«Il bambino-filosofo di fronte ai problemi. Rinnovare l’istruzione matematica per il mondo di oggi» è stato il titolo, già provocante, dell’incontro con Ana Millán Gasca, Professore associato di Matematiche complementari presso l’Università degli Studi di Roma Tre, avvenuto il 10 marzo 2018 all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, a cura delle associazioni Ma.Pe.S1, Diesse2 e ToKalOn3.
Due ore e mezzo di entusiasmante immersione nelle radici storiche del pensiero matematico e nella impegnativa pratica quotidiana del suo insegnamento hanno tenuto concentratissima l’attenzione di più di duecentocinquanta partecipanti, insegnanti del primo ciclo, dalla Scuola dell’Infanzia alla Secondaria di primo grado.
Il focus della riflessione riguardava la prassi didattica della risoluzione di problemi, molto praticata e curata nell’insegnamento della matematica, ritenuta però sovente particolarmente complessa e temuta, nonché sorgente di difficoltà e insuccessi.
È esperienza comune incontrare bambini e ragazzi disposti a eseguire diligentemente esercizi e procedure, ma «bloccati» di fronte ai problemi. Gli insegnanti perciò si interrogano in modo particolare sul perché insistere sulla risoluzione dei problemi, e come farlo: quali problemi scegliere e proporre, se sia possibile insegnare un metodo per affrontarli, come guidare e accompagnare gli allievi a non rinunciare, a lasciarsi «sfidare».
Una prospettiva storica precisa e avvincente ha caratterizzato l’incontro dall’inizio. Abbiamo tracce della considerazione pedagogica che l’attività di risoluzione di problemi riveste nella trasmissione delle conoscenze matematiche, fin da quando ha avuto origine la scrittura dei numeri nella cultura dell’uomo.
Ci hanno raggiunto addirittura testi di problemi babilonesi ed egizi – mostrati da Ana Millán Gasca – la cui struttura presenta singolari somiglianze con quella dei problemi contenuti, ancora oggi, nei nostri sussidiari. Chiara testimonianza dell’origine concreta e della finalità pratica presenti nelle più antiche documentazioni di cognizioni aritmetiche e per-geometriche che possediamo.
«Dobbiamo essere consapevoli del perché quei testi di problemini che stanno lì nei nostri sussidiari sono giunti a noi», dice la relatrice, consapevole che, se queste attività fossero da giudicare inutili, si potrebbe essere tentati di desistere, di rinunciare a sottoporre gli alunni a prove che lì «stressano» eccessivamente.
Occorre riconoscere che proporre problemi e introdurre alla loro risoluzione è l’aspetto più difficile dell’insegnamento della matematica, ma è anche il più affascinante, se condividiamo la fiducia nel valore formativo della matematica, come disciplina che favorisce lo sviluppo del pensiero astratto e del pensiero strategico, e che richiede non sono saper fare un certo insieme di operazioni, assimilandone le regole, ma piuttosto di agire coerentemente mobilitando le proprie risorse personali di iniziativa e libertà.
Nella storia della nostra cultura, la millenaria tradizione di insegnamento della matematica ha raccolto la concezione dei Greci, per i quali risolvere problemi era esercizio di ragione e soprattutto di libertà. Nel pensiero greco il valore della geometria e del metodo della dimostrazione geometrica erano indiscussi: «Non entri chi non sa di geometria», la matematica era la «porta» per la filosofia nella conoscenza del mondo. Cimentarsi nei problemi era considerata condizione necessaria per acquisire un metodo di argomentazione, oltre che per consolidare le conoscenze fondamentali, ed esercizio ricco di gusto e soddisfazione.
Dunque, ci inseriamo in un filone molto ben consolidato di azioni didattiche, quando lavoriamo con i nostri alunni sottoponendo loro problemi aritmetici o geometrici riferiti ai più vari contesti – i problemi sono come «piccole sceneggiature» ha suggestivamente detto la relatrice – chiediamo loro di immedesimarsi nella questione, per individuare le azioni necessarie a raggiungere la soluzione, e ci sforziamo di guidarli a organizzare il loro percorso e a controllare il proprio ragionamento.
Si tratta però di una tradizione che è necessario non banalizzare, non ridurla solo ad allenamento a stereotipati schemi di comportamento, per esempio offrendo solo tipologie standard e ripetitive di problemi. Ma è altrettanto importante non stravolgerla, privilegiando forzosamente l’aspetto pratico delle azioni matematiche, come se il riferimento ai contesti «concreti» fosse il più efficace stimolo per i bambini.
È possibile invece sviluppare e innovare l’attività di risoluzione di problemi, luogo privilegiato di elaborazione dei concetti e di comprensione del loro significato e della loro «presa» sulla realtà, seguendo la visione di grandi matematici e maestri moderni come George Polya (How to solve it, trad. it: Come risolvere i problemi matematici) e Miguel de Guzman, che hanno dedicato a questo aspetto didattico riflessioni fondamentali e sempre attualissime.
Risolvere un problema può e deve essere per i bambini una esperienza importante, una sfida interessante, addirittura estetica, una sollecitazione a muoversi in autonomia, a trovare ed escogitare vie proprie: se osserviamo l’acuta intuizione dei bambini e stimiamo la loro capacità di pensiero, li vedremo conquistare tutti familiarità con i problemi e con l’esperienza anche gioiosa e soddisfacente di raggiungerne la soluzione.
Certamente in alcuni può presentarsi anche una componente di ansia o di paura, ma dando spazio a ciascuno di esprimersi per quello che può o riesce, gli insegnanti possono agire in modo da far prevalere in tutti disponibilità a confrontarsi, voglia di mettersi alla prova e entusiasmo per quello che si raggiunge.
L’azione di guida dei docenti è molto importante, se non si riduce a offrire schemi di soluzioni predisposti e ingessanti: per esempio, variare i problemi, lasciare spazio per verbalizzare e discutere, valorizzare le idee intuitive dei bambini, permettere che adottino anche schematizzazioni e simboli non convenzionali, accettare le loro soluzioni anche se inaspettate e discuterle e condividerle con i compagni, richiedere di inventare loro stessi problemi ed esercizi.
In sintesi, occorre da una parte considerare la matematica e i suoi problemi un luogo di pensiero creativo, di esperienza sia di scoperta sia di riflessione, un’avventura e una palestra di progettazione; dall’altra, stimare le risorse intellettuali e la profondità «filosofica» del pensiero dei bambini, e dei bambini di tutti i tipi – anche di quelli che hanno difficoltà – sono le condizioni per trovare strade di insegnamento ricche e innovative.
Incontrare docenti come Ana Millán Gasca e leggere i suoi preziosi testi4 permettono di individuare valide guide nelle difficoltà del compito di fare scuola.
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Raffaella Manara
(Membro della redazione di Emmeciquadro. Già insegnante di Matematica al Liceo scientifico)
Note
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Ma.P.ES – www.ma-pes.it/index.php/it/
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Diesse – www.diesse.org/
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ToKalOn – www.tokalonmatematica.it/
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Si vedano:
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La matematica: un orizzonte ampio, un incontro coinvolgente, Conversazione con Ana Millán Gasca a cura di Raffaella Manara, in Emmeciquadro n. 64 – marzo 2017
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G. Israel, A. Millán Gasca, Pensare in matematica, Zanichelli, Bologna 2012
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A. Millán Gasca, Numeri e forme. Didattica della matematica con i bambini, Zanichelli, Bologna 2016
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© Pubblicato sul n° 68 di Emmeciquadro