«Ero riuscito ad avere voti alti in scienze e in matematica senza capire sempre il senso di ciò che studiavo»: è l’esperienza raccontata dal premio Nobel Murray Gell-Mann, uno dei più grandi scienziati contemporanei, nel brano che introduce questo numero della rivista.
Ma può benissimo capitare anche in molte delle nostre scuole e comunque, voti alti a parte, può essere sottoscritta dalla maggioranza dei nostri studenti.
Come pure non sarà difficile per la maggior parte degli insegnanti riconoscersi nella successiva constatazione di Gell-Mann che suggerisce una spiegazione della situazione sopra descritta: «Nella maggior parte dei casi sembrava che agli studenti si richiedesse semplicemente di rigurgitare agli esami ciò che avevano trangugiato nei corsi».
La radice del disagio denunciato dal fisico americano sta quindi in un certo modo di condurre l’insegnamento scientifico, tutto sbilanciato su un accumulo delle conoscenze che si manifesta in quella che è stata denominata la «retorica delle conclusioni» e che insiste su un rigido formalismo.
In ogni caso, l’esperienza scolastica si traduce in un nozionismo ripetitivo, alleggerito qua e là dalla proposta di momenti multimediali interattivi dove gli aspetti spettacolari prevalgono su quelli propriamente conoscitivi; e dove si perde un’occasione favorevole per insegnare ad argomentare (era l’aspetto che aveva affascinato Gell-Mann) proprio, paradossalmente, nelle discipline scientifiche che hanno nel procedimento argomentativo uno dei loro punti di forza.
Senza una solida capacità argomentativa ricerche come quelle sulla abitabilità extraterrestre – che Luigi Secco sta presentando a partire dal n° 66 – Settembre 2017 – rischierebbero di arrivare ad affrettate conclusioni lontane dalla realtà, suscitando inutili delusioni o facili entusiasmi. Ma ciò non vale solo a livello della grande ricerca.
L’argomentazione si applica nell’affronto del quotidiano lavoro scolastico, che per le discipline scientifiche vedrà come fondamentale l’attività di laboratorio – descritta da Maria Elisa Bergamaschini – inteso come espressione di quella modalità di conoscenza della realtà naturale propria della scienza; riconducendo, inoltre, il termine «laboratorio» al suo significato originale di «luogo di lavoro», dove si intrecciano le diverse dimensioni dell’avventura scientifica: non solo quella sperimentale ma anche quella storica e quella linguistica.
L’attitudine ad argomentare si può formare nell’ambito di un’attività sperimentale come il percorso di genetica raccontato da Emanuela Occhipinti che mostra come sia possibile, in una classe terza della Secondaria di Primo Grado, trasmettere concetti scientifici anche piuttosto complessi.
Sempre dalla argomentazione trarrà la forza quell’insegnamento per esempi del quale parlava lo storico della scienza Stanley Jaki, il cui pensiero viene ricordato qui da Beniamino Danese; un insegnamento che aiuterà a capire il significato di quanto si studia in un contesto di senso e in forte connessione con la realtà; e permetterà anche di affrontare i paradossi che hanno lo scopo – diceva Jaki – di «svegliare la mente».
Il tema dell’argomentazione, infine, non va disgiunto da quello della parola, dal ruolo delle competenze linguistiche che sono decisive per tutte le discipline perché influenzano direttamente l’apprendimento riguardando sia la comunicazione sia l’argomentazione.
Occorre ricominciare nella scuola ad avere cura delle parole e dei discorsi, come richiama Raffaella Manara nel suo contributo.
«È augurabile che le lezioni consentano in classe di dare spazio alla narrazione e che agli alunni non sia richiesto solo ascolto (e comprensione) delle spiegazioni ma si facciano parlare, favorendo la conversazione e la discussione didattica: non basta imparare a saper fare, è indispensabile proporre anche il parliamone un po’».
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Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 67 di Emmeciquadro