Da un secolo e mezzo è in atto una fase di regresso glaciale, con una sensibile riduzione di lunghezza e spessore dei ghiacciai e profonde modifiche del paesaggio alpino.
Appaiono anche fenomeni come le «finestre» rocciose che interrompono la continuità delle superfici glaciali, i «ghiacciai neri» con ampia copertura detritica, la formazione di numerosi laghi di contatto glaciale.
Lo stretto legame fra dinamica climatica ed evoluzione del glacialismo indica che un’inversione della situazione potrà avvenire solo a fronte di un deciso mutamento delle tendenze di temperatura e precipitazioni solide, il che al momento appare molto improbabile.



In una riflessione sui mutamenti climatici in corso, un breve approfondimento sul contributo che i ghiacciai offrono alla migliore comprensione di questo tema diventa indispensabile.
Superata l’acquisizione delle sostanziali differenze fra il concetto di clima e quello di tempo atmosferico (pur nel quadro dei comuni parametri fisici), è altrettanto importante la consapevolezza che la storia del nostro pianeta è stata caratterizzata da una continua mutevolezza climatica ai vari livelli cronologici dei tempi geologici.
Ben nota, grazie anche alle perforazioni realizzate sulle calotte antartica e groenlandese, è la regolare alternanza di fasi glaciali e fasi interglaciali che per quasi un milione di anni ha caratterizzato la storia climatica recente dal punto di vista geologico.
[A sinistra. Piccola Età Glaciale: processione al Ghiacciaio di Mittelberg (Tirolo) per impetrare l’arresto dell’avanzata (disegno di H. Wieland, 1898)]
Così come è ben conosciuta la più recente fase fredda storica, la cosiddetta Piccola Età Glaciale, che fra la metà del XIII e la metà del XIX secolo ha esercitato una sensibile influenza ai vari livelli antropici, dall’agricoltura alle migrazioni, alla diffusione delle pestilenze.
La fase attuale si presenta con caratteristiche che la distinguono sostanzialmente rispetto alle situazioni precedenti: modificazioni delle componenti fisiche e chimiche dell’atmosfera che stanno avvenendo in tempi ristrettissimi e presenza di una specie, l’homo sapiens, che per numerosità e capacità è in grado di alterare in misura massiccia il sistema ambientale in cui è inserito.



Perché i ghiacciai

Lo studio dei ghiacciai, in particolare della loro evoluzione in rapporto alle dinamiche climatiche, è compito della glaciologia, che si giova di conoscenze che derivano dalle scienze della terra e dalle scienze fisiche.
Numerosi sono gli interessi e varie le motivazioni che sostengono questo settore della ricerca. C’è una motivazione che potremmo definire storico-culturale: basterebbe pensare alle connessioni fra l’evoluzione della nostra specie e le pulsazioni tardoglaciali e oloceniche; ai miti e alle leggende che vedono protagonisti mutamenti del clima ed espansione dei ghiacciai alpini come la diffusa leggenda della «valle perduta», legata alla conclusione dell’optimum climatico medioevale e all’inizio della Piccola Età Glaciale; agli eventi della Grande Guerra, che hanno visto come terreno di scontro i ghiacciai dell’Ortles-Cevedale, dell’Adamello, della Marmolada.
C’è una motivazione più strettamente socio-economica legata all’utilizzo delle acque di fusione glaciale e nivale per l’irrigazione tradizionale, soprattutto in contesti di fondi vallivi a clima semiarido, come la Valle d’Aosta, la Valtellina, la Valle dell’Adige, attraverso canalizzazioni che anticamente si diramavano per decine di chilometri; oppure in tempi più recenti con l’alimentazione di bacini artificiali per la produzione di energia idroelettrica che hanno favorito l’industrializzazione dell’intera Pianura Padana.
Vi è inoltre un interesse di tipo turistico dell’ambiente glaciale, basato sulle sue capacità di polarizzazione di flussi massicci di turisti, escursionisti, alpinisti, che con varie motivazioni si accostano al paesaggio dell’alta montagna e che devono essere edotti sulle rapide trasformazioni che questo sta subendo, soprattutto nelle sue componenti di pericolosità e rischio.
[A destra. Importanza ecologica dei ghiacciai: ricolonizzazione a larici delle aree abbandonate nell’ultimo mezzo secolo (foto C. Smiraglia)]
A queste si aggiungono le motivazioni di tipo ecologico, legate per esempio all’incremento delle aree proglaciali e ai conseguenti nuovi spazi disponibili per la colonizzazione vegetale oppure all’ampliamento della copertura detritica dei ghiacciai e al conseguente sviluppo di particolari ecosistemi microbici.
Di fatto si può affermare che presso il vasto pubblico i ghiacciai che «si squagliano» (o che «si sciolgono» per utilizzare il linguaggio di molta stampa) sono considerati i testimoni privilegiati delle variazioni climatiche in corso e sono divenuti il vero simbolo dell’impatto antropico sull’ambiente.
Del resto il ghiacciaio è un elemento del sistema naturale che nasce, si evolve e si estingue grazie alle sue relazioni con il sistema meteo-climatico. Nei nostri climi il suo sviluppo e la sua sopravvivenza si basano sull’equilibrio fra l’accumulo prevalentemente invernale (neve da precipitazione, neve da trasporto eolico e neve da valanga) e la perdita di massa prevalentemente estiva (ablazione da fusione, da sublimazione, da frammentazione).
Seguendo un semplice modello qualitativo, si può affermare che l’evoluzione di un ghiacciaio dipende dalle condizioni climatiche globali con i loro effetti sul clima regionale e locale; le variazioni meteo-climatiche producono una modifica del bilancio energetico fra ghiaccio e atmosfera; questo provoca una modifica del bilancio di massa del ghiacciaio (cioè della somma algebrica fra l’entità dell’accumulo e l’entità dell’ablazione); successivamente, con un ritardo che dipende sostanzialmente dalle caratteristiche dimensionali del ghiacciaio, si verifica una sua risposta che si concretizza in una modifica dei suoi parametri geometrici (in particolare, lunghezza, superficie, spessore, inclinazione).



Relazioni evoluzione climatica – dinamica glaciale

I fenomeni in atto

La fase attuale di regresso glaciale si sviluppa, pur con qualche breve e lieve fase di inversione di tendenza, praticamente da un secolo e mezzo, da quando cioè si è conclusa la Piccola Età Glaciale e ha interessato tutti i settori delle Alpi (e anche tutte le aree montuose del nostro pianeta).
Per quanto riguarda il versante italiano, i dati raccolti a cura del Comitato Glaciologico Italiano sin dal 1895 mostrano una sensibile riduzione di lunghezza e spessore degli apparati glaciali con profonde modifiche del paesaggio alpino.
Se si considerano due dei più grandi ghiacciai italiani odierni, quello dell’Adamello nel gruppo montuoso omonimo e quello dei Forni nel gruppo Ortles-Cevedale, si constata che entrambi dalla metà del XIX secolo hanno perso circa la metà della loro superficie.
Il Ghiacciaio dell’Adamello che nel 1860 copriva una superficie superiore ai 30 km2, oggi si estende su poco più di 14 km2, mentre quello dei Forni è passato da 19 km2 nel 1869 agli attuali 10.

L’evoluzione del Ghiacciaio dei Forni: da sinistra, 1890 (foto V. Sella); 1929 (foto G. Mentasti-Archvio P. Casati); 2017 (foto C. Smiraglia)

Se si utilizzano i dati contenuti nel Catasto dei Ghiacciai Italiani, realizzato dal Comitato Glaciologico Italiano fra il 1959 e il 1962 e si confrontano con i dati del Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani pubblicato nel 2015, si osserva che fra la metà del secolo scorso e il primo decennio del nostro secolo, la riduzione areale è stata del 30%.
Si è passati infatti da 525 km2 a 368 km2, con le maggiori riduzioni percentuali nelle Regioni dove il glacialismo già copriva aree minori, come il Piemonte, il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. Anche il numero dei ghiacciai è ovviamente cambiato, ma è lievemente cresciuto, si è passati infatti da 835 a 903 corpi glaciali.
Questo risultato apparentemente paradossale è dovuto alla frammentazione di numerosi ghiacciai preesistenti che si sono divisi in due o tre ghiacciai minori, che vengono registrati dal catasto come unità a sé stanti. L’elevato numero di ghiacciai che si sono estinti nel periodo considerato (180) è stato infatti ampiamente compensato dalle numerosissime frammentazioni.

Il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani, 2015, liberamente scaricabile dal sito http://users.unimi.it/glaciol

Oltre alla creazione di nuovi ghiacciai, si sono ampiamente diffusi altri fenomeni che stanno mutando profondamente il paesaggio alpino.
[A sinistra: Il Ghiacciaio di Fellaria Orientale (gruppo del Bernina) frammentato in due tronconi (foto G. Kappenberger)]
Fra questi l’apparizione di «finestre» rocciose che interrompono la continuità delle superfici glaciali e che preludono ad altre separazioni; l’incremento dei dissesti sulle pareti rocciose precedentemente coperte da ghiaccio che provocano frane e cadute di sassi che tendono a ricoprire la superficie dei ghiacciai; l’incremento della copertura detritica superficiale, con la trasformazione dei «ghiacciai bianchi» in «ghiacciai neri», che almeno durante il periodo estivo sta mutando dal punto di vista cromatico l’aspetto delle montagne; la formazione di numerosissimi laghi di contatto glaciale, le cui acque con un fenomeno di retroazione positiva, amplificano l’ablazione dei ghiacciai che vi penetrano.

A sinistra: Ghiacciaio Sforzellina (gruppo Ortles-Cevedale), ormai trasformato in un piccolo «ghiacciaio nero» (foto C. Smiraglia, 2016)
A destra: Il Ghiacciaio Pisgana Occidentale (gruppo dell’Adamello): «finestre rocciose», laghi di contatto glaciale, collassi della superficie (foto W. Belotti, 2017)

Conclusioni

I dati sopra esposti, che trovano conferma in quanto sta avvenendo nelle altre regioni alpine, mostrano una intensa riduzione areale delle masse glaciali, che ha visto solo brevi interruzioni dalla metà del XIX scorso e che negli ultimi decenni ha fatto registrare un’accelerazione, che può essere definita un vero e proprio collasso.
Lo testimoniano le ulteriori frammentazioni avvenute negli ultimi anni, in particolare quella del Ghiacciaio dei Forni e del Ventina in Lombardia, del Lys e della Lex Blanche in Valle d’Aosta, del Careser in Trentino, della Vedretta Alta e del Malavalle in Alto Adige.
Visto lo stretto legame fra dinamica climatica ed evoluzione del glacialismo, è chiaro che un’inversione della situazione attuale che porti a un incremento delle masse glaciali potrà avvenire solo a fronte di un deciso mutamento delle attuali tendenze di temperatura e precipitazioni solide, evento questo al momento molto poco probabile.
I possibili scenari futuri preannunciano una catena alpina che nel corso di questo secolo perderà la maggior parte della copertura glaciale: i grandi ghiacciai vallivi perderanno le proprie lingue che oggi scendono nelle valli e si trasformeranno in ghiacciai di circo, i ghiacciai di circo si trasformeranno in piccoli glacionevati o si estingueranno.
Per il Ghiacciaio dei Forni per esempio, effettuando simulazioni basate su diversi modelli climatici di circolazione globale, si configurano percentuali di volume residuo, rispetto a quello attuale, fra il 5 e il 17 % al 2050 e fra lo 0 e il 5% al 2010.

Simulazione fino al 2030 dello spessore del Ghiacciao dei Forni (da Garavaglia et al., 2014)

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Claudio Smiraglia
(Università degli Studi di Milano – Comitato Glaciologico Italiano)

L’articolo riprende i contenuti di un intervento dell’autore all’incontro del 7 giugno 2018 “IL CLIMA STA CAMBIANDO. COME FACCIAMO A SAPERLO?” presso il Centro Culturale di Milano.

© Pubblicato sul n° 69 di Emmeciquadro

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