«for the design and synthesis of molecular machines»
Quando il fisico Richard Feynman (1918-1988) osò esprimere per la prima volta l’immensa potenzialità di oggetti e macchine estremamente piccole costruite con parti molecolari disse in una conferenza: « […] divertirsi nel ridisegnare tutti i tipi di macchine della vita di tutti i giorni sulla scala molecolare permetterà di vedere se nei giro dei prossimi venticinque – trent’anni, questo sarà possibile e ci saranno applicazioni utili […] ».
I primi passi verso macchine molecolari erano in realtà già stati effettuati in quegli anni, cioè negli anni Cinquanta/Sessanta, da alcuni chimici in un modo molto fantasioso. Infatti, come parte degli sforzi per costruire molecole sempre più complesse, i chimici stavano cercando di produrre catene molecolari a forma di anello, concatenate meccanicamente, senza l’aiuto dei consueti legami chimici, ma con vincoli fisici, in modo simile a come sono concatenati gli anelli olimpici.
Una particolare sfida fu quella di seguire un originale concatenamento di tre anelli vincolati ognuno con ciascun altro.
Questa affascinante geometria era stata adottata come simbolo araldico dalla casata dei nobili lombardi Borromeo. In tale geometria, simbolo di una sinergia stretta fra forze alleate, se pure un anello si aprisse, gli altri due rimarrebbero solidali. Certamente nessuno della nobile famiglia avrebbe mai immaginato che il loro simbolo e il loro nome potesse battezzare una famiglia di nuove molecole, elementi base dei «rotori e motori molecolari» e addirittura essere reso famoso nel mondo dal maggiore riconoscimento scientifico mondiale come i Borromean rings!
Lo stemma araldico della famiglia Borromeo (i Borromean rings) e i suoi analoghi molecolari (Chem. Eur. J. 2010, 16, 12570 – 12581)
Questo fu solo l’inizio; infatti questi anelli espletano una notevole dinamica rotazionale e fu intuita la potenzialità di tali molecole come elementi di macchine e, come è noto, non esiste macchina senza elementi mobili.
Il Premio Nobel per la Chimica 2016 non sarebbe stato assegnato per la sintesi di una molecola, seppure straordinaria, ma la nuova molecola fu anche la base per un nuovo dominio di ricerca. Inoltre essa costituisce il primo esempio di un nuovo tipo di legame chimico: normalmente, le molecole sono tenute insieme da forti legami covalenti in cui gli atomi condividono elettroni.
Il sogno era creare invece legami meccanici, dove le molecole sono interbloccate, senza che gli atomi interagiscano direttamente tra loro. Negli anni 1950 e 1960, diversi gruppi di ricerca affermarono di aver sintetizzato cicli chiusi inanellati, ma le quantità che producevano erano scarse e di uso limitato.
Il progresso fu considerato più come una curiosità che come la produzione di molecole funzionali. La principale svolta avvenne nel 1983: un gruppo di ricerca francese, guidato dal chimico Jean-Pierre Sauvage, riuscì a governare il moto delle molecole concatenate utilizzando lo ione di rame inserito nella struttura. Sauvage presto si accorse che le catene di anelli molecolari, chiamati catenani, non erano solo una nuova classe di molecole, ma si rese conto di aver compiuto il primo passo verso la creazione di una macchina molecolare. Come anticipato, una qualunque macchina per eseguire un compito deve essere costituita da più parti che possono muoversi reciprocamente.
Nel 1994, il suo gruppo di ricerca ottenne un catenano che poteva eseguire un moto rotatorio di un anello mediante l’immissione di energia. Questo fu il primo embrione di una macchina molecolare non biologica.
Il concatenamento di anelli molecolari divenne un tema perseguito da vari gruppi nel mondo e, per così dire, divenne un tema di moda. Alcuni si cimentarono in una sintesi più ardita, che comportava la chiusura di tre anelli, ciascuno concatenato con gli altri due.
Nasceva allora la versione molecolare del simbolo araldico della famiglia lombarda dei Borromeo.
Il simbolo a forma di trifoglio, ricorre anche nell’antichità e si trova in croci celtiche, a richiamare la Santa Trinità.
Gli anelli si dimostrarono in grado di ruotare gli uni negli altri e furono di ispirazione per l’evoluzione seguente. Infatti, anche il chimico Fraser Stoddart si cimentò nella sintesi dei sistemi complessi inanellati e gettò il secondo seme di una macchina molecolare.
Egli, crebbe in Scozia, ma ora, dopo essere stato alcuni anni alla University of California di Los Angeles (UCLA), svolge la sua attività alla Northwestern University di Chicago. In quegli anni sviluppò una delle creazioni molecolari che è il fondamento del premio Nobel per la Chimica di quest’anno. Infatti, nel 1991, il suo gruppo di ricerca costruì un anello molecolare e una lunga asta molecolare, o asse, che possedeva siti ricchi di elettroni in due punti specifici con cui l’anello potesse interagire: i pallottolieri molecolari.
I pallottolieri molecolari (J. Am. Chem. Soc. 2004, 126, 9884-9885 e Chem. Eur. J. 2004, 10, 6375-6392)
Quando le due molecole si incontrano in una soluzione, si attraggono e l’anello si infila sull’asse predisposto. Nella fase successiva, l’apertura dell’anello viene chiusa, in modo che rimanga sull’asse.
Aveva dunque, realizzato un rotaxano: una vera e propria molecola, ma costituita da due elementi (un asse e un anello), in cui il vincolo che tiene insieme le due parti è meccanico e non chimico in senso stretto.
Stoddart poi sfruttò la facilità dell’anello di muoversi lungo l’asse. Quando si fornisce calore l’anello salta fra i siti come una minuscola navetta fra le stazioni dell’assale. Dopo alcuni anni e notevoli sforzi sintetici, egli poteva controllare completamente questo movimento, superando l’agitazione termica che governa altrimenti i moti nei sistemi molecolari. Stoddart ha utilizzato, oltre che gli anelli dei Borromeo e i pallottolieri molecolari, diversi rotaxani per costruire numerose macchine molecolari: un muscolo artificiale, dove i rotaxani in movimento possono piegare una sottilissima lamina d’oro; delle valvole molecolari e un elevatore che può alzarsi di 0,7 nanometri sopra una superficie.
Le valvole molecolari
L’elevatore molecolare (Science, Vol. 303 19 March 2004)
Tuttavia, uno dei risultati di maggiore importanza per i risvolti applicativi, fu un chip per elementi operativi di computer, basato su un principio rivoluzionario che non coinvolge il magnetismo, ma deriva dalla dinamica molecolare allo stato solido, comandato dallo scorrimento degli anelli molecolari lungo opportuni binari.
I transistor per computer di oggi sono molto piccoli, ma ancora giganteschi rispetto ai transistor che potrebbero essere basati sulle molecole. I ricercatori ritengono che i chip per computer molecolari possano rivoluzionare la tecnologia dei computer nello stesso modo che avvenne con i transistor a base di silicio.
I chip molecolari assemblati in un elemento operativo (Chemphischem 2002, 3, 519 – 525)
Parallelamente, Sauvage legò due molecole insieme, formando una struttura elastica che ricorda i filamenti dei muscoli umani . Ha anche costruito qualcosa che può essere paragonata a un motore, in cui l’anello del rotaxano gira alternativamente in direzioni opposte.
Produrre motori che girano continuamente nella stessa direzione è stato un obiettivo importante per l’arte delle architetture molecolari.
Molti tentativi sono stati fatti nel 1990, ma il primo a tagliare la linea fu un olandese Bernard Lucas Feringa. Infatti, Feringa costruisce i primi motori molecolari unidirezionali efficaci. Proprio come Stoddart, egli è stato attratto dalla chimica per le sue infinite opportunità creative, come egli stesso sostiene: «[…] il potere della chimica non è solo la comprensione, ma anche la creazione, generando molecole e materiali che non sono mai esistiti prima […]».
Nel 1999, quando Feringa ha prodotto il primo motore molecolare, ha usato una serie di stratagemmi per farlo girare nella stessa direzione. Normalmente, i movimenti molecolari sono governati dal caso; in media, una molecola si muove tante volte verso destra quante verso sinistra. Ma Feringa ha progettato una molecola che è stata costruita per girare in una sola direzione.
La molecola è stata composta da qualcosa che può essere paragonato a due pale, che sono stati unite con un doppio legame tra due atomi di carbonio del rotore; questi elementi hanno costretto la molecola a mantenere la rotazione nella stessa direzione.
Quando la molecola è esposta a un impulso di luce ultravioletta, una pala del rotore salta di 180 gradi attorno al doppio legame centrale, ma immediatamente un elemento che fa da freno impedisce la rotazione nel verso contrario. Con il successivo impulso di luce, la pala del rotore salta di altri 180 gradi, compiendo così un intero giro.
Il primo motore non era sufficientemente veloce, ma il gruppo di ricerca di Feringa nel 2014 ha portato il motore in rotazione a una velocità di 12 milioni di giri al secondo.
Il motore molecolare di Feringa (J. Am. Chem. Soc. 2014, 136, 9692−9700)
In questi ultimi anni il gruppo di ricerca ha anche costruito un veicolo nanometrico a quattro ruote; un telaio molecolare tenuto insieme da quattro rotori molecolari che fungono da ruote. Quando le ruote avanzano, la macchina si sposta in avanti su una superficie. Ben Feringa ha anche realizzato un arganello che, alimentato dalla luce, tira un filo polimerico effettuando uno spostamento rilevabile macroscopicamente.
L’energia solare diventa perciò lavoro meccanico. Questi ultimi risultati hanno mostrato con evidenza il coronamento di un lungo processo progettuale e sintetico.
La favola scientifica che abbiamo delineato, descrive l’evoluzione da un curioso oggetto molecolare ad architetture complesse e all’osservazione di una loro proprietà (la dinamica dei rotori molecolari), per sfociare nella costruzione di un organismo attivo. Al centro di questa evoluzione stanno gli anelli dei Borromeo, che sembrano oggetti di un giocoliere, ma sono anche un simbolo per la loro forza evocativa.
La morale è che l’ispirazione a forme e immagini, purché legate a concetti primari, è l’alimento della libera creatività scientifica ed è spesso il cuore della scoperta.
Piero Sozzani
(Professore Ordinario di Chimica Industriale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca)
Silvia Bracco
(Ricercatore di Chimica Industriale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca)
Angiolina Comotti
(Professore Associato di Chimica Industriale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca)
Indicazioni bibliografiche
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© Pubblicato sul n° 63 di Emmeciquadro