Un corso di aggiornamento per docenti di scienze alla scuola superiore si fonda su una storia professionale di ricerca-azione e su numerosi percorsi didattici innovativi realizzati.
È stato progettato per i colleghi da una docente «ricercatrice», esperta di didattica a livello europeo, che su questa rivista ha pubblicato i resoconti di molte attività svolte su tematiche di biologia e di chimica.
Un interessante dialogo aiuta a mettere in luce come dati di realtà e prospettive formative possono sostenersi nella trasmissione didattica delle scienze offrendo al lettore molti spunti e occasioni di riflessione.
Una passione e un metodo, con diverse sfaccettature e implicazioni, da proporre e sperimentare insieme a colleghi più giovani cogliendo l’occasione dell’aggiornamento obbligatorio previsto dalle leggi vigenti.



 

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Emmeciquadro ha pubblicato molti suoi percorsi didattici innovativi realizzati al liceo, sappiamo che da anni collabora a centri di ricerca didattica internazionali, ora ha progettato e condotto l’aggiornamento per colleghi docenti di scienze.
Una nuova sfida controcorrente?



Come previsto dalle recenti indicazioni ministeriali sull’innovazione didattica e metodologica, l’aggiornamento dei docenti si può compiere anche attraverso Unità Formative organizzate da reti di scuole.
Sono stata già da giovane coinvolta come relatrice in seminari formativi per docenti di scienze e in Workshop e Convegni sulla didattica delle scienze, cui mi sono dedicata con entusiasmo. Nel corso degli anni ho operato come tutor coordinatore e come docente di “innovativa biologia laboratoriale” nei Tfa, ho collaborato con la ricerca didattica universitaria e, più recentemente, sono mentor per docenti europei in Scientix Community di Brussels.
Mi sono sempre appassionata a queste attività in cui condivido le numerose esperienze che ho realizzato, con il desiderio di continuo confronto.
Così, proprio grazie alla mia storia ho deciso di accettare l’opportunità offerta dal mio liceo di ideare, strutturare e realizzare una Unità Formativa per docenti di scienze della “Rete scolastica Carlo Merani” che raggruppa istituzioni scolastiche statali della zona Tigullio-Golfo Paradiso.



Nel progettare questo corso ho cercato di coniugare più aspetti che potessero dare un senso all’iniziativa, in un percorso meditato e coinvolgendo pienamente la mia esperienza. Mi sono interrogata sul ruolo di una «didattica educativa» che guidi a metodologie e strategie in grado di rendere i saperi biologici e chimici «vivi» per i nostri studenti.
Credo che dobbiamo essere docenti creativi, innovatori, ricchi di idee e proposte, contribuendo in alcuni casi anche alle scelte del mondo della ricerca che ritiene di operare per la scuola attuale.

 

Quali sono i punti di forza di questa sua proposta formativa?

La struttura del corso è caratterizzata da seminari e da «laboratori» partecipativi in cui vengono illustrati e discussi percorsi didattici realizzati dai singoli docenti su temi di biologia e di chimica, per orientare a una innovazione che, in modo ragionato, utilizzi anche le nuove tecnologie informatiche.
Il corso non fornisce proposte preconfezionate per docenti semplici fruitori di strumenti per studenti. Negli ultimi tempi numerose iniziative formative ideate o promosse in contesti esterni alla scuola contribuiscono purtroppo a consolidare il ruolo passivo del docente. E, nella scuola italiana, molti insegnanti tendono spesso ad adeguarsi a proposte già strutturate, diciamo ad affidarsi, senza crescere nella propria identità professionale.
Obiettivo fondamentale è quindi promuovere la formazione di docenti che non aderiscono acriticamente a iniziative lontane dalla quotidianità dell’operare in classe, ma si mettono in gioco nel creare il nuovo in modo integrato ad approcci e contenuti tradizionali.
Ho ideato gli incontri seminariali partendo da riflessioni sull’essere docenti e studenti «innovatori» e in merito a strategie ragionate per educare alla complessità della cultura scientifica. Ho sviluppato questi aspetti trattando tematiche di avanguardia scientifica come la bioinformatica, le neuroscienze e le nanotecnologie di cui sono relatrice come esperta didattica.
Per completare l’Unità Formativa ho coinvolto anche due docenti universitari di Centri di Eccellenza scientifica per «co-progettare» seminari scientifici secondo la filosofia del corso. In particolare, in questi contributi abbiamo deciso di precisare che cosa significa problem solving nella ricerca biomedica e quale approccio è utile a scuola, che cosa significa cercare di comprendere il significato delle scoperte scientifiche, la metodologia della ricerca e le differenze tra mondo digitale e mondo analogico.

 

Questo corso nasce dalla sua storia personale; in breve, come è arrivata a occuparsi di scienza, a svolgere attività di ricerca, insegnare, scrivere….
E come ha scelto tra ricerca e didattica?

Ho frequentato il liceo classico seguendo la mia passione per la lettura e la scrittura, maturando contemporaneamente un interesse per le discipline chimiche e biologiche che ha orientato la mia scelta universitaria. Un percorso formativo che, dopo la laurea in scienze biologiche a indirizzo biochimico, si è sempre arricchito di Master e Perfezionamenti universitari.
Ho anche avuto la fortuna di effettuare interessanti esperienze di ricerca biologica associate alla divulgazione scientifica, pubblicando per editori nazionali e internazionali. Sono arrivata a occuparmi di didattica delle scienze motivata dalla prima pluriennale esperienza in un contesto di lavoro che mi ha entusiasmato molto, nel quale mi sono appassionata all’insegnamento, alla possibilità di ideare innovativi percorsi di apprendimento scientifico coinvolgendo attivamente gli studenti.
Dopo aver vinto il concorso ordinario ho dovuto scegliere tra ricerca e didattica. Non è mai stata una scelta netta, ma un approccio congiunto alle due realtà operative. All’inizio ho vinto borse di ricerca didattica in enti e centri internazionali.
Ho ideato e attuato progetti nei quali ho cercato di trasferire l’approccio operativo del mondo della scienza: la cultura della ricerca per comprendere, interpretare, rielaborare, apprendere anche il nuovo che si sta organizzando intorno a noi. Ho quindi cercato di lavorare come «ricercatrice didattica» con i miei studenti, protagonisti di percorsi culturali, su idee e progetti in cui coinvolgo da anni centri di ricerca scientifica che mi interessano.
Concepisco l’essere docente molto attiva e in continuo aggiornamento scientifico e metodologico, alla continua ricerca di un senso profondo del mio lavoro e con la prospettiva di essere protagonista nel cammino di conoscenza insieme agli studenti.
Non è facile lavorare così nella scuola attuale, ma è una sfida che si rivela vincente per motivare e rimotivarmi nella quotidianità operativa. Saremo credibili per le future generazioni solo appropriandoci pienamente del nostro compito e confrontandoci con chi condivide la stessa passione formativa.

Secondo la sua esperienza, quali sono le fasi più significative nell’evoluzione della didattica della chimica e della biologia?
E in particolare, che ruolo può avere il
web?

Le modalità di insegnamento delle scienze della vita nella scuola hanno seguito nel tempo l’evoluzione delle acquisizioni della ricerca scientifica. Da una fase di descrizione strutturale del vivente, prima macroscopica e poi microscopica, si è passati alla comprensione del suo funzionamento fisiologico e biochimico.
Questo approccio si è affinato con i moderni sviluppi della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica e oggi si è arrivati allo studio dei fattori integrati che regolano il funzionamento a livello molecolare con la nascita dell’epigenetica.
Se pensiamo all’evoluzione delle scienze chimiche, anche in questo caso le moderne ricerche hanno modificato i contenuti scolastici con la nascita della multidisciplinare nanotecnologia.
La didattica della biologia ha seguito nei contenuti i momenti storici di sviluppo della scienza, e oggi ne ripropone anche la sequenza in senso verticale: dall’insegnamento prevalente della tassonomia e dalla descrizione morfologica dei viventi a una fase di comprensione biochimica e fisiologica e a quella che, nell’ultimo anno liceale, dedica spazio allo studio della genetica moderna, delle biotecnologie e delle tecniche del DNA ricombinante e per la chimica alla tematica multidisciplinare delle nanoscienze.
Oggi Internet è uno strumento utile per integrare saperi proposti tradizionalmente dalla scuola, ampliando le opportunità di approfondimento, diversificando le strategie di apprendimento e proponendo approcci metodologici analoghi a quelli che si trovano in contesti lavorativi.
Navigare in rete può rendere gli studenti consapevoli dell’esistenza di reti internazionali di ricercatori che si scambiano informazioni e può avviare a una conoscenza non superficiale dei saperi scientifici.
Occorre però sottolineare che solo quando sono opportunamente guidati a un uso ragionato della rete gli studenti si appassionano alla consultazione, alla comparazione e alla rielaborazione di fonti on line. Il web non garantisce in assoluto la qualità della didattica, ma aiuta il docente a superare l’approccio didattico trasmissivo per creare nuove modalità di lavoro collaborativo.

 

Come ha modificato negli anni il suo approccio alla didattica nelle discipline scientifiche che insegna?
Ritiene che i modelli educativi di cui si parla spesso anche recentemente, docenti maestri del sapere per i propri studenti, siano ancora validi oggi per promuovere conoscenze scientifiche?

Le modalità operative con le quali ho proposto ai miei studenti i contenuti scientifici sono cambiate nel tempo in relazione a differenti fattori.
Da una parte gli incontri legati alla mia attività a livello nazionale e internazionale, mi hanno progressivamente orientato verso approcci caratterizzati da interdisciplinarietà scientifica.
Dall’altra parte, ho cercato di coinvolgere attivamente gli studenti, anche per piccoli gruppi di lavoro, nell’apprendimento della biologia e della chimica, ritenute troppo spesso di difficile comprensione se prive di rapporti significativi con la propria realtà di vita.
Siamo ora in una nuova era di innovazione che tende purtroppo in molti casi a omologare e non a coltivare e sostenere specificità educative e scelte professionali che non si adeguano a schemi predefiniti.
Tutto ciò appare in contrasto con la valorizzazione di figure carismatiche, di «maestri» che promuovano e sostengano la capacità di ragionare e affrontare problemi complessi. Ogni docente dovrebbe essere per i giovani un riferimento colto, credibile e coerente in grado di guidare a ragionamenti critici oltre le semplici nozioni scientifiche. (Marina Minoli, Fatto il concorso, domandiamoci chi sono i (bravi) docenti, www.ilsussidiario.net, 17/9/2016)
È stato fondamentale anche il confronto umano e professionale, sia a livello nazionale che internazionale, con «docenti ricercatori» appassionati al loro lavoro ed aperti a collaborazioni e promozioni di idee per processi di innovazione didattica e culturale.

 

Nella sua attività internazionale, che differenze ha rilevato tra la didattica delle scienze in Italia e nei sistemi scolastici europei?
Come attivare efficaci cambiamenti anche nella nostra scuola?

Sicuramente la differenza più importante è l’utilizzo di un metodo induttivo che promuove l’operatività scientifica dello studente. L’importanza del metodo: un approccio allo studio che rende lo studente protagonista dell’apprendere e non fruitore passivo di un processo di trasmissione di contenuti rende più facile lo sviluppo del pensiero critico e della riflessione epistemologica per individuare connessioni tra vari insegnamenti.
Certamente è positiva anche la presenza di contesti ambientali scientificamente accoglienti, attrezzati con adeguata strumentazione sperimentale e all’avanguardia, in parte premesse necessarie per promuovere una modalità operativa integrata con le nuove tecnologie.
In più, ci sono molte occasioni di confronto, spesso anche in contesti universitari, con iniziative che sostengono scelte didattiche e progetti scientifici ideati da docenti, anche a livello individuale. Si pone dunque al centro la valorizzazione delle risorse umane a tutti i livelli, fondamentale per essere scuola dinamica e flessibile.
Nella mia attività di referee dell’EMBL di Heidelberg ho fatto esperienza diretta di queste interazioni con alcuni scienziati e lettori di diverse università internazionali, collaborando per ipotizzare un utilizzo didattico del lavoro di ricerca scientifica. (Marina Minoli, “Si può innovare la didattica senza “tradire” il passato?”, www.ilsussidiario.net, 29 agosto 2015)
Per esempio, un tema comune è quello della comunicazione scientifica, l’ultima delle azioni attuate dal ricercatore nello svolgere le sue ricerche: richiede competenza e rigore nella scrittura, nel produrre elaborati caratterizzati da chiarezza e sintesi, così anche nella comunicazione delle ricerche didattiche. Una riflessione comune aiuterebbe a evitare errori e approssimazioni linguistiche sia nella comunicazione della scienza che nella didattica.

 

Pur tenendo conto delle differenze logistiche e culturali, ritiene possibile promuovere cambiamenti significativi di questo tipo nella realtà scolastica italiana?
In particolare, quanto è importante che si facciano più stretti i rapporti tra scienziati e docenti nella formazione scientifica?

Mi sembra che per ora sia un cammino difficile, occorre infatti un cambio di mentalità e nuovi approcci formativi che promuovano soft skills e non solo cognitive skills nella quotidianità didattica.
Purtroppo la scuola di oggi in Italia, a differenza di molti contesti esteri, è ancora in prevalenza impostata sulla verifica delle nozioni di contenuto frammentato tra discipline, promuove poco l’interdisciplinarietà, una visione unitaria e storica della cultura che superi la netta separazione cultura umanistica e scientifica. Apprendimenti frammentati e poco coesi non lasciano purtroppo tracce durature negli studenti e in alcuni casi invece provocano disaffezione.
Gli insegnanti si aspettano in molti casi ricette, protocolli, ma in realtà è la specificità educativa di ogni incontro con i nostri studenti – ogni classe ha la sua peculiarità di persone con aspettative e riscontri – che ci pone come risorse umane fondamentali che rappresentino opportunità di crescita per le nuove generazioni.

Nelle nostre realtà scolastiche in diversi casi si cerca di innovare trasferendo in esperienze pomeridiane attività che potrebbero essere organizzate o integrate nella didattica mattutina se calibrate in specifici percorsi dai docenti di classe. Lasciare inalterato l’approccio metodologico delle lezioni al mattino e concepire il nuovo solo nel potenziamento pomeridiano secondo me snatura un po’ il significato dell’essere veri docenti.
Nelle lezioni curriculari possiamo incidere con differenti sollecitazioni educative sull’interesse e sul coinvolgimento degli studenti. Nelle attività extracurriculari siamo esperti, approfondiamo tematiche, possiamo ampliare il percorso in parte realizzato al mattino, ma siamo più limitati nell’incidere veramente sulle dinamiche formative.
Per quanto riguarda i rapporti tra mondo della ricerca e mondo della scuola, oggi sono ancora percepiti come realtà nettamente separate. Tentativi di sinergie finora attuati, tranne rare eccezioni, non hanno incentivato una reale collaborazione per l’innovazione didattica.
Ritengo invece fondamentale promuovere questo tipo di interazione, per non correre il rischio che il lavoro del docente si spenga, si riduca a facilitatore e organizzatore burocratico, quasi marginale, non un educatore che guida con sapienza i propri studenti a conoscere in rapporto con il contesto scolastico, territoriale e con il mondo del lavoro.

 

Come sono rifluite nel corso tutte queste esperienze, in particolare nello stabilire l’obiettivo prioritario per i docenti che vi hanno partecipato?

Sicuramente ragionare oltre le nozioni e i contenuti, rivisitare il ruolo docente nella sua complessità educativa. Abbiamo lavorato da «docenti ricercatori» che ideano propri percorsi partendo da esperienze di ricerca-azione, sviluppano, stabiliscono accordi collaborativi, non copiano procedure ma hanno il gusto di creare il nuovo, di sperimentare.
Nella fase finale ho guidato da tutor i docenti nel progettare lavori innovativi, personali o di gruppo, utilizzando anche la metodologia della «comunità di pratica», ossia l’«interazione tra professionisti al fine di migliorare la propria pratica professionale», con il supporto di una specifica piattaforma informatica, proponendo domande che fossero spunto di riflessioni scritte.
Ritengo interessante trasferire nella scuola alcune modalità di lavoro della ricerca, non come adeguamento a seguire proposte o adottare toolkits, schede o percorsi ideati da altri, ma per mettere in campo pienamente la professionalità docente e creare occasioni di diffusione e divulgazione dei risultati conseguiti in team.
La scuola ha bisogno di docenti che comprendano l’importanza di lavorare in gruppo condividendo obiettivi, che scelgano consapevolmente di partecipare a congressi nazionali e internazionali coinvolgendo enti e stakeholder (tutti i soggetti coinvolti), che assumano un ruolo chiave nel coinvolgere con proprie idee enti esterni e non viceversa come oggi quasi sempre accade. Docenti dunque appassionati, che non aspettano proposte o iniziative, ma che promuovono nuove idee per specifiche azioni formative cercando idonee collaborazioni.

 

Che cosa auspica ai fini di una buona didattica per i giovani docenti che hanno condiviso con lei questo innovativo percorso di aggiornamento?

Credo che sia sempre fondamentale vivere questo «lavoro speciale» con entusiasmo umano e passione culturale, da protagonisti del cambiamento proponendo nuove idee per riuscire a rendere interessanti in modo attivo e integrato innovativi saperi scientifici.
Non seguire mode tecnologiche o procedure forzate, ma individuare elementi di modernità che riteniamo utili, non aspettare che il positivo didattico sia ispirato e realizzato da altri, quindi non rinunciare al proprio ruolo di «veri docenti» aperti al confronto con altre realtà culturali, ma che dimostrano di essere spesso in grado di attivare all’interno della propria scuola iniziative scientifiche di eccellenza molto innovative nel quale l’ente esterno è collaboratore e non proponente.
Auspico l’essere docenti che si aggiornano in modo coerente al proprio vissuto didattico e con organicità culturale per efficaci ricadute nel lavoro di ricerca didattica e insegnamento, non occasioni frammentate di incontri o attività per accumulo ore.
Non dunque docenti clienti di iniziative di formazione, che si limitano a scegliere da soggetti passivi, grazie anche all’elevato numero di iniziative che l’attuale mercato economico offre, senza reale crescita della propria identità professionale.
Spero che le future generazioni possano inoltre lavorare in una scuola a «burocrazia zero», forse un’utopia, come accade nei migliori modelli scolastici internazionali: comunità scolastiche orientate a formare persone responsabili prima che professionisti per il mondo del lavoro.

 

Esiste un progetto di ricerca a cui vorrebbe dedicarsi in futuro?

Il metodo e la didattica sono sempre stati al centro del senso del mio fare scuola e ricerca e vorrei continuare a dedicarmi alla formazione di docenti in differenti contesti internazionali.
È stimolante lavorare come «ricercatrice» della didattica in una dimensione di confronto internazionale, collaborare con enti di ricerca, realizzando contemporaneamente, sul campo, idee e progetti con libertà educativa e continuando a «crescere» con i miei studenti. Per esempio, sto avviando, con riscontri molto motivanti, un gruppo di ricerca didattica internazionale che comprende anche operatori di differenti ambiti culturali.
Per il prossimo anno sono stata selezionata a livello europeo come mentor nuovi docenti nell’ambito di un progetto internazionale pilota che include quattro paesi europei tra cui l’Italia. Una nuova esperienza che mi motiva molto soprattutto nel confronto con altri docenti.
Ritengo significativa per riflettere sull’essere docente questa citazione di Kahlil Gibran che ho proposto ai miei corsisti: «Nessuno può rivelarvi nulla se non ciò che si trova in stato di quiescenza nell’albeggiare della nostra conoscenza. L’insegnante che avanza nell’ombra del tempio, fra i suoi discepoli, non trasmette la sua sapienza, ma piuttosto la sua fede e la sua amorevolezza. Se è veramente saggio, non vi introdurrà nella casa della sua sapienza, ma vi accompagnerà alla soglia della vostra mente».

 

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A cura di Maria Cristina Speciani
(Redazione Emmeciquadro)

Marina Minoli è biologa dell’Ordine Nazionale ed esperta di didattica delle scienze e comunicazione della scienza a livello europeo.  Titolare della cattedra di Biologia e Chimica presso il Liceo Scientifico “Marconi” di Chiavari è stata eletta nel 2017 Membro della Royal Society Biology di Londra

 

nota di redazione (ndr)

Per un approfondimento sui percorsi innovativi realizzati da Marina Minoli al liceo si vedano i seguenti contributi pubblicati su Emmeciquadro:

  1. Elementi di innovazione didattica nello studio del «cuore» al Liceo Scientifico. Un approccio storico, anatomico, fisiologico (II), (con Michele Mazzanti), n. 65 – luglio 2017

  2. Elementi di innovazione didattica nello studio del «cuore» al Liceo Scientifico. Un approccio storico, anatomico, fisiologico (I)n. 64 – marzo 2017

  3. Elementi di didattica delle neuroscienze per attività bioenglish nel liceo scientifico, (con Michele Mazzanti), n. 61 – luglio 2016

  4. La memoria. Un primo approccio allo studio delle Neuroscienze nella Secondaria di Secondo Grado, n. 53 – giugno 2014

  5. Nanotecnologie per la Scuola. Un’attività didattica innovativa nello Studio della Materia, n. 48 – marzo 2013

  6. Elementi di Innovazione nella Didattica delle Scienze Ambientali: «l’Idrosfera», n. 45 – giugno 2012

  7. Elementi di innovazione nella Didattica della Chimica: percorso “Chimica consapevole”, n. 42 – agosto 2011

  8. Insegnare Biologia oggi. Elementi di innovazione nella Didattica della Scienza della Vita, n. 37 – dicembre 2009

 

 

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