un bisogno basilare a cui la tecnologia cerca di dare una risposta.
[A sinistra: Scaldabagno a legna e carbone, inizi ‘900]
Cos’è dunque che più spinge il continuo cambiamento e la continua evoluzione della tecnologia, solo un perverso meccanismo ormai divenuto autonomo, autoreferenziale e incontrollabile, come alcuni sostengono, oppure, come altri affermano, una irrefrenabile, deprecabile volontà di profitto (individuale o societario)- in altri termini un potere finanziario capace di dominare la tecnologia stessa- o invece questo itinerario viene al fondo sostenuto e legittimato da una serie di apparentemente piccoli, modesti, innocenti, ma incontenibili desideri, che un tempo erano appannaggio solamente di milioni, ma ora sono espressi da miliardi di «cuori» umani?
E che fare di questi desideri, quando la loro moltiplicazione per dieci9 crea problemi ecologici di portata planetaria, di scarsità potenziale delle risorse, di guerre per il petrolio, eccetera?

 

 

Un determinismo dei desideri?

 

Non siamo comunque sempre noi, in sostanza, col dar corso ineluttabile ai nostri desideri, a determinare lo sviluppo della tecnologia? Non sarebbe quindi più corretto e logico parlare di «determinismo dei desideri», piuttosto che di determinismo tecnologico?
Qualcuno potrebbe obbiettare che desideri pur leciti e basilari, come quello di aver un figlio, hanno favorito lo sviluppo di tecniche riproduttive «perverse», o molto più banalmente si potrebbe osservare che l’esasperazione della potenza e velocità delle nostre automobili non ha niente a che fare con il bisogno di muoversi in modo celere e senza fatica. A maggior ragione si potrebbe anche obbiettare che non sono certo stati i bisogni elementari che abbiamo elencato a trascinare lo sviluppo della tecnologia spaziale, della tecnologia di produzione del plutonio, di tante tecnologie degli armamenti, eccetera.
È evidente che esistono degli enormi sistemi tecnologici al solo servizio, per esempio, degli apparati militari.9 Però non sono anche questi determinati dai desideri dei governanti e degli Stati, desideri certamente meno innocenti ed innocui, come del resto alcuni desideri personali, ma pur sempre desideri?
In ogni caso ci pare innegabile che il soddisfare tanti desideri e bisogni, anche quelli apparentemente più «elementari» – resi «facilmente» accessibili dall’evoluzione della tecnologia – contemporaneamente e ampiamente, per miliardi di persone, una parte delle quali si è da tempo abituata a un livello di consumi molto elevati, e garantire analoghe possibilità alla larga fetta di umanità che tutt’ora non ne gode, «ma aspira fortemente a goderne», ponga dei problemi complessi e implichi delle pesanti ricadute.
Per esempio, per consentire rapide ed estese telecomunicazioni (per non parlare di illuminazione, elettrodomestici e altro) ci vuole innanzi tutto una disponibilità estesa di energia elettrica, con tutti i noti problemi di inquinamento ed esaurimento delle risorse che il produrla implica.
E, se vogliamo muoverci tutti quanti insieme, a milioni, e senza fatica, per tutto il mondo, nascono le difficoltà: le automobili diventano una frustrazione più che una esaltazione della libertà e consumano una quantità enorme di combustibili e di altre risorse (strade, materie prime, sanità stessa, per l’enorme quantità di incidenti), e anche le aerovie cominciano a intasarsi di aeroplani.
Quindi oggi è più chiaro che se vogliamo soddisfare in maniera indiscriminata questi apparentemente semplici e basilari desideri per i miliardi di uomini che siamo, tutto il petrolio e il gas della Terra potrebbero non bastare, e il pianeta potrebbe non sopportare il conseguente carico di inquinamento.

 

Osservazioni conclusive

 

In sostanza, il problema non ci sembra tanto quello se sia la tecnologia a determinare la società – se son veri i nostri ragionamenti al fondo sarebbero sempre i desideri della «società degli uomini», retti o sbagliati che siano, a guidare la tecnologia – ma piuttosto quello di quali siano le vie attraverso cui i desideri e i bisogni, anche i più apparentemente semplici, si «condensano» in sistemi tecnologici sempre più complessi, di cui tutti gli uomini, almeno in via di principio dovrebbero poter godere, ma che quando devono essere fruibili da miliardi di persone fanno inevitabilmente divenire di dimensioni planetarie il problema di come possano essere concretamente soddisfatti.
Alla fine, chiedersi se il cammino della tecnologia vada frenato o governato, come fanno tanti critici della tecnologia, ci pare coincida col chiedersi se il desiderio dell’uomo vada frenato o governato, un’ipotesi che spesso gli stessi personaggi rigettano con disprezzo, come un inaccettabile limite alla libertà umana.
Eppure tutta l’esperienza religiosa e sapienziale delle innumerevoli tradizioni umane ci sembra concorde, pur con tante differenze, nell’affermare che il «cuore» dell’uomo vada educato alla sobrietà e a non fare dei suoi desideri degli idoli.
Non a caso, in tempi di miseria materiale molto più diffusa che in quelli attuali, nei quali la ricchezza coincideva essenzialmente con l’abbondanza di cibo e bevande, si prescriveva di digiunare, ogni tanto, e forse, come qualche anno fa suggeriva l’amico John Staudenmaier S.J. (1939-…)10, anche oggi bisognerebbe suggerire di «digiunare», ogni tanto, magari facendo a meno, dell’elettricità, della benzina, dei telefoni o di qualche altra «comodità» moderna11.
Si tratta in fondo «di prestare nuovamente attenzione alla realtà con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilità di uno sviluppo umano e sociale più sano e fecondo»12.
Nella situazione odierna ci sembra peraltro che si debba ribadire con decisione che oltre al cuore, anche la mente dell’uomo vada educata13, specie quella dei più giovani, perché abbia almeno gli strumenti per capire (dovrà poi, ovviamente, oltre a capire, anche orientare la sua libertà fino a maturare nuove abitudini di vita) quali sono le complesse e profonde implicazioni non solo di desideri di potenza «estremi», come quelli che spingono alcuni a sviluppare, per esempio, le tecniche di clonazione e di uso degli embrioni umani, ma anche di semplici, basilari e apparentemente innocenti desideri, come farsi una doccia calda, mandare una e-mail o usare l’aereo per andare in viaggio di nozze alle Maldive.
Su questo tema ci sembra che occorrerebbe che si diffondesse una maggiore consapevolezza che abbiamo bisogno, non di meno, ma di più scienza e di più tecnologia14, e che per i giovani vale la pena di scegliere di lavorare in questi campi; e che non c’è da avere troppo timore che sia la tecnologia a determinare in maniera cieca e senza fini la società, ma che potrebbero essere i desideri rettamente e realisticamente espressi a meglio indirizzare la tecnologia, se qualcuno se ne preoccupasse15.
In questo senso l’educazione alla scienza e alla tecnologia, oltre a fornire conoscenze e strumenti, dovrebbe favorire, insieme alle altre materie che contribuiscono a formare le giovani personalità, la profonda consapevolezza di sé con la quale è necessario che le stesse conoscenze scientifiche e tecnologiche vengano sviluppate e utilizzate.
Infine, un ultimo breve accenno al fatto che moltissima della pratica tecnologica si è condensata nel corso di lunghi periodi di tempo, in codici professionali, in corpose norme di legge nazionali o internazionali16 e anche in impegnativi accordi di portata mondiale (come quelli presi nella recente COP di Parigi); in effetti molta dell’attività dei parlamenti nazionali e di quello europeo è ormai dedicata alla emissione di leggi che hanno a che fare con i sistemi tecnologici.
Come succede per le leggi morali, anche tali norme possono essere disattese o applicate in modo formale, ma esse costituiscono in ogni caso una base indispensabile per indirizzare gli altrimenti irrefrenabile desideri del cuore dell’uomo.
Il sistema educativo ne dovrà quindi curare accuratamente la diffusione e la comprensione fra le giovani generazioni.

 

 

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Gianluca Lapini
(Ingegnere, già ricercatore presso CISE e CESI SpA)

 

Note

  1. È quanto fa per esempio Paul Ceruzzi, storico americano della tecnologia e curatore dello Smithsonian Institution, nel suo saggio indicato fra i riferimenti, da cui prende iniziale spunto questo articolo, pur pervenendo a conclusioni piuttosto diverse dalle sue.

  2. Sull’origine del termine tecnologia, si veda per esempio l’articolo di Gianluca Lapini, Tecnologia, una questione di termini, in Emmeciquadro, n. 32 – aprile 2008, pagg. 61-70.

  3. Si veda a questo proposito l’articolo di Gianluca Lapini, Come eravamo, le origini di Internet, in Emmeciquadro, n. 29 – Aprile 2007, pagg.126-131.

  4. Noi naturalmente non progettiamo né l’hardware, né il software di queste macchine, e spesso abbiamo solo delle pallide idee di come un PC funziona o di dove intervenire se si guasta. I nuovi programmi o i nuovi hardware si installano da sé, semplicemente premendo un enter, e sono ormai lontani i tempi in cui armeggiavamo con cavi e connettori oppure con il Fortran e le schede perforate.
    Qualcosa di analogo si può dire per le automobili: chi riesce più, semplicemente, a cambiare le candele del motore della sua automobile? Accensione, carburazione, freni e tutti gli altri sistemi sono stati pesantemente computerizzati, e resi inaccessibili ai comuni mortali.

  5. Abbiamo preso in gran parte spunto dall’informatica, ma non sarebbe difficile ripetere discorsi analoghi per tante altre tecnologie, nuove, ma anche vecchie, che nei secoli si sono affermate a livello mondiale. Ne cito solo alcune alla rinfusa: polvere da sparo, treni, elettricità, strade asfaltate, aeroplani……

  6. Come Wendell Berry (1934 -) romanziere, poeta e saggista americano. Scrisse nel 1987 il breve saggio Why I Am Not Going to Buy a Computer, che ebbe una discreta risonanza a causa della sua notorietà.

  7. Romano Guardini, nel suo saggio La fine dell’epoca moderna, citato nei riferimenti, sembrerebbe di questo parere, dove afferma che l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani nazionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto».

  8. Osserva per esempio il Papa ai n. 56 e 59 di questo documento: «Così si manifesta che il degrado ambientale ed il degrado umano ed etico sono intimamente connessi. Molti diranno che non sono consapevoli di compiere azioni immorali, perché la distrazione costante ci toglie il coraggio di accorgerci della realtà di un mondo limitato e finito […] Nello stesso tempo, cresce un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità».

  9. Cito l’apparato militare come quello che più immediatamente fa venire in mente un uso negativo della tecnologia; anche da questo mondo è comunque ben noto che sono venute innumerevoli ricadute «positive» delle tecnologie per esso sviluppate.

  10. John Staudenmaier S.J. (1939- ), religioso americano della Compagnia di Gesù, e autorevole storico della tecnologia.

  11. Questo concetto di «digiuno» non ha una valenza puramente individuale, ma riguarda anche le scelte di politica energetica degli Stati. Afferma ancora Papa Francesco al n. 193 della sua Enciclica, citando un intervento di Benedetto XVI: «È necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di energia e migliorando le condizioni del suo uso».

  12. Enciclica Laudato si’, n. 116

  13. Ancora dalla Enciclica Laudato si’, al n.105 troviamo questa osservazione del Papa, ripresa in parte dal già citato saggio di Romano Guardini: «Il fatto è che l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza, perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza […] la possibilità dell’uomo di usare male della sua potenza è in continuo aumento, quando non esistono norme di libertà, ma solo pretese necessità di utilità e di sicurezza […]. Gli mancano un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé».

  14. Certo, in un modo ragionevole e conscio della complessità dei problemi, perché altrimenti, come osserva ancora Papa Francesco al n. 20 della già citata Enciclica: «La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono fra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri».

  15. Osserva ancora il Papa al n. 58 dell’Enciclica «In alcuni paesi ci sono esempi positivi di risultati nel migliorare l’ambiente[…]. Queste azioni non risolvono [però] i problemi globali, ma confermano che l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente». E ancora al n. 112: «È possibile, tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica , di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso , più sano, più umano, più sociale e più integrale […]. Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i problemi concreti degli altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze».

  16. Per esempio le norme EURO per i motori di automobili, sono un modo di regolare le conseguenze negative per l’ambiente, del desiderio/necessità di viaggiare in automobile; le norme sull’isolamento termico degli edifici sono un modo per regolare le conseguenze negative del desiderio/necessità di avere una casa calda d’inverno e fresca d’estate, eccetera.

 

Riferimenti Bibliografici

  1. Robert N. Noyce, Microelectronics, Scientific American, September 1977.

  2. Paul E. Ceruzzi, Moore’s Law and Technological Determinism, Technology&Culture, Vol. 46, The Johns Hopkins University Press, Baltimore 2005.

  3. Papa Francesco, Laudato si’, Lettera Enciclica, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2015.

  4. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 1987.

  5. Ellen Rose, User Error, Resisting Computer Culture, Between the Lines Publishers, Toronto 2003.

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 60 di Emmeciquadro