In modo sorprendente e inaspettato, le neuroscienze che studiano il cervello e le scienze che studiano i dispositivi elettronici e la trasmissione delle informazioni si sono incontrate e alleate, per cercare di capire come funziona il nostro cervello e come affrontare varie patologie del sistema nervoso.
Tutto questo grazie al fatto che le cellule nervose comunicano attraverso impulsi di corrente assimilabili, in prima approssimazione, al bit, l’unità fondamentale delle tecnologie dell’informazione che può assumere solo due valori, zero o uno.
Partendo dalle scoperte fatte a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, Alessandro Vato, bioingegnere e ricercatore, fotografa lo stato dell’arte della ricerca sulla Brain Machine Interface, interfaccia cervello-macchina. Illustrando esperimenti già consolidati e sistemi funzionanti, vengono aperte le porte di alcuni tra i principali laboratori di ricerca sparsi per il mondo e presentate idee e obiettivi degli scienziati che li guidano.
Per studiare la trasmissione di informazioni tra i circa cento miliardi di neuroni che costituiscono il cervello umano sono stati utilizzati diversi metodi, dall’elettroencefalogramma che monitora contemporaneamente diverse aree del cervello, fino alle tecniche single-unit che registrano l’attività di un singolo neurone.
Un passaggio fondamentale è stato riuscire a decodificare il segnale neuronale, ovvero ricavare dal segnale neuronale le informazioni sufficienti per descrivere il comportamento prodotto dal cervello, per esempio il movimento di un arto su una traiettoria.
Nel 2008 in Brasile un gruppo di ricercatori ha messo a punto un esperimento in cui una scimmia utilizzando un joystick doveva muovere su uno schermo un cursore che poteva essere comandato o dal joystick o direttamente dal cervello, attraverso la decodifica del segnale neuronale. Durante una sessione sperimentale in cui il cursore era guidato direttamente dal cervello, la scimmia si è resa conto che il movimento del joystick non era necessario e ha tolto la zampa dal joystick continuando a giocare senza muovere il braccio, pensando semplicemente al movimento da fare.
Lo scopo finale di questi esperimenti? Nel caso in cui un arto non sia più utilizzabile, per incidente o malattia, attraverso la registrazione e la decodifica dell’attività dei neuroni potremmo ricostruire in tempo reale la traiettoria desiderata e trasferire l’informazione a una protesi robotica.
Dopo anni di ricerche, negli USA nel 2012 si raggiunge una vetta. S3, una donna di 58 anni tetraplegica, ovvero impossibilitata a muovere gli arti, ha utilizzato un braccio robotico per riprodurre i movimenti complessi di un braccio e di una mano. I ricercatori avevano chiesto a S3 di muovere il braccio per afferrare una bottiglia di caffè, portarla alla bocca e berne un sorso.
Come ricorda l’autore a pagina 67, coinvolgendo anche il lettore in uno sguardo di speranza, «dopo aver portato a termine questo difficile compito, la donna si è abbandonata a un gran sorriso. […] il sorriso sul suo volto è stato una cosa incredibile da vedere. […] un incoraggiamento sul fatto che la ricerca sta progredendo, proprio come avevamo sperato tutti.».
Alessandro Vato
Arrivano i Cyborg. Dove neuroscienze e bioingegneria si incontrano
Hoepli – Milano 2015
Pagine 128 – Euro 10,90
Recensione di Paolo Morlacchi
(Ingegnere civile strutturista. Si occupa di infrastrutture e grandi opere per la mobilità)
© Pubblicato sul n° 62 di Emmeciquadro