L’attuale diffusione dei droni è contrassegnata dallo sviluppo dei multicotteri.
Alcuni pensati per applicazioni in campo ricreativo o sportivo; altri, più potenti, già utilizzati per monitoraggio di grandi impianti e infrastrutture, per la sorveglianza di aree inaccessibili e di calamità naturali, e per l’agricoltura di precisione.
Resta aperta, con qualche perplessità, la prospettiva del loro impiego come velivoli per la mobilità personale.



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I droni militari di cui abbiamo parlato nella prima parte di questo articolo sono macchine che fanno notizia e che sicuramente ogni lettore avrà qualche volta visto sui giornali o alla televisione, ma con le quali non è facile che una persona comune possa aver un contatto diretto.
I droni multicotteri sono invece dispositivi che probabilmente chiunque ha visto da vicino almeno una volta, per lo meno nelle versioni consumer (le più economiche sono poco più che aeromodelli-giocattolo), ormai ampiamente disponibili sul mercato (hanno avuto un boom di vendite a partire dal 2013). Si tratta per giunta di oggetti «di moda», dei quali anche il mondo della pubblicità ha fatto spesso uso1.
I più comuni, fra questi droni, sono i quadricotteri, velivoli in grado di decollare verticalmente come gli elicotteri, ma, a differenza di quest’ultimi, dotati per la loro propulsione, non di uno solo ma di quattro rotori, o eliche (se il numero dei rotori è superiore si parla appunto, più in generale, di multicotteri).
Benché i primi modelli di quadricotteri veramente funzionanti siano divenuti disponibili solamente in tempi recenti, all’incirca a partire dagli ultimi anni del XX secolo, non si può fare a meno di ricordare che nella storia dell’aviazione, i tentativi di decollo verticale furono realizzati prima con dei quadricotteri che con degli elicotteri.
Si ricordano per esempio il Gyroplane, realizzato in Francia dai fratelli Louis Charles e Jacques Breguet e dal professor Charles Richet, già nel 1907; i quadricotteri costruiti fra il 1920 e il 1924 dall’ingegnere francese Etienne Oehmichen e quello costruito più o meno nello stesso periodo dall’americano George de Bothezat.



Quadricottero di Etienne Oehmichen (Francia, 1924)

Queste macchine riuscirono a compiere modesti decolli e brevi voli, ma i progetti furono tutti abbandonati a causa dell’eccessiva complessità meccanica e della intrinseca instabilità. Eppure, l’idea di base che un velivolo a decollo verticale con quattro rotori potesse essere più razionale ed efficiente di uno con un solo rotore, non era peregrina. In effetti con quattro eliche la loro «coppia di reazione» può essere automaticamente compensata, rendendole a due a due controrotanti, senza bisogno di adottare, come negli elicotteri, un rotore di coda (che assorbe il 10-15% della potenza disponibile); inoltre realizzare un singolo rotore implica inevitabilmente delle pale più lunghe, e più difficili da costruire, di quelle necessarie usando quattro eliche.
Purtroppo, però, ai tempi dei primi quadricotteri il rovescio della medaglia era che il collegamento delle eliche a un motore centrale, non poteva essere fatto che in maniera meccanica, con lunghe cinghie o alberi di trasmissione (in genere pesanti e poco affidabili); era inoltre difficile mantenere la stabilità del sistema avendo quattro eliche che giravano alla stessa velocità e si aggiungeva l’ulteriore complicazione di dover continuamente manovrare una serie di «elichette» per cambiare direzione: ciò rendeva il controllo, da parte di un pilota umano, talmente difficile da renderne quasi impossibile l’utilizzo2.
Gli elicotteri, benché siano anch’essi tutt’altro che semplici da costruire e pilotare, finirono quindi per affermarsi come l’unica soluzione tecnologicamente valida (ricordiamo, comunque, che i primi elicotteri di pratico utilizzo comparvero, in Germania e negli USA, solamente verso la fine della Seconda Guerra Mondiale).



I quadricotteri, in particolare le versioni consumer, sono però tornati prepotentemente alla ribalta quando lo sviluppo della tecnologia ha reso disponibili dei nuovi tipi di motori elettrici, leggeri ed efficienti, alimentati da sistemi elettronici di potenza in grado di variare con grande prontezza e facilità la loro velocità di rotazione, permettendo di accoppiarli a semplici ed economiche eliche a passo fisso.
Ciò consente una notevole semplificazione meccanica, in particolare a confronto con gli elicotteri, che si traduce in una maggior robustezza, durata ed economicità. In aggiunta, soprattutto nelle versioni di dimensioni contenute, l’utilizzo di eliche più piccole e leggere rispetto ai rotori di elicotteri di pari capacità di carico, pone minori problemi di sicurezza, in quanto in caso di rotture e urti con persone o cose, l’energia cinetica in gioco è molto minore.

Come è noto, fra i tanti tipi di motore elettrico inventati dal XIX secolo in avanti, quelli denominati «asincroni trifase» sono i più durevoli e affidabili, essendo dotati di rotori molto semplici e robusti, e non avendo bisogno di contatti elettrici striscianti.
Questi motori, ampiamente usati in campo industriale, fino a qualche decennio fa potevano però funzionare solamente a una velocità costante, imposta dalla frequenza della corrente alternata della rete elettrica trifase di distribuzione dell’energia elettrica (tipicamente 50 o 60 Hz), tramite la quale viene creato un campo magnetico rotante, che mette in moto il rotore.
Con il progredire dei sistemi elettronici «di potenza» (basati su componenti a semiconduttore in grado di gestire elevate tensioni e correnti) per questi motori sono stati sviluppati degli alimentatori a frequenza variabile, che ne hanno consentito l’uso anche a velocità di rotazione controllabile. Un ulteriore passo in avanti è avvenuto con lo sviluppo di «variatori», (noti anche come ESC Electronic Speed Controller) sempre basati su microprocessori e altri componenti a semiconduttori, in grado di produrre un sistema trifase di correnti a frequenza variabile, a partire da una semplice sorgente di corrente continua, quale una batteria.
Tali variatori alimentano un nuovo tipo di motore elettrico brushless (cioè senza contatti striscianti), che viene denominato «a cassa rotante» (outrunner), in quanto la parte fissa, costituita da bobine elettriche nelle quali si genera il campo magnetico rotante, si trova all’interno, mentre il rotore, costituito da un cilindro, rivestito da una serie di potenti magneti permanenti, che viene trascinato in rotazione dal campo magnetico stesso, si trova all’esterno (esattamente al contrario sono disposti statore e rotore, nei classici motori elettrici trifase).

Tipico ESC collegato a un  motore  elettrico brushless (al connettore blu viene connessa la batteria, all’altro connettore la ricevente del radiocomando)

Questa architettura consente di realizzare motori leggeri, robusti, affidabili, di minima manutenzione e molto rapidi nel variare la loro velocità di rotazione, che si prestano particolarmente bene all’uso sui multicotteri, nei quali la stabilità e manovrabilità sono ottenute con continue e rapide variazioni della velocità di rotazione delle eliche.

 

I progressi in campo elettronico hanno inoltre consentito di realizzare sistemi automatici di stabilizzazione e controllo del volo, che ne hanno semplificato enormemente il pilotaggio. Questi sistemi utilizzano i progressi avvenuti non solamente nel campo dei microprocessori, ma anche in quello della miniaturizzazione dei sensori, quali gli accelerometri e i giroscopi, che sono elementi fondamentali del sistema di controllo stesso.
A questo si aggiunga che sono stati sviluppati sofisticati software in grado di automatizzare la quasi totalità delle fasi di volo dei quadricotteri, dal decollo, al raggiungimento di waypoints, al ritorno automatico alla base, alla individuazione di ostacoli, eccetera, che hanno ulteriormente semplificato il pilotaggio, rendendolo accessibile a un’ampia categoria di persone, anche non dotate di particolari abilità.
Tali software/hardware sono stati spesso messi a punto nell’ambito di progetti di ricerca effettuati in ambiente universitario o a finanziamento pubblico, in genere per testare meccaniche automatiche o teorie sui controlli del volo, e hanno quindi potuto essere rilasciati come piattaforme open-source, ampiamente sfruttate, sia dall’ambiente amatoriale, sia dai produttori industriali, contribuendo notevolmente al contenimento dei costi3.
Peraltro, non possiamo fare a meno di osservare che la formula del quadricottero o del multicottero si è dimostrata adatta a realizzare droni di dimensioni generalmente piuttosto piccole, e non è stata per il momento in grado di insidiare il predominio degli elicotteri per il trasporto di passeggeri o altri carichi pesanti4.
Si aggiunga inoltre, che il vantaggio principale di questi droni, di essere potenziati da motori elettrici, ne costituisce anche il limite fondamentale, in quanto la densità di energia accumulabile nelle batterie che li alimentano resta tuttora piuttosto bassa, e pone un serio ostacolo all’aumento, sia delle dimensioni, sia dell’autonomia.
Molto lavoro è però in corso, in diverse parti del mondo, per sviluppare multicotteri adatti al trasporto passeggeri: ne vedremo alcuni esempi nell’ultimo paragrafo.

 

Caratteristiche e tipi principali dei droni multicotteri

La varietà di droni multicotteri presenti sul mercato è ormai talmente ampia che non è facile orientarsi in questo mondo.
Descriveremo brevemente i tipi principali e le tecnologie che essi utilizzano, con l’obbiettivo di far cogliere ai lettori le potenzialità di ciò che al momento è disponibile sul mercato.
Volutamente non entreremo nel merito di quanto queste potenzialità siano ovunque legalmente utilizzabili, in quanto esistono ormai da qualche anno dei regolamenti per l’uso dei velivoli a controllo remoto5 che non sono però uguali per tutti i paesi.

Categoria consumer
Una prima categoria di droni multicotteri, che possiamo definire come consumer (non a caso sono acquistabili su e-Bay, Amazon, o su altri grossi siti di commercio on-line) comprende quelli in qualche modo equiparabili ai più classici aeromodelli radiocomandati (aeroplani o elicotteri).
Come quest’ultimi sono progettati per un utilizzo ricreativo o sportivo, benché la sofisticatezza raggiunta da alcuni di questi droni sia ormai tale che essi rappresentano un buon punto di partenza per comprendere la tecnologia di tali velivoli.
Aggiungiamo, che questi multicotteri sono classificabili in due categorie:

  1. Modelli dedicati alle riprese video amatoriali, ben rifiniti ed in genere già pronti al volo, con prestazioni ormai non molto discoste da quelle degli esemplari professionali;

  2. Modelli racer, che sono a tutti gli effetti degli aeromodelli, specializzati per il volo acrobatico o per gli slalom, cioè percorsi a ostacoli da effettuare nel più breve tempo possibile, o in diretta competizione con altri (sono in genere più piccoli, e più spartani, per ottimizzare la velocità e la maneggevolezza).

Due modelli da video-riprese, il DJI Phantom e il YUNEEC Typhoon, che hanno avuto un ottimo successo commerciale, sono un paradigma di come sono realizzati e di che cosa possono fare questi droni. Ci è quindi sembrato che una breve descrizione di questi due sistemi, scelti fra i migliori disponibili, fosse la cosa migliore per far percepire ai lettori quale sia lo stato dell’arte di questi droni.
La DJI (Dà-Jiāng Innovations Science and Technology Co., Ltd), è un’azienda fondata a Shenzhen, Cina, nel 2006. Uno dei suoi modelli più recenti, il Phantom 4, apparso sul mercato nel 2016, è un quadricottero di dimensioni e peso contenuti (l’interasse fra i rotori è 350 mm, il peso 1400 gr), dotato di zampe di appoggio piuttosto alte, che mantengono sollevata dal terreno la mini-telecamera che esso porta appesa sotto la sua «fusoliera»6.
Quest’ultima ha una forma aerodinamica, raccordata con i quattro bracci che portano i motori brushless e le eliche, e nasconde al suo interno tutti i componenti elettronici.
La telecamera è montata su un supporto snodato a tre assi (gimbal) che permette di variarne l’orientamento in volo, provvedendo anche alla sua stabilizzazione, in modo da ottenere riprese molto «fluide», esenti da vibrazioni e oscillazioni7.
La telecamera in dotazione può scattare foto a 12 Mpx e produrre filmati a risoluzione 4k. Il drone viene fornito pronto al volo, completo di un’apposita unità di controllo (radiocomando), prodotta dalla DJI stessa, che porta i due stick per il volo manuale, simili a quelli di un qualsiasi radiocomando per aeromodelli.
[A sinistra: Quadricottero DJI Phantom 4 insieme alla sua unità di controllo e alla cassetta per il trasporto]
L’unità è dotata di un supporto che permette di usare come display il proprio smartphone o tablet, sul quale compaiono le immagini live riprese dalla telecamera (che ovviamente vengono anche registrate su schedine micro SD) e una ricca serie di informazioni sullo stato del drone e sulla navigazione.
Il tempo di latenza, cioè il ritardo fra quanto viene ripreso e quanto appare su display è veramente minimo: pertanto appena il drone si allontana dal pilota quelle poche centinaia di metri che bastano a renderlo praticamente invisibile, per il pilotaggio manuale si può far conto, invece che sui propri occhi, sull’occhio della telecamera.
A proposito del pilotaggio bisogna peraltro sottolineare che esso è molto facilitato da una serie di funzioni automatiche; in particolare il decollo può essere completamente automatico, così come la navigazione lungo un percorso predefinito, tramite una serie di waypoints fissati dall’operatore: essi vengono raggiunti con la massima precisione grazie al ricevitore GPS integrato nel sistema, evitando gli eventuali ostacoli mediante una serie di sensori di distanza posti sul fondo e tutto intorno al drone.
Esiste inoltre una funzione di ritorno autonomo al punto di decollo, che si attiva alla pressione di un apposito tasto, oppure automaticamente nel caso in cui la batteria si stia avvicinando al suo limite di autonomia, o il sistema di controllo abbia per qualsiasi motivo perso il contatto col drone. L’autonomia di volo con una batteria completamente carica è di circa 28 minuti.
La velocità massima, in aria calma, è dell’ordine dei 70-80 km/h e la distanza massima raggiungibile, cioè la portata del sistema di controllo, può arrivare a 5-6 km, in condizioni favorevoli8.
[A destra: Esacottero YUNEEC Typhoon H, insieme alla sua unità di controllo]
La YUNEEC International Co. Ltd fondata a HongKong nel 1999, si è inizialmente occupata di aeromodelli, velivoli ultraleggeri e di sistemi di propulsione elettrica, per poi dedicarsi ai multicotteri.
Il suo modello Typhoon H è un esacottero del peso di circa 1.950 gr e con interasse fra i rotori di 480 mm. Anch’esso è dotato di una buona telecamera stabilizzata, appesa con un gimbal a tre assi al di sotto del corpo del drone.
Dotato di sei bracci portamotori, ripiegabili per il trasporto, e di due supporti di atterraggio retraibili in volo, ha una forma che lo fa vagamente assomigliare a un ragno. Il «carrello» retrattile lascia alla telecamera una visuale completamente libera, permettendo di sfruttare appieno la sua capacità di ruotare di 360°.
La dotazione di sei motori consente, in caso di avaria di uno di loro, di riconfigurare automaticamente il sistema perché rimanga in equilibrio e mantenga la capacità di volare con i rimanenti cinque motori.
L’unità di controllo, prodotta anch’essa dalla YUNEEC, incorpora il display (in pratica un tablet da 7”).

Nel complesso le funzionalità generali del Typhoon sono simili a quelle del Phantom 4, ma secondo alcune prove comparative, sia la qualità dell’hardware e del software, sia le prestazioni di volo (velocità, autonomia, range operativo, eccetera) sarebbero un po’ inferiori (il prezzo è però lievemente più basso di quello del Phantom).
Passando ora ai droni di tipo racer, come abbiamo accennato le loro strutture sono in genere assai più robuste, per resistere ai frequenti urti, e le funzionalità più semplici ed essenziali di quelli dedicate alle riprese video.
Anche questi droni, che utilizzano sempre la configurazione a quadricottero, si possono acquistare sul mercato già pronti al volo, ma è frequente il caso, soprattutto per quelli destinati alle competizioni, che siano DIY (do-it-yourself), cioè vengano costruiti direttamente dai piloti (peraltro assemblando componenti che si trovano già pronti sul mercato), i quali cercano in tal modo di migliorarne ed esasperarne le prestazioni.

Racing drone, quadricottero di tipo commerciale, pronto al volo

La foto mostra il tipico aspetto di un drone racer: la struttura resistente è costituita da leggere, ma rigide piastre sagomate in fibra di carbonio, che vengono tenute assieme da poche viti. I motori brushless sono avvitati all’estremità di corti braccetti (l’interasse tipico fra i rotori è 250-280 mm), sui quali sono fissati i loro ESC. Il peso è dell’ordine dei 4-500 grammi. Le eliche hanno diametri di 5-6 pollici.
Nella «fusoliera» del drone sono alloggiate:

  1. Una schedina elettronica che distribuisce le alimentazioni elettriche ai vari componenti, adattando la tensione della batteria alle esigenze di ciascuno;

  2. La schedina elettronica, dotata di accelerometri e giroscopi, che costituisce il cuore del sistema di controllo e che si interfaccia con la ricevente del radiocomando; esistono sul mercato numerose varianti di queste schede, che vengono settate e calibrate medianti appositi software, in modo da ottenere le caratteristiche di stabilità e di manovrabilità che ogni pilota preferisce;

  3. La ricevente del radiocomando (si utilizzano radiocomandi di uso generale per aeromodellismo, che lavorano nella banda dei 2,4 GHz);

  4. La trasmittente della telecamera, e la sua antenna (lavorano in genere nella banda 5,8 GHz);

  5. La mini-telecamera, montata anteriormente, in genere in posizione fissa, che costituisce l’occhio del drone e consente al pilota di guidarlo in modalità FPV (First Person View), come se si trovasse a bordo;

  6. La batteria, in genere fissata sul dorso con delle semplici fascette velcro.

Piloti muniti di goggles durante una competizione di racing drones

Come si è appena accennato, per guidare questi droni, i piloti utilizzano le normali trasmittenti dei radiocomandi per aeromodelli.
Le modeste dimensioni e la velocità massima di questi quadricotteri (90-100 Km/h, o più), non consentirebbero però, anche a chi è dotato di buona vista e riflessi molto pronti, di farli allontanare molto dalla propria posizione (peraltro ciò non è necessario nelle competizioni di acrobazia, che si svolgono su campi di gara di dimensioni limitate).
Per questo motivo i piloti dei racer prediligono pilotarli indossando dei goggles, cioè degli occhiali elettronici, del tipo utilizzato nelle applicazioni di «realtà virtuale», che ricevono le immagini captate dalla telecamera.
È utilizzando questi occhiali che si gareggia nelle competizioni di slalom, in genere lungo circuiti artificiali segnati da bandiere, archi od altri segnali, oppure ci si diverte a zigzagare in slalom naturali, tra boschi, paesaggi impervi, edifici abbandonati, o altro.

Categoria professionale
I droni professionali non si differenziano molto, come struttura e come funzionalità generali, da quelli per riprese video amatoriali che abbiamo sopra descritto, tant’è vero che i principali costruttori (DJI, YUNEEC, PARROT, eccetera), oltre alle versioni consumer hanno in catalogo delle versioni PRO (professional) dei loro droni, forse meglio definibili come semi-professionali, che offrono prestazioni di volo e qualità di ripresa migliorate, rispetto ai loro modelli standard, che li avvicinano molto ai prodotti di classe superiore.
In linea di massima i modelli professionali si distinguono per avere dimensioni, pesi, potenze dei motori, e ovviamente capacità di carico superiori: ciò contribuisce a renderli in grado di volare anche con condizioni atmosferiche difficili (specialmente con venti più forti), e quindi di produrre più «lavoro».
In molti casi, ma non sempre, per garantire una maggiore affidabilità è utilizzata la configurazione a quadricottero con doppie eliche e doppi motori, oppure a multicottero (a sei o otto rotori singoli); si preferisce inoltre dotarli di strutture portanti più robuste, ma essenziali, più facilmente riparabili e resistenti all’usura, in previsione dell’uso più intenso a cui saranno sottoposti.
Ovviamente sono differenti anche le telecamere che sono in grado di trasportare, non dovendosi più limitare, per questioni di peso, alle mini-telecamere; ciò permette di utilizzare ottiche più versatili, obbiettivi intercambiabili, abbinamenti fra telecamere che lavorano nel visibile e nell’infrarosso, eccetera. Un paio di esempi di velivoli significativi per questa categoria ci aiuteranno a comprendere meglio di cosa si tratta.
La senseFly è una società Svizzera (acquisita nel 2012 dal gruppo francese Parrot) che produce vari droni, fra i quali il quadricottero Albris, che si distingue per la sua particolare forma da grosso insetto.

Quadricottero professionale senseFly Albris

Pur essendo un velivolo di dimensioni e peso modesti (1.800 gr) ha prestazioni professionali, con una particolare specializzazione nelle mappature aerofotogrammetriche e nella ispezione di edifici e grandi strutture verticali, grazie alla ricca dotazione di telecamere e sensori che alloggia nella sua «testa» e nel suo «corpo».
Nella testa in particolare sono sistemate tre telecamere, due che lavorano nello spettro del visibile, e una nell’infrarosso (termocamera); sono completamente stabilizzate e offrono un angolo di visuale di 180° in direzione alto-fronte-basso, in modo da ispezionare rapidamente pareti verticali od oggetti di grandi dimensioni.
La stessa struttura di questo drone, con le sue robuste protezioni delle eliche, tradisce in effetti una delle due funzioni principali per le quali è stato progettato.

Le tre telecamere alloggiate nella testa del senseFly Albris (si noti anche il flash e uno dei sensori ultrasonici di distanza

Tipicamente infatti l’Albris si posiziona di fronte alla struttura da esaminare, mantenendo la posizione grazie a una serie di sensori a ultrasuoni distribuiti tutto intorno al suo «corpo», che gli permettono, quando necessario, di avvicinarsi molto al suo obbiettivo in modo da individuare, con immagini ad altissima risoluzione, anche difetti molto piccoli (le protezioni alle eliche servono a preservarne l’integrità anche nel caso in cui qualche raffica di vento lo spinga a urtare momentaneamente il suo obbiettivo); un flash contenuto nella testa del drone consente di ottenere immagini anche in condizione di luce molto scarsa.
L’altro lavoro che questo drone può svolgere con particolare efficacia sono le mappature di precisione di terreni o siti complessi; a questo scopo la senseFly commercializza con l’Albris un software particolarmente efficacie per il post-processing delle riprese video, col quale si ottengono rapidamente mappature tridimensionali dei luoghi di interesse.
La società cinese DJI, oltre a vari modelli di droni consumer (ai quali abbiamo sopra accennato), produce anche dei multicotteri di tipo professionale, quali l’esacottero Matrice 600 PRO, espressamente progettato per video-riprese cinematografiche o televisive.

Esacottero professionale DJI Matrice 600

Questo drone ha dimensioni notevoli (interasse motori 1100 mm e peso a vuoto 9,5 kg), e garantisce una elevata capacità di carico (fino a 6 Kg); possiede diverse caratteristiche studiate per favorirne un uso intenso e affidabile:

  1. I motori sono sigillati in modo da impedire l’ingestione di polvere;

  2. I bracci dei motori sono ripiegabili, e le zampe di atterraggio (retrattili) sono facilmente smontabili per facilitare il trasporto;

  3. Il sistema è alimentato da sei batterie smart, ricaricabili contemporaneamente in poco più di un’ora; in caso di avaria in volo di una delle batterie il sistema si riconfigura automaticamente per proseguire il volo con le rimanenti;

  4. Grazie all’elevata capacità di carico l’utente può scegliere di equipaggiarlo con un’ampia gamma di gimbal e di telecamere professionali;

  5. La velocità massima (65 Km/h) e la resistenza al vento (fino a 28 Km/h) consentono l’utilizzo in condizioni atmosferiche perturbate;

  6. Il sistema di trasmissioni video in dotazione del Matrice consente un agevole live streaming con i sistemi televisivi HD;

  7. Il sistema di controllo del drone (radiocomando) ha una portata di 5 Km, e provvede anche al pieno controllo delle funzionalità delle telecamere; è però possibile adottare una modalità indipendente di controllo tramite due piloti, uno che si occupa del volo e l’altro della regolazione della telecamera e delle riprese video.

Infine un brevissimo accenno anche al FireFLY6, un multicottero prodotto dalla società americana Birdseyeview Aerorobotics.
La sua particolare configurazione, costituita da un velivolo tuttala, capace di decollo verticale e hovering grazie a una terna di eliche doppie controrotanti, e di volo veloce ruotando in avanti i blocchi motore, ci sembra interessante come una possibile soluzione al problema dell’autonomia di volo dei multicotteri, che non è mai molto elevata e costituisce uno dei punti deboli di queste macchine.
La presenza di un’ala consente in effetti un significativo risparmio di energia nel volo traslato. La formula aerodinamica ibrida, anche se nel FireFly-6 ci sembra realizzata ancora in modo un po’ «grezzo», potrebbe quindi essere una buona idea per migliorare l’autonomia dei multicotteri.

Multicottero ibrido FireFLY6

 

Utilizzi pratici dei multicotteri

Nei paragrafi precedenti abbiamo già dato qualche esempio dei più diffusi ed ovvi utilizzi di tipo ludico, sportivo, o amatoriale dei multicotteri.
Aggiungiamo ora qualche altro esempio di utilizzo «professionale», senza la pretesa di esaurire tutti i casi possibili, anche perché la fantasia dei costruttori e degli utenti non manca di trovare sempre nuove applicazioni.

Ispezioni visive di grandi macchine e strutture
Alcune grandi macchine e strutture, una volta superate le difficoltà per la loro costruzione, pongono problemi non banali e richiedono notevoli spese per il mantenimento della loro integrità strutturale.
Le ispezioni visive sono una delle metodologie più semplici ed efficaci per controllare il loro stato di conservazione, ma la loro esecuzione sulla facciata di un grattacielo, l’impalcato di un grande ponte, il muraglione di una diga, i tralicci e i cavi di un elettrodotto ad alta tensione o le pale di un mega-generatore eolico, eccetera, non sono per niente facili, economiche e prive di pericoli per gli operatori, e rischiano di conseguenza di essere eseguite con frequenza minore di quanto sarebbe opportuno.

I multicotteri hanno già dimostrato di essere strumenti adatti all’ispezione di tali grandi strutture, e di poter sostituire, a minor costo e con rischi irrisori, non solo le più classiche metodologie di accesso a grandi strutture (impalcature, piattaforme, gru, eccetera), ma anche metodologie sofisticate, come quelle già da anni usate nella sorveglianza degli elettrodotti (telecamere e termocamere montate su elicotteri).

Sorveglianza di aree inaccessibili e di calamità naturali
Non è difficile comprendere che anche nel caso di calamità naturali, la possibilità di sorvolare e mappare rapidamente vaste aree può risultare molto utile. Ma i multicotteri, essendo piccoli e agili, e non creando perturbazioni significative, possono risultare preziosi anche per ispezionare da vicino aree difficilmente accessibili, pericolose o pericolanti.
Un esempio di tale utilizzo si è avuto nel recente terremoto che ha colpito la cittadina di Amatrice, dove i droni sono stati fra l’altro usati per valutare l’agibilità e l’estensione dei danni alla chiesa di Sant’Agostino.
In questo caso, entrare nella chiesa semidiroccata attraverso una voragine aperta nel tetto, ha richiesto l’utilizzo di tre droni in parallelo. Mentre un drone cercava di entrare, gli altri due fornivano un ulteriore flusso di immagini in diretta, cosicché un assistente poteva dare indicazioni aggiuntive al pilota, momento per momento.
Si sono così potuti valutare sia i danni alla strutture ed agli affreschi della chiesa, sia i rischi di entrare nell’edificio con squadre di specialisti.

Agricoltura di precisione
L’utilizzo dei multicotteri in agricoltura ha cominciato ad affermarsi negli ultimi anni essenzialmente secondo due direttrici. La prima si rifà all’uso più comune dei droni come piattaforme per riprese aeree, un compito nel quale essi si sono dimostrati in grado di mappare in breve tempo grandi aree coltivate, piantumate o boschive, a costi nettamente inferiori a quanto si può fare, in alternativa, con velivoli pilotati o tramite i satelliti artificiali.
A questo scopo si utilizzano immagini sia nel campo della radiazione visibile che nell’infrarosso, che vengono elaborate con appositi software in grado di produrre appositi «indici» che facilitano il compito degli agronomi nel giudicare lo stato di salute delle coltivazioni, e intervenire, non in modo indiscriminato, ma solo dove necessario, con concimazioni, irrigazione, trattamenti antiparassitari, eccetera (si parla non ha caso di agricoltura di precisione).
La seconda direttrice è l’utilizzo dei droni come vettori per il trasporto di «mezzi correttivi», per curare o correggere problemi delle coltivazioni (che al limite possono interessare la singola pianta). Un esempio interessante è il trasporto e la distribuzione sui campi, tramite droni, delle uova del trichogramma maidis, un piccolo imenottero, già presente in natura, che è un parassita naturale della piralide del mais, dannosissima farfallina che con le sue larve infesta e danneggia questa diffusissima coltivazione. Si evita in tal modo l’utilizzo di ulteriori pesticidi chimici.

Bonifica di campi minati
Massoud Hassani è un tecnico di origini afghane che ha ideato e realizzato il prototipo di un drone multicottero specializzato nella bonifica dei campi minati, che sono uno dei lasciti più terribili della guerra che ha insanguinato il suo paese, e tanti altri luoghi di conflitti nel mondo.
Come viene schematicamente riportato nella figura, il drone denominato Mine Kafon, agisce in tre fasi:

  1. Volando avanti e indietro esegue una mappatura del terreno, creando una fitta e precisa griglia di punti di riferimento

  2. Quindi ripercorre tale griglia, trasportando a pelo del terreno un metal detector col quale individua la posizione delle mine;

  3. Infine deposita sulle mine un piccolo detonatore col quale esse vengono fatte esplodere a distanza.

Il prototipo di questo drone è stato sviluppato e testato in Olanda.

Multicottero cercamine Mine Kafon

C’è da augurarsi che il suo sviluppo possa proseguire e concludersi con la produzione industriale di una macchina che potrebbe contribuire a eliminare, in modo molto più veloce, economico e sicuro dei metodi tradizionali, la piaga dei campi minati, che tante vittime e invalidi hanno creato nel mondo.

 

I multicotteri come possibili velivoli per la mobilità personale?

Abbiamo passato in rapida rassegna i principali tipi e alcune delle più interessanti applicazioni dei droni multicottero. Da quanto si è detto sembrerebbe che al loro rapido ed esteso successo manchi ancora una tappa fondamentale, che in realtà era proprio il punto di partenza dei pionieri che un secolo fa cominciarono a cimentarsi con i primi quadricotteri: far volare non solamente delle telecamere, ma dei piloti e dei passeggeri.
Niente paura, i tecnologi ci stanno pensando da tempo e qualcuno è già riuscito a dare delle convincenti dimostrazioni che la cosa è per lo meno «tecnicamente fattibile».
È il caso per esempio della società tedesca E-VOLO e del suo multicottero elettrico Velocopter.

Il multicottero biposto E-Volo VC 200 Volocopter

Si tratta di un velivolo biposto in grado, sia di essere pilotato, sia di volare in maniera completamente automatica. Basta indicare dove volete andare, come in un navigatore satellitare, e questo robot-volante vi porterà a destinazione come il più affidabile dei tassisti.
Non ci sembra ci possano essere dubbi che i suoi progettisti abbiano davvero pensato alla sua affidabilità e sicurezza: il Velocopter è veramente «multi», perché ha ben 18 eliche, una ridondanza assoluta.
E sul fatto che voli davvero, e bene, con tutte le prove a cui è stato sottoposto, non ci sono dubbi; ma come sia stato risolto il problema dell’autonomia, con le batterie attualmente disponibili, che per quanto eccezionali hanno pur sempre delle densità di energia modeste, non è altrettanto chiaro.

La soluzione, in attesa di qualche scoperta rivoluzionaria nel campo delle batterie, potrà consistere in un sistema di potenza ibrido (con motori a scoppio o celle a combustibile), simile a quello di tante automobili. Resta peraltro il dubbio di fondo se un multicottero, o qualsiasi altro mezzo volante, possa davvero essere una soluzione per la mobilità personale a breve raggio, in ambiente urbano o semi-urbano9.
Ma chi siamo noi per avanzare simili dubbi quando un colosso aeronautico europeo, come lo Airbus Group, annuncia con grande clamore che entro il 2017 avrà pronto il prototipo del suo Vahana (si veda l’immagine di apertura di questo articolo), multicottero per uso individuale, completamente automatico, dotato di motori elettrici e di piccole ali basculanti, che sarà pronto in versione definitiva entro il 2020?
Staremo a vedere, pronti volentieri a rimangiarci i nostri dubbi.

 

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Gianluca Lapini
(Ingegnere, già ricercatore presso CISE e CESI SpA)

 

Note

  1. L’ultimo grido della moda è lo AIRselfie, un piccolissimo quadricottero dalle dimensioni di un telefonino e del peso di 61 grammi.
    Dotato di quattro micro motori che azionano delle ventoline incorporate nello spessore della sua cassa, viene controllato mediante uno smartphone, di cui diventa un sofisticato accessorio, in grado di sostituire l’ormai classico bastone da selfie.
    Incorpora una macchina fotografica da 5 Mpx e può volare per tre minuti, fino a una distanza di 20 m dal suo “pilota”; si ricarica in 30 minuti.

  2. L’ingegnere George de Bothezat, insieme a Ivan Jerome, a più di trent’anni dai suoi primi tentativi, mise a punto nel 1956, un quadricottero denominato Convertawings.
    In questa macchina volante i quattro rotori potevano variare indipendentemente il loro «passo collettivo» (similmente a quanto accade negli elicotteri), cosicché le manovre, cioè i cambiamenti di direzione e l’avanzamento, venivano effettuate variando la spinta dei singoli rotori ed erano più facili da controllare che nel suo originale prototipo degli anni Venti del secolo scorso.
    Il velivolo, era dotato di due motori a scoppio e i rotori, azionati da cinghie, erano interconnessi in modo da continuare a funzionare anche in caso di arresto di uno dei motori.
    Questo quadricottero dimostrò di volare bene e di avere buona stabilità, sia in hovering sia in volo traslato, ma il progetto arrivò troppo tardi rispetto allo sviluppo che avevano ormai raggiunto gli elicotteri, e fu abbandonato.

  3. Un esempio di questi sistemi software/hardware di tipo open source, che può forse essere più familiare ai lettori, è la piattaforma ARDUINO, le cui prime versioni furono sviluppate più di una decina di anni fa presso lo Interaction Design Institute di Ivrea.
    Questa piattaforma ha funzionalità poco specializzate e si presta alla prototipazione/sviluppo di dispositivi robotizzati di vario tipo.
    Quando il mercato non offriva molte alternative è stata utilizzata anche per lo sviluppo dei droni quadricotteri, venendo però presto superata dalla comparsa di piattaforme specializzate per questi velivoli.

  4. Uno degli svantaggi dei quadricotteri è che all’aumentare delle dimensioni, mentre aumenta la loro efficienza propulsiva, peggiora la loro stabilità, o più in generale diventa più difficile mantenerne la manovrabilità e il controllo, in quanto il complesso motore-elica acquisisce più inerzia, aumentando i suoi tempi di reazione.
    Per macchine di grosse dimensioni, progettate per il trasporto di persone, uno dei modi di affrontare questo problema consiste nell’aumentare il numero dei rotori, in modo da mantenere contenute le loro dimensioni. Si passa in tal modo a formule multicottero anche abbastanza esasperate, come nel caso del Volocopter, che ha ben 18 rotori.

  5. La apparente semplicità, la (relativa) facilità di pilotaggio e il prezzo, divenuto abbordabile per un’ampia categoria di consumatori, non hanno mancato di provocare problemi e preoccupazioni alle autorità di controllo del volo, sia per la possibile interferenza con i velivoli commerciali e militari, sia per la possibilità che i droni provochino, in caso di incidenti, danni a cose o persone.
    Per tale motivo, dopo un periodo di «anarchia», tutti i paesi avanzati hanno emesso, in anni recenti norme e regolamenti per il loro utilizzo.
    Anche in Italia, l’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) alla fine del 2013 ha emesso un primo regolamento sui «Mezzi aerei a pilotaggio remoto», che è stato successivamente rivisto ed emendato in varie parti, fino ad arrivare all’ultima versione, entrata in vigore a fine 2016.
    Questo regolamento impone, fra l’altro, limiti di quota e distanza, proibisce il sorvolo di luoghi abitati o di assembramenti di persone, impone ai piloti «professionali» di frequentare appositi corsi di istruzione e di sostenere un esame per il conseguimento di un apposito attestato.

  6. Per la precisione la DJI ha immesso sul mercato, verso la fine del 2016, un ulteriore modello di quadricottero, denominato Mavic, di prestazioni paragonabili a quelle del Phantom, ma molto più compatto, leggero e più facilmente trasportabile, essendo dotato di bracci portamotori e di eliche ripiegabili.
    Quasi in contemporanea è stato messo in vendita dalla nota società americana GOPRO (produttrice di mini-telecamere molto usate sui droni), un quadricottero di caratteristiche analoghe, denominato Karma.

  7. I primi stabilizzatori per macchine da ripresa furono sviluppati verso la metà degli anni Settanta del secolo scorso; nati col nome di steadicam, da un’idea di Garrett Brown, furono inizialmente utilizzati nel mondo del cinema, per film famosi quali Rocky e Shining.
    Con l’evolversi e il divenire sempre più piccole delle telecamere sono stati prodotti degli stabilizzatori elettronici, o gimbal, anche di piccole dimensioni, nei quali minuscoli motori elettrici brushless permettono di mantenere sempre «in bolla» le telecamere stesse, anche quando sono montate su droni o altri veicoli di per sé «traballanti», o comunque soggetti a cambiare assetto/inclinazione durante le loro manovre.

  8. Il costo di un Phantom 4 completo è attualmente di circa € 1.200; esiste anche una versione PRO (professional) con migliori dotazioni, che costa circa € 1.700; versioni precedenti del Phantom, con prestazioni e dotazioni ridotte, sono ancora disponibili a prezzi che partono da circa € 650.

  9. I lettori più anziani forse si ricorderanno che già negli anni Cinquanta del secolo scorso si favoleggiava che nel giro di qualche anno ognuno sarebbe andato tutte le mattine da casa all’ufficio in elicottero (almeno negli USA).

 

 

 

© Pubblicato sul n° 65 di Emmeciquadro

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