È stata la notizia scientifica dell’anno, anche se non ha (ancora) avuto la consacrazione finale col premio Nobel: parliamo della scoperta delle onde gravitazionali, che ha rappresentato una potente conferma sperimentale della teoria della Relatività Generale di Einstein, a cento anni esatti dalla sua formulazione.
Ma è stata anche la conferma di una dinamica essenziale nella conoscenza scientifica; per compiere un cammino attraverso le scienze, a qualunque livello di partenza, sono fondamentali due azioni: fare domande e mettersi in ascolto.
Cosa è successo infatti con le onde gravitazionali? Gli scienziati hanno saputo interrogare adeguatamente la natura, la natura ha risposto e gli scienziati hanno interpretato la risposta.
Domandare e ascoltare sono due azioni che possono essere svolte in modo semplice, come nel caso dei bambini di una scuola primaria (i cui lavori sono raccontati in queste pagine); o possono presentare un elevato grado di complessità e di elaborazione matematica, come nelle ricerche recenti premiate con i Nobel per la Fisiologia, la Fisica e la Chimica. Nel tempo infatti gli scienziati hanno elaborato, e continuano a sviluppare, modalità sempre più precise ed efficaci per domandare e ascoltare; hanno cioè messo a punto un linguaggio specifico per formulare le domande e per raccogliere e leggere le risposte.
Un linguaggio costituito non solo dal formalismo matematico, ma da tutto un approccio ai problemi: che va dalla giusta collocazione delle diverse componenti del processo di indagine, alla raccolta dei dati osservativi, alla progettazione e conduzione dell’attività sperimentale; e prevede un ruolo per il momento induttivo e per quello deduttivo, per le analogie, per l’intuizione e per l’immaginazione.
Lo mostra in modo eloquente il puntuale, e impegnativo, resoconto proprio della scoperta delle onde gravitazionali presentato in questo numero.
È un approccio praticato tutti i giorni da chi «fa scienza» nei diversi luoghi a questo dedicati; ma suggerisce anche la modalità con la quale «fare scienza» a scuola, che possiamo riassumere nell’espressione: il metodo dell’esperienza.
Un metodo che è molto più di un insieme di procedure ma piuttosto indica una modalità di conoscenza, un certo modo di esercitare la ragione che consente di vivere l’apprendimento come continua scoperta: «Guardando la realtà, l’uomo fa molto di più che non semplicemente fotografarla, perché interagisce con essa attraverso la sua ragione […] è questa interazione che crea la possibilità di un’esperienza. L’uomo fa sua la realtà, e l’esperienza diventa uno strumento per andare avanti e guardare il mondo in un’altra maniera» (Marco Claudio Traini).
Si tratta quindi di un metodo che amplia le nostre possibilità di interagire con la realtà e che non è certo riducibile a semplice empirismo, come purtroppo spesso accade.
Il risvolto sul piano didattico di tale riduttivismo è il mito del «metter le mani su», di un attivismo pratico che tende a far coincidere il manipolare con lo sperimentare; questo è tra l’altro il volto «amichevole» col quale viene presentata la scienza in tante manifestazioni popolari e divulgative che stanno diventando il modello di riferimento per chi vuol presentare la scienza oggi. Bisogna constatare che in molte attività laboratoriali l’attività stessa diventa l’obiettivo e si corre il rischio di generare una confusione di linguaggi; in definitiva, si dà una visione distorta della scienza.
Non basta il «fare» per parlare di esperienza. Il fortunato slogan «se faccio capisco» ha la sua indubbia validità e può diventare una indicazione metodologica; a condizione però di completarlo con due incisi non facoltativi: «se faccio (nel modo adeguato), (e rifletto su ciò che ho fatto), capisco».
Il modo adeguato è quello cui abbiamo prima accennato parlando di domanda e di ascolto; e la riflessione sull’esperienza è la grande assente nei laboratori delle nostre scuole.
La sezione Scienz@Scuola di questa rivista si propone di contribuire a colmare questa assenza.



Mario Gargantini
(Direttore della rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 62 di Emmeciquadro

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