Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano ospita il grande telescopio rifrattore Merz–Repsold col quale Schiaparelli a fine Ottocento ha osservato la superficie del Pianeta Rosso.
L’esposizione avviene dopo un accurato restauro nell’ambito di un progetto di valorizzazione promosso in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica.
Un’occasione per rileggere un tratto di storia dell’astronomia e riconsiderare il valore dell’innovazione tecnologica a servizio della conoscenza scientifica.
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Il restauro e l’esposizione in un Museo di uno strumento per l’osservazione astronomica come un telescopio rifrattore di fine Ottocento può essere occasione per rileggere un brano di storia della scienza e riconsiderare il ruolo svolto nella ricerca dagli apparati strumentali di qualità e dalla abilità oss ervativa dei ricercatori.
È quanto accade in questi giorni al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano dove, per l’ormai consueto appuntamento della Notte Europea dei Ricercatori (MeetMeTonight, 29-30 settembre), viene collocato all’ingresso dell’area Astronomia e Spazio il telescopio Merz–Repsold recuperato e restaurato da ARASS – Brera (Associazione per il Restauro degli Antichi Strumenti Scientifici Onlus) nell’ambito di un progetto di valorizzazione promosso dal Museo e dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – Osservatorio Astronomico di Brera.
Si tratta del telescopio col quale Giovanni Virginio Schiaparelli tra il 1886 e il 1890 ha condotto le celebri osservazioni della superficie del pianeta Marte ma è anche un simbolo del progresso tecnologico messo a servizio della scienza e insieme un significativo esempio di apertura della politica nei confronti di una ricerca come quella astronomica, mossa dal puro desiderio di conoscenza senza immediate finalità applicative.
Il telescopio che d’ora in poi tutti potranno ammirare al Museo è un rifrattore, il più grande che abbia mai operato in Italia e uno dei più grandi al mondo: ha una lente obiettivo del diametro di 49 centimetri (è l’unico componente che non è stato restaurato), una lunghezza focale di 7,5 metri e una colonna di supporto alta circa 5 metri; il suo peso totale si aggira intorno alle 7 tonnellate, tanto che per installarlo al Museo si è dovuto rinforzare il pavimento. È stato realizzato 140 anni fa tramite la collaborazione tra due aziende tedesche: la Merz, specializzata nella parte ottica, e la Repsold, costruttrice della montatura e di tutta la meccanica.
Nella seconda metà dell’Ottocento i tedeschi mantenevano ancora un certo predominio nella strumentazione astronomica, soprattutto per i telescopi rifrattori, che erano quelli più utilizzati a livello sia professionale sia amatoriale; non mancavano naturalmente i grandi osservatori con telescopi riflettori e anche in questo campo si stavano introducendo innovazioni tecnologiche sia nella costruzione degli specchi sia nelle montature.
La passione per l’astronomia si stava diffondendo e anche l’attività e l’iniziativa amatoriali contribuivano a incentivare la ricerca di soluzioni tecniche sempre più efficaci; si era ormai usciti dall’ambito puramente europeo e l’accentuato interesse soprattutto negli Stati Uniti comportava un aumento della richiesta di strumentazione e anche della disponibilità di risorse. Questa situazione culminerà nella realizzazione, agli inizi del Novecento, del grande telescopio riflettore da 1,5 m di Mount Wilson in California, col quale più tardi Edwin Hubble farà le osservazioni che segneranno una svolta nella storia dell’astronomia e della cosmologia.
Le innovazioni più significative dell’Ottocento riguardavano l’applicazione della fotografia e della spettroscopia all’analisi e all’elaborazione delle osservazioni astronomiche. Dopo i primi tentativi nella prima metà del secolo, nel 1851 John Adams Whipple aveva applicato una serie di dagherrotipi al grande cannocchiale equatoriale dell’osservatorio di Harvard (Usa) ottenendo immagini della Luna con 12 cm di diametro; immagini che avevano guadagnato la ribalta internazionale e l’interesse della comunità scientifica dopo la loro presentazione all’esposizione universale di Londra del 1851. Da allora ci fu un susseguirsi di miglioramenti, soprattutto nelle lastre fotografiche, e sul finire del secolo l’astrofotografia era diventata lo strumento base di ogni ricerca astronomica.
Nel frattempo si era imposto anche l’impiego della spettroscopia. Dopo le prime scoperte di Gustav Robert Kirchhoff sulle righe di Fraunhofer nello spettro della luce solare (1859) e dopo i lavori pionieristici di padre Angelo Secchi nel decennio successivo, i metodi spettroscopici sono diventati uno strumento insostituibile in astronomia per ricavare informazioni sui corpi celesti e determinare composizione, parametri e proprietà di stelle, nebulose e galassie.
Le osservazioni marziane
Ed eccoci così a Schiaparelli e alle sue osservazioni marziane. Schiaparelli arriva a Milano da Torino, dove si era laureato al Politecnico e dove aveva avuto modo di conoscere direttamente alcuni dei personaggi politici più influenti dell’epoca tra cui Francesco De Sanctis e Quintino Sella (di cui fu allievo).
La sua reputazione scientifica è già consolidata e sono particolarmente apprezzati i suoi studi in campo astronomico, basati sull’attività osservativa, su comete, asteroidi, stelle doppie, superfici dei pianeti principali del Sistema Solare.
Nominato nel 1862, a soli 27 anni, direttore dell’Osservatorio di Brera, si impegna subito per procurarsi la strumentazione più avanzata. Riesce a convincere il neonato governo italiano che quel tipo di studi può contribuire alla crescita del Paese e ottiene finanziamenti da destinare all’acquisto di nuove apparecchiature e all’adeguamento delle strutture dell’Osservatorio; ordina alla tedesca Merz un telescopio di ultima generazione che arriva a Milano nel 1865 e alla fine del 1874 viene collocato nella nuova cupola costruita sulla torre a Nord-Est dell’Osservatorio milanese per diventare operativo dal 1875 dopo un periodo dedicato alla verifica delle sue proprietà e prestazioni. Va ricordato tra l’altro che questo telescopio è stato in seguito esposto al Museo per oltre 30 anni per essere poi ricollocato nella sua cupola originaria sui tetti di Brera.
Intanto l’attività scientifica di Schiaparelli prosegue: nel 1866 era già diventato famoso a livello internazionale con la sua teoria sulle stelle cadenti: per primo le aveva spiegate come frammenti rocciosi residui di comete, oggi detti meteoroidi, e non come fenomeni atmosferici.
Soprattutto dopo il 1875 intensifica le ricerche di planetologia e in particolare gli studi su Marte; è la qualità ottica del Merz che spinge Schiaparelli a usarlo per studiare in dettaglio il Pianeta Rosso ed eseguire il primo vero rilievo cartografico accurato della sua superficie. L’osservazione utile di Marte può avvenire quando è «in opposizione», ovvero ogni due anni circa quando la Terra si trova tra il Sole e il pianeta, quindi in un momento di massima vicinanza. La memoria basata sulle osservazioni effettuate da Schiaparelli durante l’opposizione del 1877 – 1878, presentata all’Accademia dei Lincei, susciterà enorme impressione.
Per la prima volta si vedono dettagli della superficie del pianeta fino ad allora sconosciuti e non riportati in nessuna delle mappe disponibili all’epoca; per riconoscerli e catalogarli Schiaparelli introduce una nomenclatura che è ancora oggi riconosciuta a livello internazionale: chiama «mari» le zone scure, «continenti» le zone più chiare e, anche per comodità, «canali» una rete di linee scure.
A questo punto però, per approfondire questi risultati, c’è bisogno di strumenti ancor più potenti e Schiaparelli ha individuato il telescopio Merz-Repsold, per l’acquisto del quale si decide a chiedere un secondo finanziamento. L’ingente investimento di 250 mila lire (equivalenti a 1 miliardo di euro di oggi), viene approvato malgrado le difficoltà economiche del Paese all’indomani dell’unità e contribuisce a rendere l’Osservatorio di Brera fra i più avanzati a livello mondiale.
Il telescopio è pronto nel 1886 e per un anno detiene il primato di strumento astronomico più grande del mondo. Per quattro anni viene puntato sistematicamente sul Pianeta Rosso e permette all’astronomo di scrivere un capitolo importante della planetologia, segnando un punto di svolta in questo tipo di studi per la rigorosa metodologia osservativa applicata e per la precisione e il dettaglio delle osservazioni.
Le mappe di Marte disegnate da Schiaparelli nei suoi Diari di osservazione sono piene di strutture sottili e rettilinee che vengono chiamate, come detto, canali. Questi non corrispondono a strutture realmente esistenti ma, all’epoca, le osservazioni vengono interpretate come rilevazioni fedeli della topografia marziana suscitando grande interesse e accesi dibattiti (in ciò ha giocato anche la traduzione in inglese della parola canale con canal, che significa canale artificiale, invece che con channel, che indica i canali naturali: se quelli su Marte erano canal, doveva esserci qualcuno che li aveva costruiti…).
Come già ben descritto su Emmeciquadro n. 39 – Agosto 2010 da Pasquale Tucci nel contributo: Giovanni Virginio Schiaparelli, nei due decenni successivi due scienziati in particolare, Vincenzo Cerulli e Eugène Michael Antoniadi, hanno smontato l’interpretazione di Schiaparelli dei «canali artificiali» mostrando che «le linee che venivano interpretate come canali, osservate con strumenti più potenti, vengono risolte in punti scuri disposti, piuttosto casualmente, lungo strette regioni luminose; le geminazioni si producono quando queste regioni sono tanto ampie da costringere l’occhio a condurre due linee invece di una».
Schiaparelli quindi era stato vittima di un fenomeno percettivo oggi ben noto per il quale il cervello umano tende a dare una struttura geometrica definita anche ai particolari che sono colti dall’occhio in modo vago e indistinto. L’astronomo piemontese era stato comunque sempre piuttosto prudente nell’avanzare ipotesi circa «gli artefici» dei canali, mentre altri scienziati si erano sbilanciati in interpretazioni ardite. Tucci fa notare che Schiaparelli era «disposto a mettere in discussione l’artificialità dei canali, la possibilità della vita, la natura dei canali» ma non accettava che si dubitasse dell’esistenza stessa delle linee.
In un articolo pubblicato nel dicembre 1909 su Natura e Arte aveva ribadito punto per punto le sue posizioni sul pianeta. «Fu una difesa puntigliosa di argomentazioni che egli considerava scientifiche a tutti gli effetti. Come tali esse erano soggette a controllo e revisione: “Lo studio di tutti questi enigmi è appena cominciato; nulla ancora vi ha di certo sui principi a cui si dovrà appoggiare una razionale interpretazione dei medesimi”. Ma non potevano essere liquidate senza articolata argomentazione. Era una difesa, inoltre, della sua storia personale: ma non ne aveva bisogno. La comunità astronomica lo aveva già annoverato tra i più grandi astronomi di tutti i tempi, come fondatore della planetologia».
Dai telescopi del Settecento all’esplorazione spaziale
Quanto al telescopio Merz-Repsold, testimone silenzioso ma eloquente di tanta storia, ha seguito la sorte degli altri strumenti della sua generazione e ora, con la sua esposizione al Museo milanese consente ai visitatori, agli appassionati, agli studenti di cogliere meglio il valore del percorso seguito in un secolo e mezzo dall’indagine astronomica.
Agli inizi del Novecento le condizioni osservative di Brera stavano rapidamente peggiorando a causa dello sviluppo della città e il conseguente inquinamento luminoso e atmosferico. Emilio Bianchi, direttore dell’Osservatorio dal 1922, ottenne come nuova sede villa San Rocco a Merate (Lecco).
Dopo i necessari lavori di adattamento, nel 1936 il Merz-Repsold venne collocato nella nuova sede anche se il suo utilizzo divenne via via più sporadico. Nei primi anni Sessanta lo strumento venne definitivamente smantellato perché diventato obsoleto e poco efficiente. La cupola dove era alloggiato fu in seguito modificata per poter ospitare un nuovo e più potente strumento. Nel successivo tentativo di riutilizzare l’obiettivo del telescopio, la lente venne irrimediabilmente danneggiata.
Proprio in quegli anni il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano stava iniziando ad allestire una sezione dedicata all’astronomia e nel 1961, a seguito delle celebrazioni per il 50° anniversario della morte di Schiaparelli, arrivarono al Museo alcuni tra i più antichi e preziosi strumenti del patrimonio storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera (oggi parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF).
Data l’importanza e l’omogeneità di tale patrimonio, il progetto museologico della sezione venne sviluppato non solo con l’intento di illustrare e spiegare ai visitatori nozioni astronomiche di base, ma anche con il desiderio di celebrare la storia del più antico istituto scientifico di Milano e di ricordare la lunga e proficua attività di ricerca compiuta dagli astronomi in città.
Alcuni degli strumenti tuttora esposti risalgono alla fine del Settecento ma erano ancora in funzione quando Schiaparelli arrivò a Brera e sono strettamente collegati alla sua attività scientifica. Il settore equatoriale di Sisson, per esempio, è stato da lui utilizzato per lo studio delle stelle doppie e per misure di astrometria: con quello ha scoperto, nel 1861, il pianetino Esperia e l’anno dopo ha svolto le osservazioni della cometa 1862 II in base alle quali ha sviluppato la sua interpretazione sulla natura delle stelle cadenti prima ricordata.
Ora la sua collocazione apre in modo significativo e suggestivo la sezione astronomica del Museo che, a seguito dell’ultimo riallestimento e ampliamento nel 2014, accompagna il visitatore fino alle ultime conquiste dell’esplorazione spaziale «dallo Spazio».
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Mario Gargantini
(Direttore della rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 66 di Emmeciquadro