Una rubrica per guidare i bambini della scuola primaria ad «accorgersi» della varietà dei fenomeni fisici presenti nella realtà quotidiana.
Per dare soddisfazione a quella curiosità infantile, definita «sacra» da Albert Einstein e tipica dei grandi scienziati, ma che è spesso mortificata da approcci ludici o fantasiosi se non addirittura aridamente formalistici. Una sfida che l’autore ha raccolto, coniugando semplicità e rigore concettuale e linguistico.
«Zio Albert» invita i suoi piccoli lettori ad accorgersi della presenza nella vita quotidiana delle forze, le quali, applicate a un corpo, lo mettono in moto accelerandolo.
Un caro saluto ai miei piccoli lettori. Oggi vorrei parlarvi di forza e movimento. Per capire di cosa stiamo trattando inizierei con un semplice esempio. Immaginate di essere in autostrada e la vostra auto procede spedita a 100 chilometri orari (si, lo so, non avete ancora la patente, ma è solo un esempio…).
Proviamo ad analizzare cosa sta succedendo al vostro veicolo e come mai si sta muovendo. Innanzi tutto notiamo che il piede del guidatore tiene premuto l’acceleratore e quindi la benzina può fluire nel motore. Qui la benzina brucia e questo fa sì che il motore eserciti una forza (ecco la parola che cercavamo).
Questa forza è quella che genera il movimento dell’automobile. Tutto chiaro no? Forse non del tutto. Mi dispiace deludervi ma le cose non stanno proprio così.
Infatti, se la forza esercitata dal motore fosse la causa del movimento, una volta cessata la causa (la forza, appunto) cesserebbe anche il movimento. Cosa assolutamente non vera. Provate, infatti a togliere il piede dall’acceleratore (o, meglio ancora, spegnete il motore) mentre viaggiate a 100 chilometri all’ora e vedrete che l’auto non si ferma immediatamente, ma procede ancora per qualche centinaio di metri prima di arrestarsi definitivamente.
Forza sviluppata dal motore
Ma allora, la domanda è più che legittima, a cosa serve la forza sviluppata dal motore se non è la responsabile del movimento? Semplice, serve a bilanciare le altre forze che si oppongono al movimento dell’auto. Provate a pensarci.
L’auto viene continuamente frenata da numerose cause: per prima cosa la spinta dell’aria nella direzione opposta al movimento – mettete un braccio fuori dal finestrino e vi accorgerete subito di quanto questa spinta sia intensa anche a velocità modeste – vi sono poi gli attriti degli organi meccanici del motore (cinghie, ingranaggi, pulegge, eccetera), e gli attriti degli pneumatici sull’asfalto – anche se questi ultimi sono indispensabili per potersi muovere.
Già Galileo Galilei più di quattro secoli fa l’aveva intuito. Se non ci fossero gli attriti, un corpo in movimento proseguirebbe la sua corsa per sempre senza bisogno di alcuna spinta. Immaginiamo, ipotizzava Galileo, di far rotolare giù da un piano inclinato una sfera di legno. Se di fronte al piano inclinato se ne pone un secondo identico al primo su cui la boccia possa continuare la propria corsa, essa risalirà su questo secondo tratto alla stessa altezza da cui è stata lasciata cadere come fanno i pendoli o le altalene quando vengono fatti oscillare.
È abbastanza evidente, proseguiva il ragionamento di Galileo, che riducendo progressivamente l’inclinazione del secondo pendio la boccia dovrà percorrere una distanza via via sempre più grande per raggiungere la quota di partenza (come mostrato in figura, il tratto OB è minore del tratto OC che è minore del tratto OD).
Ma cosa accadrebbe se, continuando a diminuire l’angolo del secondo piano inclinato, questo (l’angolo si intende) venisse addirittura ridotto a zero e il piano diventasse orizzontale?
La sfera, concludeva correttamente Galileo, non riuscirebbe mai a raggiungere la quota di partenza e quindi proseguirebbe lungo il piano orizzontale senza più fermarsi.
Proprio come avevamo previsto: qualunque corpo in assenza di attriti si muoverebbe per sempre lungo una linea retta a velocità costante.
Al cuore del problema
A questo punto siamo arrivati al cuore del problema. Cosa succede quando si applica una forza a un oggetto libero di muoversi e non ci sono attriti a contrastarne l’effetto?
La risposta corretta a questa domanda è stata fornita parecchio tempo fa dal grande fisico inglese Isaac Newton.
Un corpo sottoposto all’azione di una forza, scriveva il famoso scienziato, viene distolto dal proprio quieto vivere e fatto accelerare; la sua velocità inizia cioè a crescere e continuerà a farlo con continuità finché non cesserà l’azione della forza.
Naturalmente l’accelerazione non è la stessa per tutti i corpi, essa, infatti, dipende dalla quantità di materia (i fisici la chiamano massa) di cui è costituito l’oggetto che si vuole spingere. Come è intuitivo supporre, maggiore è la massa di un corpo, minore – a parità di forza applicata – sarà la sua accelerazione. Non ci credete?
Provate allora a dare un calcio (un buon metodo per applicare una forza) prima a un pallone e poi successivamente a una pietra delle stesse dimensioni. Avrete così modo di verificare personalmente (dopo esservi eventualmente medicato il piede) quale dei due oggetti ha subito l’accelerazione maggiore!
Per evitare eventuali danni alla vostra salute vi propongo un esperimento meno pericoloso.
Esperimento
Vi servono un tubicino di cartone, una molla (può andar bene quella che si trova nelle penne a pulsante) e alcune matite di diversa lunghezza.
Primo passo
Dovete costruire un «lanciatore». Per farlo vi serve un tubicino di cartone lungo una decina di centimetri e del diametro leggermente superiore a quello delle matite.
Se non lo trovate già fatto, potete realizzarlo voi stessi arrotolando un rettangolo di cartoncino. Fissate poi il tubicino a una base di cartone con della plastilina e al suo interno ponete la molla.
Secondo passo
Inserite nel lanciatore una matita e comprimete la molla fino a quando raggiunge la sua minima lunghezza. Fate saltare la matita e misurate a che altezza sale (la misura va riferita alla sua parte posteriore).
Ripetete poi il lancio con altre matite di diversa lunghezza e confrontate le altezze raggiunte.
Conclusioni
Noterete che quanto più la matita è corta tanto più grande sarà l’altezza raggiunta.
A parità di forza applicata (la molla deve sempre essere compressa allo stesso modo), infatti, le matite più corte (quelle che hanno massa minore) sono spinte con un’accelerazione maggiore e quindi salgono più in alto.
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Sergio Musazzi (Ricercatore e divulgatore scientifico)© Pubblicato sul
n° 68 di Emmeciquadro