Fa riflettere l’intervento dal grande matematico Ennio De Giorgi a un convegno del 1992 su Progresso scientifico e futuro dell’umanità, dal quale abbiamo tratto la breve citazione di apertura di questo numero.
Il suo discorso era impostato secondo la prospettiva sapienziale tipica del suo approccio alla scienza: una prospettiva che non si è tradotta in generiche considerazioni filosofiche, ma è stata ricca di spunti molto concreti che riecheggiano in modo particolarmente provocatorio se confrontati con le sfide poste di fronte a chi è impegnato nell’insegnamento delle discipline scientifiche oggi.
De Giorgi iniziava dicendo che nell’attività dell’insegnante e del ricercatore si deve seguire la via dell’umiltà e della speranza: ciò non significa mettersi in disparte e affidare tutto ad aspettative miracolistiche; vuol dire piuttosto «condurre con scrupolo metodologico le proprie ricerche specialistiche, comunicare con semplicità i successi conseguiti, i tentativi falliti e le difficoltà incontrate a tutte le persone che possono essere interessate».
Sono indicazioni ben precise, nelle quali alcuni termini utilizzati non casualmente testimoniano un’esperienza controcorrente rispetto al modo di fare scienza più diffuso e più sbandierato: praticare lo scrupolo metodologico e la semplicità nella comunicazione non è cosa di tutti i giorni; per non parlare dei fallimenti e della loro importanza educativa: non certo un tema di moda in un contesto dove conta più l’apparire che l’essere, il successo immediato piuttosto che la costruzione paziente.
Altrettanto «innovativi» sono i consigli rivolti agli insegnanti, invitati a «preparare con cura lezioni ed esercitazioni, assolvere con pazienza, imparzialità, umanità, buon senso, l’ingrato ma necessario dovere di giudicare esami, concorsi, domande di borse di studio, premi, eccetera».
Sono tutti obiettivi che nessun insegnante rinnega sul piano teorico, ma che non è così facile trovare applicati con continuità, laddove la preparazione delle lezioni spesso si riduce al download da Internet di percorsi prefabbricati, il buon senso è un illustre sconosciuto e le incombenze di tipo non didattico affossano tante buone intenzioni e diventano alibi per frenare tante iniziative.
Ancor più decisive sono le esortazioni finali: «questo impegno quotidiano deve essere unito a una costante curiosità e a un costante desiderio di imparare cose nuove, giacché non insegna bene chi non ha lui stesso il desiderio di apprendere, non trasmette agli altri l’amore della sapienza chi non è animato lui stesso da questo sentimento»; e poi: «L’umiltà e l’impegno nel lavoro quotidiano debbono essere uniti a un atteggiamento di rispetto e di attenzione per ogni ramo del sapere, poiché nella vita ogni persona riesce a informarsi solo su un limitato numero di argomenti, ma può e deve amare la sapienza intesa nel senso più ampio della parola».
In queste frasi sono condensati i criteri metodologici applicabili a ogni serio lavoro educativo e in massimo grado all’insegnamento scientifico.
Quest’ultimo è maggiormente minacciato dalla tentazione di limitarsi alla trasmissione impersonale di tecniche, procedure e nozioni; trasmissione ottimizzata dal ricorso a tecniche moderne di organizzazione della classe e di comunicazione e dal ricorso taumaturgico alle tecnologie digitali. Come pure l’insegnamento scientifico è quello che più corre il rischio di esaltare l’apprendimento specialistico perdendo di vista l’unità della persona e il contesto culturale più ampio da cui ogni sapere trae significato.
La ricerca di un’impostazione del lavoro scolastico più adeguata al mondo in rapida trasformazione e soprattutto alle esigenze degli studenti spesso porta a privilegiare uno dei due poli: gli insegnanti, con le loro inossidabili e irrinunciabili lezioni frontali, o gli studenti, protagonisti indiscussi e autonomi delle classi ribaltate.
Le considerazioni di De Giorgi puntano in un’altra direzione, che molti articoli di Emmeciquadro in questi anni hanno tentato di esemplificare: quella che vede insegnanti e alunni al lavoro «insieme», coinvolti in un’esperienza di conoscenza.
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Mario Gargantini
(Direttore della rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 69 di Emmeciquadro