Non è una storia della cosmologia: è qualcosa di meno, da un punto di vista tecnico, ma è qualcosa di più da un punto di vista umano e culturale: è un vero «romanzo dell’universo».
Questa espressione, usata dall’editore nel momento della proposta di scrivere il libro, indica l’ampiezza della prospettiva: un testo che non è solo l’esposizione dei fatti sperimentali e delle teorie, ma espone anche la loro relazione con la concezione che l’uomo nelle varie epoche aveva di sé stesso, la sua filosofia, le sue espressioni artistiche. Ciò implica che, prima di esaminare i tentativi di descrizione dell’universo, ci si ponga il problema della domanda che è alla base dell’indagine sul cosmo, una domanda di senso e di apertura al mistero.
Quando e come sorge questa domanda? Probabilmente fin dall’inizio dell’avventura umana. La prima reazione è quella di uno stupore, come pare testimonino alcune pitture murali del paleolitico.



Questo stupore, e questa è la prima visione dell’universo, è accompagnata da uno studio dei moti dei corpi celesti, carico di significati religiosi, che culmina nei monumenti megalitici, come quello famoso di Stonehenge. Questa fase continua nelle civiltà assiro-babilonesi, in cui lo studio del moto dei corpi celesti fa molti progressi, sia pure in modo puramente descrittivo e legato all’astrologia.



La seconda delle otto visioni che l’autore propone è quella degli antichi greci; liberandosi da significati magici o religiosi si cercava una spiegazione razionale (un modello, diremmo oggi) del moto dei corpi celesti. L’impostazione filosofica prevalente, che prevedeva una separazione del cielo, incorruttibile ed eterno dalla terra, portava a concepire per i moti dei corpi celesti un solo moto: quello circolare uniforme. Questo «dogma» permane per quasi duemila anni, superato solo con le leggi di Keplero, all’inizio del XVII secolo. In ogni caso, con l’Almagesto di Tolomeo, il modello geocentrico raggiunse una precisione notevole, che permetteva di prevedere con notevole precisione le posizioni dei corpi celesti.



La terza visione è quella medievale. Non si tratta di un progresso nella conoscenza scientifica dell’universo: anzi da questo punto di vista si tratta di un progressivo recupero della cultura greca, che viene però reinterpretata in una visione cristiana dell’universo, come risulta evidente, per esempio, nella Divina Commedia di Dante.
Appare però un elemento nuovo, a livello di domanda, nato dal concetto biblico di creazione: come è nato l’universo? Da quanto tempo esiste? Questa domanda rimarrà per secoli senza risposta, fino alla moderna cosmologia. Nel basso medioevo spunta anche una nuova attenzione ai fenomeni naturali, che darà i suoi frutti nel periodo rinascimentale.

Qui nasce la quarta visione, quella della rivoluzione copernicana, che si afferma progressivamente, in base ai dati sperimentali (Galileo) e alle nuove acquisizioni teoriche (leggi di Keplero).
Ma la vera rivoluzione (quinta visione) è quella di Newton con l’introduzione della forza gravitazionale. Si spiegano ora tutti i moti del sistema solare, ma la scomparsa della sfera delle stelle fisse apre a un’immensità sconvolgente dell’universo, in cui tutto il sistema solare appare come un punticino: l’universo potrebbe essere infinito (così ipotizzava lo stesso Newton).

Cominciò quindi l’esplorazione dello spazio cosmico con strumenti sempre più potenti. Questo portò progressivamente (sesta visione) a identificare un cosmo fatto di galassie (spirali contenenti miliardi di stelle), inizialmente identificate come nebulose, distanti l’una dall’altra milioni di anni luce, in una sequenza apparentemente infinita.

Tuttavia rimaneva un paradosso: in un universo statico ed eterno il cielo non dovrebbe essere buio di notte, anzi estremamente luminoso (paradosso di Olbers)!
Arriviamo al Novecento, dove, attraverso il fenomeno del red shift, si scoprì che le galassie si allontanano l’una dall’altra: l’universo è in espansione (settima visione)! Nello stesso tempo la relatività generale forniva un potente strumento teorico per lo studio della struttura cosmica.
Certamente questo dinamismo storico gettava scompiglio nella vecchia immagine di un universo statico ed infinito.

Per esempio si poteva pensare che l’universo nel passato fosse sempre più piccolo, fino a ridursi a un punto o a quello che Lemaître chiamava «uovo cosmico». Ma è chiaro che questa immagine poteva far pensare a un collegamento alla visione cristiana della creazione, cosa aborrita da una parte degli scienziati: per esempio questo possibile inizio fu definito ironicamente come Big Bang, espressione che poi divenne invece il termine per indicare l’inizio dell’universo attuale.
Infatti, inaspettatamente, fu individuata la prova di questo inizio, attraverso una specie di «eco» dell’esplosione iniziale: una radiazione di microonde (detta poi radiazione di fondo o radiazione fossile), proveniente in modo isotropo da ogni direzione spaziale. Da quel momento il modello del big bang divenne universalmente accettato (ottava visione).

Ma, come afferma l’autore nel titolo di uno degli ultimi paragrafi, si tratta di Un romanzo che non finisce. Infatti molti problemi sorgono quando si vuole precisare meglio il modello del Big Bang.
Inoltre la conoscenza della composizione stessa dell’universo viene messa in crisi: la materia ordinaria (protoni, neutroni, elettroni) pare costituisca solo il 5% della materia del cosmo: tutto il resto è materia oscura (25%) ed energia oscura (70%), dove l’aggettivo oscura indica la nostra attuale ignoranza sulla loro vera natura.

Ecco, il romanzo è (per il momento) al termine. Ma la modalità con cui è stato raccontato costituisce un vero percorso di conoscenza che può allargare lo sguardo rispetto alla visione un po’ tecnica dei manuali scolastici.

Per questo può costituire per i docenti una interessante e utile lettura di aggiornamento. Inoltre alcune parti (ho in mente per esempio il capitolo sulla introduzione della forza gravitazionale) possono essere utili come lettura anche per gli studenti, che spesso nei testi si trovano di fronte una formula, magari di capitale importanza per lo sviluppo della scienza, ma di cui non sono aiutati a capire il reale significato.
Infine la scelta di aggiungere al termine di ogni capitolo una piccola antologia dal titolo L’universo nell’arte, dove si mostra come anche l’espressione artistica sia collegata alla visione contemporanea dell’universo, ha una evidente implicazione didattica: la possibilità di interessanti e originali lavori di tipo interdisciplinare.


Marco Bersanelli

Il grande spettacolo del cielo.
Otto visioni dell’universo dall’antichità ai nostri giorni

Sperling & Kupfer Editori – Milano 2016

Pagine 287 – Euro 18,00

 

 

 

Recensione di Lorenzo Mazzoni
(Membro della redazione di Emmeciquadro)

 

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© Pubblicato sul n° 67 di Emmeciquadro