Un centinaio di persone, e molte altre collegate in streaming, lo scorso 16 febbraio, nella sede del Centro Culturale di Milano per ascoltare voci diverse nello sfaccettato mondo della comunicazione.
L’occasione è la presentazione del libro McLuhan non abita più qui? di Alberto Contri (2017, Bollati Boringhieri), oggi presidente di Pubblicità Progresso.
Ne è nata un’interessante panoramica che si è mossa tra gli scogli spesso insidiosi dei media. È lo stesso Alberto Contri a presentare gli ospiti, evocando la genesi del libro: «Non sono uno scrittore e mia moglie mi ha sempre messo in guardia dai pericoli della scrittura, “quello che hai scritto rimane” mi ha sempre detto. Ma ora, dopo mezzo secolo di lavoro tra i media, mi sono deciso per tentare di tracciare una mappa problematica ma forse utile».
Di fatto gli intervenuti hanno tutti evidenziato la peculiarità del libro che titola con una provocazione in forma di domanda e un libro fatto per lo più di domande è veramente necessario in questo campo come ha sottolineato Antonio Calabrò che, allargando nel suo intervento lo sguardo sulla mentalità contemporanea, ha stigmatizzato la tendenza alla banalizzazione: «Viviamo in tempi di straordinaria complessità, e la realtà multimediale lo è a maggior ragione, mentre si tende a schiacciare tutto rendendo la realtà banale».
Utilizzando il campo semantico del navigatore ha continuato: «Di che cosa avremmo bisogno in questi tempi? Di un geografo per ridisegnare le mappe del mondo, mentre siamo costretti a navigare a vista senza sapere se ciò che incontriamo è uno scoglio o un’ombra».
Contri, ermeneuta di lungo corso, ci problematizza su questo argomento, senza cedere a passatismi sterili. «La tradizione – ha concluso Calabrò citando la famosa espressione di Mahler – non è custodia delle ceneri ma culto del fuoco».
Il giro degli interventi era stato aperto da Derrick de Kerckhove, direttore di Media Duemila e dell’Osservatorio TuttiMedia e prefatore del libro.
La sua è stata una provocazione dirompente: «Non è che la nostra memoria a lungo termine stia negli strumenti che usiamo? Quanto persino il nostro pensiero è determinato dai media? Siamo consapevoli che il nostro pensiero diviene proprietà pubblica?»
Queste alcune delle domande che ha rivolto ai presenti forse un poco inquietati dalle possibili risposte. Certamente la posta in gioco – e il libro lo documenta – è seria come non ha mancato di sottolineare Edoardo Fleischner, docente di comunicazione crossmediale alla Statale di Milano: «siamo sul tornante di un ottovolante, dall’analogico al digitale ma la dissolvenza incrociata è lunghissima e con conseguenze ancora non del tutto prevedibili».
Ha portato come esemplificazione l’esercizio che assegna ai suoi studenti: un articolo lungo e difficile di finanza internazionale deve essere trasformato in ventun media diversi (notizia per un tg breve, blog, serial televisivo, cover per i cellulari, slide per una conferenza, eccetera). Che cosa succede? Che cosa rimane e come del testo da cui si parte?
Si è poi soffermato su un pregio del libro, quello di parlare a pubblici diversi, che lo rende interessante per tutti coloro che si occupano di media, cioè tutti noi che anche solo maneggiamo un pc.
«Il libro si muove a ritmo di jazz» ha detto riferendosi alle passioni musicali di Contri, cioè sa improvvisare come i grandi che lo fanno dopo lunghi e intensi esercizi. Non inventa ma conferma.



Giovane collega pubblicitario è Vicky Gitto (Group Executive Creative Director Young and Rubicam Brands, presidente Art Director’s Club Italia) che pure ritorna sul ritmo a cui il libro richiama. «La lentezza di un buon vino gustato con passione, la necessità di un ritmo lento mentre per essere aggiornati ci si impone sempre una corsa che ci costringe alla superficialità.
Il valore del nostro lavoro si vede solo se si scende in profondità, occorre evitare un approccio da aperitivo. Il libro è un piccolo lusso che chi lavora nella comunicazione si deve togliere, una operazione in controtendenza.
Nella comunicazione è cambiato tutto in questi ultimi anni, non il modo di avere una grande idea».
Più andiamo incontro alla parcellizzazione delle metodiche comunicative più abbiamo bisogno di maestri, incalza Contri. «La comunicazione virale è come una esplosione atomica: è totalmente incontrollabile, alla fine che cosa resta? Solo un concetto molto forte resta». Quindi la necessità di maestri che insegnino come fare.
[Nell’immagine a lato – da sinistra: Alberto Contri, Antonio Calabrò, Ferruccio De Bortoli]
Ferruccio De Bortoli, concludendo gli interventi, sostiene che Contri ha la capacità di dare la giusta distanza per valutare i fenomeni media, mentre spesso non ci sono posizioni intermedie.
Un allarme: «Il legame tra utente lettore e mondo della informazione vede azzerata la dimensione tempo; si crede che basti uno sguardo d’insieme e superficiale per conoscere, questa tendenza porta a semplificare i contenuti e favorisce i pregiudizi, si danno risposte semplici a problemi complessi. L’azzeramento del fattore tempo porta alla sensazione ingannevole di essere testimoni diretti degli avvenimenti e quindi alla pretesa di avere la verità. Il presente si dilata, il passato prossimo non esiste più. Si cade nella trappola della verosimiglianza, il modo attraverso cui la non verità diventa plausibile e quindi quasi verità. Si diventa sudditi, mentre dovremmo essere cittadini».
Nel dilemma tra velocità e necessità di riflessione Contri saluta con uno slogan: «Non è che ci può essere un modo analogico di usare il digitale?».



 

Franco Camisasca
(Insegnante, esperto di istruzione e formazione professionale)

 

 

 

© Pubblicato sul n° 64 di Emmeciquadro

Leggi anche

EDITORIALE n. 87 - Superficie o profondità: una prospettiva per l’educazione scientificaSCIENZAEVENTI/ Vedere l'invisibile. Lo sguardo dello scienziato dentro le coseSCIENZAEVENTI/ Alle sorgenti del Mississippi: Giacomo Costantino BeltramiSCIENZAEVENTI/ Macchine del tempo