Richard Feynman, fondatore dell’elettrodinamica quantistica e per questo insignito del Nobel per la Fisica nel 1965, riteneva che, in un lontano futuro, le leggi classiche dell’elettromagnetismo sarebbero state sicuramente considerate l’evento più importante del XIX secolo, avendo prodotto una svolta significativa sia nella storia della Fisica sia nella vita civile.
Ma pochi sanno, complice l’editoria scolastica più diffusa, che all’origine dell’elettromagnetismo ci sono le scoperte di Michael Faraday, uno sperimentatore particolarmente versatile.
In questo contributo l’autore con essenzialità e incisività ne tratteggia la complessa personalità umana e scientifica.
Se si sfoglia un prontuario di costanti e unità fisiche il nome di Faraday è l’unico che compare due volte: il farad (F) che è l’unità di misura della capacità elettrica, e la costante di Faraday usata in Elettrochimica e questo dà subito un’idea della vastità di argomenti di cui Michael Faraday si è occupato.
Questa osservazione mette in luce il suo fondamentale contributo sia alla Fisica dei fenomeni elettromagnetici sia alla Chimica, ma anche all’interno di queste due materie la sua attività è stata molto variegata affrontando una eccezionale varietà di problemi sia teorici sia applicativi.
Una caratteristica che si può individuare nella sua immensa attività è quella della curiosità verso la realtà in cui il metodo scientifico permette di penetrare. Affascinato dalla potenza di questo metodo, lo applica a tutto quello che gli si presenta.
Un fatterello indicativo è come ha affrontato il problema dell’inquinamento delle acque del Tamigi; immergendo strisce di cartone misurava fino a quale profondità era visibile il bordo inferiore, annotando i vari luoghi in cui effettuava la misura: l’inquinamento visibile a tutti era stato quantificato.
La vita
Michael Faraday nasce il 22 settembre 1791 a Newington nel Surrey (ora fa parte di Londra) da un fabbro dalla salute malferma, cosa che non gli permette di avere un’istruzione se non elementare e a quattordici anni diviene apprendista di un rilegatore e venditore di libri. Questo gli dà l’occasione di leggere molti libri che gli passano per mano e resta affascinato dalla voce sull’elettricità della Enciclopedia Britannica. Subito si mette a fare esperimenti con un’attrezzatura di fortuna.
La svolta nella sua vita avviene nel 1812, quando un cliente gli regala dei biglietti per sentire le conferenze di Humphry Davy (1778-1829) alla Royal Institution, di cui Davy, il più famoso scienziato dell’epoca, era direttore. La Royal Institution era stata fondata nel 1799 su impulso di Benjamin Thompson, conte Rumford (1753-1814), per insegnare le scienze e le nuove tecnologie al vasto pubblico attraverso conferenze e dimostrazioni; Davy però vi aveva aggiunto l’attività di ricerca tra i suoi compiti fondamentali.
Faraday prende minuziosi appunti delle conferenze, 300 pagine, li rilega e li manda a Davy con una lettera in cui chiede di essere assunto alla Royal Institution. Davy risponde che non ha posti disponibili, ma si ricorderà di lui qualche anno dopo quando capita che si liberi un posto di assistente.
[A sinistra: Michael Faraday (1791 – 1867)]
Questi appunti sono l’inizio di quella che sarà una costante abitudine di Faraday: annotare con cura certosina tutti gli esperimenti e le considerazioni sulla sua attività; tali appunti sono ancora conservati e ci permettono di ricostruire lo sviluppo delle sue idee e i suoi progetti, anche quelli che non hanno portato a risultati.
Faraday muore nel 1867 in un cottage donatogli dalla Regina Vittoria da cui aveva accettato il dono, ma non il titolo di baronetto.
Faraday un cristiano
Un quadro della personalità di Faraday non sarebbe completo senza riferire della sua fede religiosa. La sua famiglia apparteneva alla Chiesa Sandemaniana, una piccola setta protestante rigorista, simile ai quaccheri, che predicava una vita ascetica e si opponeva all’accumulo di ricchezze. Faraday era un «anziano» di tale Chiesa (era una guida della comunità in quanto la setta non prevedeva un clero) e a essa apparteneva anche sua moglie Sarah Barnard.
La conseguenza di ciò è che Faraday era noto per il suo comportamento schivo e, nonostante la straordinaria fama conseguita, restio a mettersi in mostra in società e a sfruttare economicamente il suo lavoro: destinava una parte considerevole dei suoi introiti in opere di carità.
Quando la Royal Society, una delle più antiche società scientifiche, gli propose di diventare presidente, rifiutò in modo cortese ma deciso persino di farne parte, rifiutò anche di essere il primo professore di Chimica allo University College di Londra (UCL). Inoltre dalla sua fede derivava una assiduità eccezionale nel lavoro e una cura per le cose fatte bene, una cura certosina come si diceva dei suoi appunti.
Con queste premesse è evidente che la fede religiosa abbia influito profondamente anche sul suo lavoro scientifico. In molte occasioni, nelle sue conferenze, espresse il convincimento che ci sia un ordine nella creazione di Dio; il compito della scienza era cercare le leggi della Natura attraverso l’indagine sperimentale: «Dio si è compiaciuto di lavorare sulla materia attraverso leggi» e «Il Creatore governa la sua opera materiale attraverso leggi definite risultanti dalle forze applicate alla materia» sono citazioni delle sue affermazioni enunciate in numerose conferenze1.
Proprio da queste convinzioni, «il mondo di Dio è coerente e governato da leggi, in tale mondo deve esistere una relazione tra le forze», cercò sempre l’unificazione delle forze fisiche e in effetti riuscì a dimostrare l’unità di quelle che allora erano considerati diversi tipi di elettricità e addirittura a unificare i fenomeni elettrici e magnetici. Tentò a lungo e invano anche di unificare le forze elettromagnetiche con quella gravitazionale, problema tuttora insoluto.
Ritorniamo a Davy che, ricevuta la proposta di Faraday, comunica di non avere possibilità di offrire un posto nel laboratorio della Royal Institution, ma fa in modo di avere comunque un colloquio con lui e nel 1813, liberatosi un posto di assistente, lo assume.
Nello stesso anno Davy parte per un lungo giro in Europa per incontrarsi con i maggiori scienziati del tempo come André-Marie Ampère, François Arago e Joseph Louis Gay-Lussac; Faraday lo segue come assistente avendo così modo di partecipare, pur avendo un’istruzione modesta, alle discussioni al massimo livello dei problemi scientifici: si può dire che questo viaggio costituì la sua formazione accademica.
Divenuto assistente di Davy, prepara con assidua cura gli esperimenti che questi esegue nelle sue conferenze e partecipa alle attività sperimentali del maestro.
Una attività poliedrica
Osservando la tabella seguente si vede come la sua prima attività è nella Chimica analitica di cui diventa molto esperto al punto da ricevere molti incarichi di consulenza.
Bisogna sottolineare l’importanza di tale abilità per la sua successiva attività di chimico: a differenza dei fenomeni fisici elementari, le trasformazioni chimiche non sono facilmente percepibili dai sensi, ma necessitano di una accurata analisi dei risultati.
Una reazione chimica, nel suo aspetto esteriore, dice poco o niente su quello che effettivamente accade e per questo la Chimica è stata a lungo confusa con la magia; solo la teoria atomica e successivamente la spiegazione quantistica del legame chimico sono in grado di dare una descrizione del fenomeno.
Cronologia delle attività di Faraday 1816: Sviluppo della lampada di sicurezza per i minatori (insieme a Davy). |
Non si può dire se Faraday sia stato più un chimico o più un fisico perché si è applicato con uguale intensità e risultati in entrambi i campi e molto spesso anche nella zona di confine tra le due, non per niente la denominazione di una rivista scientifica si richiamava al suo nome: prima Transactions of the Faraday Society poi Journal of the Chemical Society, Faraday Transactions e ora, fondendosi con altre riviste, ha purtroppo perso il riferimento a Faraday.
Lo studio dei fenomeni elettrici
Come all’inizio della sua storia scientifica era stato affascinato dall’elettricità, così continuò a studiare i fenomeni elettrici.
Nel 1821, stimolato dagli esperimenti di Hans Christian Ørsted (una corrente elettrica provoca la deviazione dell’ago della bussola) e di Ampère che individua una forza magnetica circolare attorno a un conduttore, costruisce il primo dispositivo in cui una corrente elettrica mette in rotazione un corpo e dimostra la possibilità di trasformare l’energia elettrica in lavoro meccanico aprendo la strada dello sviluppo del motore elettrico.
Viceversa, dieci anni più tardi, costruisce la prima dinamo rudimentale dimostrando il processo inverso di trasformazione del lavoro meccanico in energia elettrica.
Il generatore di corrente elettrica
Un altro esperimento che è alla base di un moderno dispositivo elettrico è quello che dimostrò l’effetto di induzione elettromagnetica: due bobine indipendenti sono avvolte attorno a un anello toroidale; quando passa corrente elettrica in una bobina, si rileva una corrente nell’altra. È il principio del trasformatore elettrico.
A conclusione di questi esperimenti enunciò le leggi dell’induzione elettromagnetica. In questo modo, anche se rudimentale, si erano poste le basi dell’uso pratico dell’energia elettrica: generatore, trasformatore e motore; restava solo lo sviluppo tecnologico.
Davy aveva già dimostrato che, come nella pila di Volta, una reazione chimica produceva una corrente elettrica, viceversa questa poteva indurre una reazione chimica, l’elettrolisi, e in questo modo aveva scoperto il sodio, il potassio e il cloro.
Voltametro per determinare la quantità di elettricità misurando il volume di gas prodotto per elettrolisi
Faraday si mise a perfezionare gli studi sull’elettrolisi giungendo a stabilire le leggi che la governano. La cosiddetta costante di Faraday è il risultato della scoperta che la quantità di sostanza depositata è direttamente proporzionale alla carica elettrica utilizzata.
Essa è la carica elettrica necessaria a far reagire una mole di sostanza quando la reazione consiste nello scambio di un solo elettrone: ovvero è la carica di una mole di elettroni. L’accurata misura di questa costante è ancora alla base della determinazione del numero di Avogadro.
Sempre per soddisfare la sua aspirazione all’unità, si mise a cercare una qualche azione delle forze elettrostatiche e magnetiche sulla luce. Si mise quindi a fare una serie di esperimenti per vedere se la luce polarizzata ruotasse il suo piano per effetto di campi elettrici o magnetici, facendo passare la luce attraverso svariati materiali trasparenti sottoposti a tali forze.
Mentre non rilevò alcun effetto per il campo elettrico notò un effetto del campo magnetico su un particolare vetro al borato di piombo, che lui stesso aveva sintetizzato in gioventù. E così lascio scritto «… c’era un effetto prodotto sul raggio di luce polarizzato e così fu provato che la forza magnetica e la luce sono in qualche modo interconnesse».
Era quello che oggi è chiamato effetto Faraday.
Un nuovo ente fisico: il campo
Come si vede i lavori di Faraday sono alla base di molti rami della scienza moderna ma forse il contributo più importante, almeno dal punto di vista teorico, è stata la formulazione del concetto di campo.
Egli era all’opposto di quello che normalmente si concepisce come un fisico teorico, la sua preparazione matematica era minima e la sua attività assolutamente sperimentale, ciò nonostante il suo desiderio di riportare le cose all’unità faceva si che cercasse un nesso fra i vari esperimenti.
Forse si può applicare a lui quanto il fisico francese Pierre Duhem, a cavallo tra Ottocento e Novecento, diceva dello spirito francese e quello inglese nelle scienze: quest’ultimo consisteva in «una straordinaria facilità a immaginare degli insiemi molto complicati di fatti concreti, una estrema difficoltà a concepire delle nozioni astratte»2; per spiegare questo Duhem metteva a confronto Cartesio con Bacone: mentre il primo parte dal discorso sul metodo, il secondo parte dai fatti.
Faraday aveva difficoltà ad accettare il concetto astratto, e quasi metafisico, di azione a distanza che caratterizzava la descrizione della forza gravitazionale e del magnetismo. Non potendo ammettere che nello spazio vuoto un corpo influenzasse un altro provò ad analizzare lo spazio compreso tra i poli di un magnete.
Negli esperimenti di Ernst Chladni (1756-1827) una polvere fine sparsa uniformemente su una lastra, una volta che questa fosse messa in vibrazione, metteva in evidenza, con il suo accumularsi e rarefarsi, i ventri e i nodi dei modi di vibrazione.
A questo tipo di esperimento si ispirò Faraday cospargendo di limatura di ferro un foglio su cui era posto un magnete: la polvere si dispose mettendo in evidenza delle linee che andavano da un polo all’altro del magnete. Usando una carta cerata e scaldandola dopo l’esperimento, fu in grado di fissare le immagini prodotte.
Immagine delle linee di forza di una barra magnetica, originale di Faraday fissata con la cera
A partire da questi risultati sperimentali elaborò negli anni il concetto di linee di forza e quindi il concetto di campo come partecipazione dello spazio all’interazione.
A questo complesso di idee si ispirò, per sua stessa ammissione, James Clerk Maxwell (1831–1879) per elaborare la teoria matematica unificata del campo elettromagnetico che comprendeva i fenomeni ellettrici, magnetici e luminosi.
Egli infatti disse di Faraday che fu «in realtà un matematico di altissimo livello, un pensatore dal quale i matematici del futuro potranno attingere spunti metodologici validissimi e assai stimolanti».
La Royal Institution
Tra gli scopi della Royal Institution vi era quello di organizzare conferenze per un pubblico di non specialisti e Faraday, come direttore, aveva anche questo compito. Egli si dedicò con la sua abituale scrupolosità anche a questa attività instituendo due eventi periodici che sono diventati una tradizione che dura finora: le conferenze del venerdì e le conferenze di Natale dedicate ai ragazzi.
Egli aveva molto chiaro l’importanza di creare una cultura scientifica nel pubblico generico e di stimolare la comprensione dell’importanza delle applicazioni della ricerca per lo sviluppo della società, ma quello in cui è stato veramente un pioniere fu aver colto l’importanza di suscitare l’interesse dei giovani per la scienza.
«Qualsiasi legge che governa l’Universo vi entra in gioco. Si può affermare che i fenomeni fisici associati a una candela che brucia siano il modo migliore per entrare in contatto con la filosofia naturale, la porta più appropriata grazie alla quale farvi ingresso».
Queste parole, nel dicembre del 1860, venivano rivolte da Faraday ai ragazzi che affollavano la sala della Royal Institution; questa conferenza e altre con lo stesso tema andarono a costituire La storia chimica di una candela, un libro che ancora oggi è considerato un classico della divulgazione scientifica.3
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Emanuele Ortoleva
(già Professore Associato di Chimica Fisica presso l’Università degli Studi di Milano)
Note
Per una documentazione sull’influenza della religiosità di Faraday sulla sua attività si veda:
The Faraday Institute for Science and Religion, St Edmund’s College, Cambridge: www.faraday.st-edmunds.cam.ac.uk/index.php
D.R. Alexander, Rebuilding the Matrix – Science and Faith in the 21st Century, Oxford: Lion, 2001, pp. 159-164.
G. Cantor, Michael Faraday: Sandemanian and Scientist, Macmillan, 1991.
C.A. Russell Michael Faraday: Physics and Faith, New York, Oxford University Press, 2000.P. Duhem, La théorie physique, son objet, sa structure, (1906), versione digitale della Association de Bibliophiles Universels: http://abu.cnam.fr/cgi-bin/go?theoriephys1
Per un approfondimento e una più completa esposizione del lavoro scientifico di Faraday si consiglia il libro di J.M. Thomas tradotto da Luigi Dei.
Indicazioni Bibliografiche
John Meurig Thomas, (traduzione e presentazione di Luigi Dei), Michael Faraday, La storia romantica di un genio, ISBN 978-88-6453-152-6 (online), ISBN 978-88-8453-546-7 (print),© 2006 Firenze University Press: http://www.fupress.com/archivio/pdf/773_12209.pdf
Voce: Faraday in Scienza per tutti nel sito del INFN:
http://scienzapertutti.lnf.infn.it/component/content/article?id=842:micha– J. Gribbin, Britannica, The Britannica Guide to 100 Most Influential Scientists (Britannica Guides), Little, Brown Book Group, 2008.
© Pubblicato sul n° 69 di Emmeciquadro