A leggere il libro che Guido Barbujani e Lisa Vozza hanno scritto per la collana Chiavi di Lettura si ripassa, e insieme ci si arricchisce, il DNA da tanti punti di vista, a partire da quello che traspare nel primo capitolo dove gli autori fanno capire che è in atto una certa «facilità di lettura» che rimanda a una visione troppo semplice dei meccanismi che regolano la vita.
In effetti, oggi sappiamo ancora poco di come avviene l’interazione tra geni, sennonché «la rete di reciprocità e alleanze che sta emergendo è smisurata». In questo libro di venti brevi capitoli gli autori si sono limitati a fermare lo sguardo su ciò che, per qualche ragione, appare istruttivo.
Per questo non può mancare la narrazione di come funziona la sintesi proteica e del funzionamento delle proteine analizzandone alcune che hanno un ruolo cruciale a livello metabolico, e di come siano tuttora «impervie all’esplorazione sistematica». E poi c’è il rimando al significato della composizione dei geni e il loro funzionamento, perché la semplice lettura delle «lettere» di cui è composto un gene ci dice poco sul suo comportamento, senza scordare che un gene non lavora quasi mai da solo.
Per esempio si conosce che ben 44 geni svolgono funzioni legate all’allungamento della cartilagine quando si cresce, ma non si conosce ancora il ruolo che hanno sull’altezza. Sino ad arrivare a parlare del comportamento degli esseri umani nella ricerca dei geni che regolano il linguaggio.
Forse è anche per questo che la cosiddetta «cura» dei cosiddetti «geni malati» è ancora così lontana dall’essere praticata, nonostante quotidianamente abbiamo sotto gli occhi esperimenti come quello portato avanti al Children Hospital di Philadelphia. In questo caso i ricercatori cercano di «istruire» geneticamente il sistema immunitario a combattere in maniera efficace cellule tumorali come quelle che causano la leucemia, una manipolazione di geni che ancora non è chiaro perché funzioni in molti pazienti. Tutto ciò senza voler togliere all’ambiente in cui viviamo il potere di contribuire ad alterare l’espressione genica, che complica ulteriormente le osservazioni, facendo dire alla scrittrice americana Gloria Steinem che «in realtà molti problemi hanno tre o sette o dici lati».
Via via che scorriamo i capitoli troviamo argomenti più impegnativi, ma decisamente più attuali. Si tratta di come l’informazione contenuta in un gene possa rimanere congelata grazie a particolari molecole che si attaccano a porzioni di DNA, rendendole inaccessibili: una modifica che può essere reversibile e che porta allo studio del differenziamento cellulare e di come opera nella formazione di un organismo e del suo funzionamento.
Si tratta delle cosiddette «inattivazioni epigenetiche» che garantiscono a un organismo forme di adattamento ai cambiamenti ambientali. Addirittura, secondo gli autori, sembra che l’epigenoma di ogni cellula sia in grado di conservare la memoria di alcune esperienze del passato. Si tratta di tracce così importanti che nel famoso caso della pecora Dolly «è possibile che nel processo di clonazione non sia avvenuta quell’attività di pulizia dei segnali epigenetici che normalmente ha luogo quando si uniscono due cellule germinali».
Insomma l’epigenetica è qualcosa di ancora sufficientemente sfuggente che non possiamo prevedere e per questo non è un caso se i tribunali non accettano come prove le modificazioni epigenetiche.




Guido Barbujani, Lisa Vozza

Il gene riluttante.
Diamo troppe responsabilità al DNA?

Zanichelli – Bologna 2016

Pagine 160 – Euro 11,50

 

 

 

 

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Recensione di Gianluca Visconti
(Docente di Scienze presso il Liceo Scientifico FAES – Argonne, Milano)

 

© Pubblicato sul n° 66 di Emmeciquadro

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