Mercoledì 22 agosto 2018 alle 12,30 al «Meeting per l’amicizia fra i popoli» di Rimini, nell’ambito di EXOPLANETS – Nuove terre inesplorate, l’antico mistero della vita, (a cura dell’Associazione Euresis e di Camplus) si terrà un incontro dedicato alla ricerca di possibili civiltà extraterrestri per mezzo del programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence).
Anticipiamo l’intervento di Paolo Musso, membro del SETI Committee della International Academy of Astronautics, che parteciperà all’incontro insieme a Stelio Montebugnoli, anch’egli membro del SETI Committee e responsabile del SETI italiano.
La domanda circa la possibile esistenza di altre civiltà nell’Universo è molto antica: ne troviamo tracce già nella filosofia greca, per esempio in Democrito, ma molto probabilmente, anche se non abbiamo testimonianze scritte precedenti, esiste fin da quando esiste l’umanità.
Una domanda antica quanto l’uomo
[A sinistra: Democrito e le civiltà extraterrestri]
Oggi tuttavia la questione è diventata molto più pressante, perché per la prima volta nella storia non siamo più condannati a limitarci alle sole speculazioni teoriche, ma cominciamo ad avere i mezzi per cercare tracce fisiche di tali possibili civiltà (essenzialmente segnali radio, ma si cercano anche possibili segnali formati da impulsi laser).
Inoltre negli ultimi vent’anni si è scoperto un numero sempre crescente di esopianeti, compresi molti in fase di formazione, sicché si è ormai certi che essi nascono insieme alle stelle come loro «sottoprodotto», il che significa che praticamente ogni stella dovrebbe avere dei pianeti.
[A destra: Planet formation – Disco di accrescimento. Le zone vuote indicano la presenza di un pianeta che si sta ”mangiando” la polvere (by ALMA)]
E se è vero che nessuno di quelli fin qui scoperti sembra avere caratteristiche tali da poter ospitare la vita, meno ancora in forme complesse, è altrettanto vero che tutto lascia pensare che ciò sia dovuto soprattutto ai limiti attuali dei nostri strumenti, che però sono in costante evoluzione, sicché nel giro di pochissimi anni dovremmo essere in grado di cominciare a scoprirne almeno alcuni (e forse anche molti) con le caratteristiche adatte.
Il programma SETI
L’idea di base del SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) venne proposta per la prima volta il 19 settembre 1959 in un celebre articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature dall’italiano Giuseppe Cocconi (1914-2008) e dall’americano Philip Morrison (1915-2005), che proposero di utilizzare per questo tipo di ricerca i radiotelescopi, che erano stati costruiti per studiare le emissioni radio naturali delle stelle e che proprio negli anni Cinquanta avevano conosciuto uno sviluppo spettacolare, grazie ai progressi fatti dalla tecnologia, per ragioni militari, durante la Seconda Guerra Mondiale.1
[A sinistra: Frank Drake (1930 – ) a Green Bank (West Virginia), sede del Project OZMA, nel 1962]
Per passare dal dire al fare ci vollero solo pochi mesi, grazie a un giovane radioastronomo americano destinato a passare alla storia, Frank Drake (1930 – ), che l’8 aprile 1960, in totale solitudine, cominciò la prima ricerca del genere, il cosiddetto Project Ozma,2 presso l’Osservatorio di Green Bank in West Virginia, dove l’anno successivo si celebrò anche il primo congresso della storia dedicato al SETI, all’apertura del quale, la mattina del 1° novembre 1961, Drake enunciò la sua famosa equazione, che fa ancor oggi bella mostra di sé incisa su una targa incastonata nella parete dell’Osservatorio.
[A destra: Equazione di Drake – Targa commemorativa a Green Bank]
Nel 1966 nell’ambito della International Academy of Astronautics (IAA), il massimo organismo mondiale nel campo delle scienze dello spazio, venne istituito un gruppo di studio interdisciplinare sull’argomento, composto da scienziati, ma anche filosofi, teologi, antropologi, psicologi e perfino artisti, che successivamente si trasformò in un organismo stabile, il SETI Committee, che è a tutt’oggi l’unico organismo internazionale ufficialmente riconosciuto dalla comunità scientifica in questo campo.
Nel 1999 presso il SETI Research Center della Berkeley University venne varato, sotto la direzione di Dan Werthimwer, il programma SETI@home, che consente di scaricare gratuitamente da un sito appositamente dedicato (https://setiathome.berkeley.edu) un pacchetto di dati provenienti dal radiotelescopio di Arecibo insieme a un apposito software per analizzarli, che funziona automaticamente nei momenti in cui il computer resta acceso senza essere utilizzato.
[A sinistra: Il radiotelescopio di Arecibo (Portorico, 305 metri di diametro)]
I risultati vengono poi inviati, sempre automaticamente, al Berkeley SETI Research Center non appena ci si connette a Internet. Se per caso in quei dati si trovasse un segnale alieno, è previsto che il fortunato possessore del computer venga associato come co-scopritore agli scienziati di Berkeley nel dare al mondo l’annuncio e, ovviamente, nel ricevere i successivi onori e prebende, che in un caso del genere non mancherebbero di certo.
Ormai gli iscritti al SETI@home sono milioni nel mondo. Il suo metodo, che fu il primo esempio di ciò che oggi viene chiamato «calcolo diffuso», ha avuto un successo così straordinario che è stato copiato da molte altre istituzioni scientifiche (tra cui anche il CERN che l’ha usato, tra l’altro, nella caccia al bosone di Higgs), che hanno quasi sempre ottenuto un buon successo, però mai neanche lontanamente paragonabile a quello del SETI@home, che ne fa tuttora il centro di calcolo diffuso più grande del mondo.
[A destra: Il SETI@home a Berkeley]
Lo straordinario successo del SETI@home ha fatto crescere esponenzialmente anche tra la gente comune la popolarità del SETI, che ha oggi un’enorme influenza sulla nostra cultura, che nasce essenzialmente dall’esistenza stessa della ricerca, indipendentemente dal suo eventuale successo, che in genere viene dato per scontato.
E per quanto criticabile sia un tale atteggiamento (perché le cose, come subito vedremo, sono in realtà molto più complicate di quel che si pensa), cionondimeno si tratta innanzitutto di un dato di fatto, con cui bisogna fare i conti: per questo è importante cominciare a parlare di questi temi e delle loro implicazioni sociali, filosofiche e religiose già adesso.
Il Grande Silenzio
Fino a oggi il SETI non ha ancora trovato niente, il che può apparire strano, dato che è attivo ormai da 58 anni e almeno negli ultimi 30, nonostante la cronica scarsità di fondi,3 la ricerca è stata condotta con alcuni tra i migliori radiotelescopi del mondo, tra cui anche quello dell’INAF di Medicina, nei pressi di Bologna, grazie soprattutto a Stelio Montebugnoli (1948 – ), che ne è stato per molti anni il direttore e adesso, dopo essere andato in pensione, continua a lavorarci come ricercatore esterno nonché referente italiano dell’INAF per il SETI.4
[A sinistra: Stelio Montebugnoli (1948 – ) a Medicina. Sullo sfondo i laboratori e la ”Croce del Nord”]
Questo è ciò che è stato chiamato «il mistero del Grande Silenzio», per spiegare il quale sono state proposte le più svariate ipotesi, da quella più banale, che cioè siamo soli nell’Universo (cosa che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non possiamo assolutamente escludere), fino alle più fantasiose e stravaganti, tra cui quella denominata poco elegantemente «ipotesi dello zoo», per cui le civiltà più evolute si limiterebbero a osservarci, appunto, come strani animali allo zoo, senza prendere contatto con noi fino a quando non ci saremo elevati a un livello superiore. Ma probabilmente la vera risposta è molto più semplice.
È vero infatti che in linea di principio i nostri radiotelescopi sono in grado di ricevere segnali di qualsiasi tipo anche da distanze enormi, perfino dagli estremi confini dell’Universo, tuttavia il problema è che qualsiasi segnale radio artificiale proveniente dal cosmo apparirebbe mescolato a quelli naturali, che sono innumerevoli e soprattutto in molti casi sono molto più forti.
Occorre quindi un algoritmo che sia capace di riconoscere l’ipotetico segnale intelligente all’interno di questo onnipresente e fortissimo «rumore di fondo» prodotto da cause naturali.
Ma purtroppo l’algoritmo che fino a oggi si è sempre usato, la FFT (Fast Fourier Transform, cioè la classica trasformata di Fourier), è sì estremamente sensibile,5 ma riesce a «vedere» soltanto un segnale composto da un’unica frequenza (quello che in gergo si chiama segnale monocromatico o portante radio), che ha una forma facile da riconoscere, giacché apparirebbe come una riga continua leggermente inclinata.6
Purtroppo però questo tipo di segnale non è quello che si usa per le normali trasmissioni radiotelevisive, che sono tutte in modulazione di frequenza o in modulazione digitale, generando una forma complessa che la FFT non riesce a distinguere dal rumore di fondo.
Un segnale monocromatico potremmo aspettarcelo solo nel caso di una trasmissione intenzionalmente rivolta a noi, giacché permette di concentrare al massimo la potenza del trasmettitore e quindi di raggiungere la massima distanza con il minimo della spesa, ma purtroppo questa eventualità appare improbabile.
Infatti perché abbia senso inviarcelo gli ipotetici alieni dovrebbero prima sapere che siamo in grado di riceverlo e l’unico modo per saperlo è che abbiano ricevuto le nostre trasmissioni radiotelevisive, che però sono in viaggio da troppo poco tempo perché possano avere una ragionevole probabilità di aver già raggiunto un’altra civiltà.7
[A destra: Stazione Radioastronomica INAF di Medicina (BO) – ”Croce del Nord” e parabola da 32 metri]
Proprio per questo nel 2000 a Medicina è stata attivata la KLT, cioè la Trasformata di Karhunen-Loève, che in linea di principio può individuare anche segnali non intenzionali di forma complessa, ma in pratica è «sorda», cioè è molto meno sensibile rispetto alla FFT, per cui per avere ragionevoli probabilità di successo occorrerebbero radiotelescopi molto più sensibili (il che in pratica significa molto più grandi) di quelli attualmente disponibili: basti dire che secondo Stelio con quelli attuali si potrebbe scoprire una trasmissione aliena al massimo a una distanza di una decina di anni luce.
Quindi, riassumendo, con la attuale tecnologia siamo in grado di scoprire solo segnali che probabilmente non esistono, mentre non siamo in grado di scoprire quelli che hanno le maggiori probabilità di esserci davvero.
Così stando le cose, non c’è da stupirsi che finora il SETI non abbia avuto successo: anzi, semmai ci sarebbe stato da stupirsi del contrario.
Vent’anni decisivi
Tuttavia, se è vero che oggi non disponiamo ancora di una tecnologia adeguata per il SETI, è però altrettanto vero che la situazione è destinata a cambiare profondamente nei prossimi vent’anni anni, con la ormai imminente entrata in funzione dello SKA (Square Kilometer Array), il gigantesco radiotelescopio da un chilometro quadrato composto da una miriade di piccole antenne di diversi tipi e dimensioni che si stanno attualmente costruendo su un’area immensa distribuita tra il Sudafrica e l’Australia, ma con propaggini che si estendono su mezzo continente africano da una parte e fino alla Nuova Zelanda dall’altra.
Salvo ritardi (sempre possibili in un progetto di queste dimensioni), la sua inaugurazione dovrebbe avvenire nel 2023 (anche se per allora non sarà ancora completo) e la sua sensibilità sarà tale che dovrebbe essere in grado di vedere una trasmissione radiotelevisiva analoga alle nostre fino a una distanza di 1000 anni luce, il che significa poter esplorare un volume di spazio di circa 4 miliardi di anni luce cubi, ovvero un milione di volte più grande dell’attuale.
[A sinistra: La zona abitabile galattica]
Ma c’è di più. Infatti questa sfera, benché ancora piccola rispetto alla galassia nel suo insieme, si troverà però tutta all’interno della zona abitabile galattica, della quale rappresenterà una frazione più che rispettabile (da 1/100 fino a 1/50 circa): di conseguenza, se le nostre teorie al riguardo sono giuste e se esistono davvero altre civiltà, è assai probabile che almeno qualcuna si trovi al suo interno e che lo SKA possa rilevarne le trasmissioni radiotelevisive (che dovrebbero esistere, in una qualche forma, dato che è molto improbabile che una qualsiasi civiltà tecnologica rinunci del tutto a servirsi di quella che è la forma di comunicazione a distanza più rapida ed efficiente che ci sia).
Quindi, tenendo conto che il completamento dello SKA e di conseguenza il raggiungimento della massima sensibilità avverrà qualche anno dopo la sua entrata in funzione e che è ragionevole aspettarsi che poi ci voglia ancora qualche altro anno per imparare a sfruttarne al meglio tutte le potenzialità, ciò significa che nel giro di 15-20 anni al massimo potremmo essere in grado di scoprire il primo segnale radio extraterrestre della storia.
Una scoperta straordinaria (in ogni caso)
Se ciò accadesse davvero, già di per sé si tratterebbe di una scoperta straordinaria, come è evidente a tutti. Ma lo sarebbe anche più di quanto in genere si pensa: infatti significherebbe non soltanto che non siamo soli, ma anche che quasi certamente la vita intelligente è molto comune nell’Universo.
Infatti, analogamente a quanto è accaduto con la formazione dei pianeti, sembrano esserci solo due possibilità: o la nascita della vita intelligente sulla Terra è stata il frutto di un processo ben preciso, che si innesca ogni volta che su un pianeta si danno certe condizioni iniziali (e in tal caso, dato l’immenso numero dei pianeti, la vita intelligente dovrebbe essere molto comune) o è stata il frutto della coincidenza casuale di numerosi processi indipendenti (e in tal caso, nonostante l’immenso numero dei pianeti, la vita intelligente dovrebbe essere molto rara), mentre una situazione intermedia appare difficile persino da immaginare.
In fondo si tratta sempre del vecchio dilemma di Jacques Monod (1910-1976): il caso o la necessità?
Quindi se la vita intelligente fosse molto rara, ben difficilmente potremmo sperare di trovarla entro un raggio di 1000 anni luce, che su scala cosmica è in realtà una distanza infinitesimale: ergo, se la trovassimo realmente così vicino a noi, vorrebbe dire che quasi certamente è molto comune.
Ma c’è di più: infatti molte di queste civiltà (se non tutte) sarebbero certamente molto più avanzate della nostra. La ragione è semplice: come abbiamo appena visto, noi stiamo arrivando appena adesso a possedere il livello tecnologico necessario per le comunicazioni interstellari, quindi qualsiasi civiltà con cui possiamo entrare in contatto deve per definizione essere a un livello tecnologico almeno uguale al nostro; ma poiché la probabilità che sia esattamente allo stesso nostro livello è così piccola da essere in pratica trascurabile, non resta che la possibilità che sia a un livello superiore, il che di fatto vuol dire molto superiore (laddove questo molto va misurato non in migliaia, ma in milioni di anni, considerando che la vita sulla Terra esiste da 4 miliardi di anni e la scienza moderna solo da 400).
Se invece il SETI non dovesse avere successo neanche con lo SKA, sarebbe certo una grande delusione per tutti gli appassionati, ma anche in tal caso si tratterebbe ugualmente di un grande progresso per le nostre conoscenze, perché, in base allo stesso ragionamento fatto prima, vorrebbe dire che quasi certamente le civiltà extraterrestri o non esistono affatto o comunque sono molto rare e quindi molto lontane: tanto rare e tanto lontane, in effetti, che verosimilmente non riusciremo mai a scoprirne una, anche se va riconosciuto che si tratterebbe soltanto di un (forte) indizio in tal senso, ma non di una prova definitiva.
Pur con questa ultima precisazione, è dunque importante capire che i prossimi vent’anni saranno in ogni caso decisivi, perché, comunque vada, cominceremo finalmente a sapere qualcosa al riguardo, anziché limitarci a ipotizzare e aspettare, come è stato fino a oggi.
Conseguenze sociali
Anche se molti tendono a drammatizzare le possibili conseguenze del contatto, non dimentichiamo che non si tratterebbe di un contatto diretto,8 ma solo di una comunicazione a distanza.
In effetti molto a distanza, non solo nello spazio, ma anche e soprattutto nel tempo, giacché tra un messaggio e l’altro (ammesso che si trovi il modo di capirsi, il che non è affatto scontato)9 passerebbero centinaia o addirittura migliaia di anni, dato che, come abbiamo detto prima, perfino secondo le stime più favorevoli le civiltà più vicine dovrebbero distare l’una dall’altra non meno di 200 anni luce. Si tratterebbe pertanto più di un caso di «archeologia spaziale», analogo al rapporto che abbiamo, per esempio, con la cultura dell’antica Grecia, che di un dialogo nel senso proprio del termine.
Pertanto, a meno che il messaggio non contenga indicazioni su come costruire qualche tecnologia veramente rivoluzionaria (il che non sembra molto probabile), è difficile che ne possano derivare particolari turbamenti a livello della vita quotidiana, a parte ovviamente i primi momenti dopo la scoperta, in cui non si parlerebbe d’altro. Alla lunga tuttavia la maggior parte della gente tornerebbe a farsi i fatti propri lasciando la faccenda agli esperti, sicché dal punto di vista pratico tutto dovrebbe continuare a svolgersi più o meno come prima della scoperta.
C’è tuttavia almeno una conseguenza pratica molto rilevante, anche se purtroppo non piacevole, che (probabilmente proprio per questo motivo) viene sistematicamente ignorata dalla comunità scientifica, benché appaia inevitabile: il successo del SETI sancirebbe infatti l’impossibilità dei viaggi interstellari.
[A destra: Enrico Fermi (1901-1954)]
Il motivo deriva direttamente dal cosiddetto Paradosso di Fermi, così chiamato perché fu enunciato per la prima volta nel 1950 dal grande scienziato italiano Enrico Fermi (1901-1954) e che si può sintetizzare nell’asserzione che le seguenti tre proposizioni possono essere tutte vere se prese una per una, ma non possono essere vere tutte e tre contemporaneamente:
esistono civiltà extraterrestri;
i viaggi interstellari sono possibili;
nessuna civiltà extraterrestre è mai giunta sulla Terra.
Poiché tutte le evidenze ci dicono che la terza è sicuramente vera, restano solo due possibili soluzioni al paradosso: o è falsa la prima o è falsa la seconda. Fermi, che credeva fermamente ai viaggi interstellari, ne concluse che dunque non esistono civiltà extraterrestri, ma se si scoprisse che invece esistono, ci vedremmo costretti, seppur a malincuore, ad abbandonare per sempre l’affascinante sogno dei viaggi interstellari.10
Conseguenze filosofiche
Non c’è dubbio che a livello filosofico le conseguenze sarebbero più profonde, anche se probabilmente lente, perché ci vorrebbe parecchio tempo per elaborarle e comprenderle adeguatamente.
L’avvenuto contatto dimostrerebbe infatti che non siamo soli e che anzi molto probabilmente, come si è detto, la vita intelligente è assai comune nell’Universo. Questo farebbe pendere la bilancia del già ricordato dilemma di Monod a favore dell’origine non casuale della vita, il che evidentemente avrebbe conseguenze profonde anche rispetto al nostro modo di considerare l’Universo nel suo insieme.
Tuttavia, una volta di più, non bisogna esagerare. Non va infatti dimenticato che esistono interpretazioni filosofiche finalistiche e non finalistiche sia dell’una sia dell’altra alternativa,11 quindi neanche questa scoperta sarebbe decisiva, anche se certamente orienterebbe il dibattito, riducendo drasticamente il numero di opzioni possibili.
Inoltre va sottolineato (mentre quasi sempre ci si dimentica di farlo) che, per le ragioni spiegate prima, anche il mancato contatto nell’arco dei prossimi 15-20 anni orienterebbe il dibattito, benché ovviamente in direzione opposta (cioè quella dell’origine casuale della vita) e con forza minore, dato che costituirebbe sì un forte indizio, ma non una prova certa.12
Conseguenze religiose
Secondo un’opinione molto diffusa, le conseguenze più profonde e traumatiche della scoperta dell’esistenza di civiltà extraterrestri si verificherebbero a livello religioso, in particolare rispetto al cristianesimo, che è generalmente considerato la più antropocentrica delle religioni.
In realtà ancora una volta la questione è più complessa. Di per sé infatti non c’è nulla nella rivelazione cristiana che vieti l’esistenza di altri esseri intelligenti oltre agli uomini, né vi sono argomenti in contrario che possano essere desunti dalla teologia, dato che per essa il mondo è una creazione libera di un Dio onnipotente, le cui caratteristiche quindi non possono essere dedotte da nessun principio logico o metafisico, ma devono essere scoperte attraverso l’osservazione diretta della natura.
Questo è anche il fatto che sta alla base della nascita della moderna scienza sperimentale,13 per cui l’atteggiamento più diffuso al riguardo nella Chiesa cattolica al giorno d’oggi, che si può riassumere con il detto britannico wait and see, non dev’essere considerato come dettato solo dalla prudenza, ma è anche la posizione più corretta dal punto di vista epistemologico.
Questa è anche la posizione del Papa Emerito Benedetto XVI (1927 – ), che egli mi ha espresso in uno scambio di lettere che abbiamo avuto nel 2014 a proposito di questi problemi, cosa di cui gli sono profondamente grato.
[A sinistra: Paolo Musso con Benedetto XVI (2015-09-27)]
Nella sua lettera Benedetto mi confermava anche che la ragione principale di tale cautela stava per l’appunto nel fatto che attualmente non abbiamo ancora dati sufficienti per fare un discorso sensato al riguardo.
Tuttavia, dato che qui si era in presenza di una mia esplicita domanda al riguardo, anche il suo «non detto» assume un significato particolare, giacché se avesse ritenuto l’esistenza di altri esseri intelligenti incompatibile con il cristianesimo me lo avrebbe certamente segnalato: siccome invece non l’ha fatto, significa che evidentemente ritiene tale eventualità perfettamente possibile.
La vera questione non è dunque tanto l’eventuale esistenza di altri esseri intelligenti, quanto la posizione in cui si troverebbero rispetto alla storia della salvezza, dato che se è falso che il cristianesimo sia antropocentrico, è però vero che esso è cristocentrico ed è quindi prevedibile che ci sarebbe una forte resistenza ad accettare un’interpretazione dell’Incarnazione del Verbo divino sulla Terra diversa da quella canonica. Anche questo mi è stato confermato da Benedetto XVI, che su questo punto, a differenza del precedente, è stato molto netto nel dire che la salvezza portata da Gesù Cristo è unica e basta per tutto l’Universo.
Anche se non hanno il sigillo dell’infallibilità, le parole del Papa Emerito devono chiaramente essere considerate con la massima attenzione e naturalmente è possibile che le cose stiano proprio così.
Mi sembra comunque giusto far notare che se c’è una cosa in cui la fantasia di Dio si è espressa in modo ancor più superlativo che nella Creazione, questa è proprio la storia della Redenzione, che oggi tendiamo a dare per scontata perché ci siamo abituati, ma quando venne annunciata per la prima volta apparve a tutti (a cominciare dagli stessi Apostoli) come qualcosa di inimmaginabile.
Di conseguenza, nemmeno noi possiamo pretendere di immaginare come potrebbe avere agito Dio rispetto ad altre creature di cui al momento non sappiamo neanche se esistono realmente: l’unico modo in cui potremo eventualmente scoprirlo sarà osservando cosa è accaduto di fatto.14
Vale dunque anche a questo riguardo, e anzi ad ancora maggior ragione, il principio del wait and see enunciato in precedenza.
Ciò detto, è bene ribadire, in conclusione, che per il momento stiamo parlando solo di ipotesi e che, come già rilevato in precedenza e diversamente da quanto spesso si sente dire, allo stato attuale delle nostre conoscenze l’idea tradizionale che siamo soli nell’Universo non si può assolutamente scartare, né tantomeno può essere giudicata assurda, antiscientifica, oscurantista o «antropocentrica».
Se così fosse davvero, chiaramente non sorgerebbe alcun problema, ma non per questo si tratterebbe di una posizione meno vertiginosa dell’altra, benché in un senso diverso: una scoperta del genere infatti ci obbligherebbe tutti a renderci conto con molta maggior acutezza dell’eccezionalità della nostra condizione, nonché di quella della nostra «casa comune», per usare la bella espressione della Laudato si’ e (si spera) anche ad avere maggior cura di entrambe.
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Paolo Musso
(Professore Associato di Filosofia Teoretica presso l’Università dell’Insubria di Varese – Corso di laurea in Scienze della Comunicazione)
Note
Cocconi G., Morrison P. [1959], Searching for interstellar communication, in “Nature”, vol. 184, n. 4690, pp. 844-846.
In onore dell’omonima principessa protagonista del celebre romanzo Il mago di Oz, molto popolare negli USA.
In effetti fino a poco tempo fa in tutto il mondo il SETI è stato finanziato solo da donazioni private, nell’insieme piuttosto esigue, e se è riuscito ad andare avanti è solo perché costa davvero molto poco.
Le cose sono in parte cambiate il 20 luglio del 2015, quando il milionario russo Yuri Milner ha annunciato che la sua Breakthrough Prize Foundation ha deciso di finanziare con 100 milioni di dollari un programma SETI di 10 anni chiamato Breakthrough Listen Initiative, proposto e guidato dalla Università di Berkeley.
Giusto per dare un’idea, questo finanziamento da solo supera di gran lunga il totale di tutti gli altri finanziamenti ricevuti dal SETI in tutto il mondo durante tutta la sua storia.In effetti l’Italia ha sempre avuto un ruolo di primo piano nel SETI, come dimostra anche il fatto che il fisico e matematico Claudio Maccone (1948 – ), Direttore Tecnico per l’Esplorazione Scientifica dello Spazio della IAA, il 3 ottobre 2012, durante il 63° International Astronautical Congress (IAC), tenutosi a Napoli, è stato eletto Chairman del SETI Permanent Committee, primo non americano della storia a ricoprire questa carica.
Per esempio, il radiotelescopio di Medicina riusciva a vedere facilmente, fino a quando non si è spento, il segnale del Pioneer 10, che si trovava ormai al di fuori del sistema solare e aveva una potenza pari appena a quella di una lampadina.
L’inclinazione dipende dall’effetto Doppler ed è la prova che la sorgente del segnale non è terrestre, ma si trova nello spazio, in moto rispetto alla Terra.
Per questo non è realistico ciò che si vede alla fine del film Contact (che nell’insieme rappresenta invece in modo assai fedele i concetti basilari del SETI), in cui si ipotizza che il segnale alieno, apparentemente proveniente dai dintorni di Vega, possa essere stato in realtà inviato da un satellite artificiale in orbita intorno alla Terra.
È vero che errori simili di tanto in tanto accadono anche nella realtà (uno proprio di recente, nel 2016, quando alcuni scienziati russi hanno scambiato per un messaggio alieno il segnale di un satellite militare anch’esso russo, della cui esistenza non erano stati informati), ma sono dovuti a scarsa accuratezza: una misurazione precisa dell’effetto Doppler permette sempre di stabilire con certezza dove si trova la fonte del segnale, come è accaduto anche nel caso suddetto in seguito a una verifica più accurata svolta dagli scienziati di Berkeley.In genere si ritiene che la prima trasmissione abbastanza potente da poter esser vista su un altro pianeta sia stata quella della cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Berlino, il 1° agosto 1936 (il che ha consentito agli autori di Contact di realizzare il coup de théâtre di mostrare come prima immagine del messaggio alieno Adolf Hitler in divisa nazista).
[A destra: ”Contact”. Gli alieni ci rimandano la nostra prima trasmissione con Hitler che inaugura le Olimpiadi di Berlino. In primo piano la Dr. Arroway ispirata alla figura di Jill Tarter]
Siccome da allora sono passati 82 anni e le onde radio viaggiano alla velocità della luce, possiamo aspettarci di ricevere un messaggio intenzionale solo da una civiltà che si trovi alla distanza di 82/2=41 anni luce, che è veramente poco: anche i più sfacciati ottimisti ritengono infatti che la distanza media tra due civiltà dovrebbe essere di almeno 200 anni luce, il che significa che dovremo aspettare almeno altri 3 secoli per poter sperare di ricevere il primo messaggio intenzionale da parte di un’altra civiltà.Molti, compresi diversi scienziati illustri, temono che il contatto radio possa portare a un successivo contatto diretto, che potrebbe essere molto sgradevole per noi, considerando che, come abbiamo appena detto, verosimilmente le altre civiltà sarebbero molto più progredite.
Tuttavia, proprio per questo, se fosse possibile per un’altra civiltà viaggiare nello spazio fino alla Terra, ciò sarebbe già dovuto accadere moltissimo tempo fa (in effetti milioni di anni fa). Siccome invece finora non è accaduto, non c’è ragione di pensare che possa accadere in futuro.Su ciò si veda Paolo Musso, A language based on analogy to communicate cultural concepts in SETI, in “Acta Astronautica” n. 68 (2011), pp. 489-499, ISSN 0094-5765 e in “Acta Astronautica” online 04/05/2010, DOI 10.1016/j.actaastro.2010.04.005, WOS 000285320500021.
Un ampio riassunto in lingua italiana si trova in Paolo Musso, Ascoltando l’infinito silenzio. Storia e leggenda del programma SETI, in Emmeciquadro n. 13 – Dicembre 2001.La questione in realtà è un po’ più complessa, ma la conclusione resta sostanzialmente valida anche dopo un’analisi più accurata.
Per chi volesse approfondire l’argomento consiglio Paolo Musso, The problem of active SETI: an overview, in “Acta Astronautica” n. 78 (2012), pp. 43-54, ISSN 0094-5765 e in “Acta Astronautica” online 13/06/2012, DOI 10.1016/j.actaastro.2011.12.019, WOS 000306038100009, che anche ha avuto commenti favorevoli da parte di diversi “big” del SETI mondiale.
In lingua italiana si può vedere utilmente Stephen Webb, Se l’Universo brulica di alieni… dove sono tutti quanti? Cinquanta soluzioni al paradosso di Fermi e al problema della vita extraterrestre, Sironi Editore, Milano 2002.Per «origine casuale» si intende qui infatti, come già ricordato, semplicemente il fatto che non esiste un processo causale specifico che la produca date certe condizioni iniziali, ma che la sua origine sulla Terra è dovuta alla coincidenza di diversi processi causali indipendenti (che è la stessa definizione che ne dà Monod, nonché l’unica possibile dal punto di vista scientifico: cfr. Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mondadori, Milano 1970, pp. 116-118).
Tuttavia ciò non basterebbe per negare che l’apparizione della vita sia casuale anche in senso metafisico, cioè che non sia stata «programmata» fin dall’inizio da un’Intelligenza superiore, dato che ciò potrebbe avvenire non solo attraverso un processo descritto da una legge di natura, ma anche attraverso una scelta accurata delle condizioni iniziali che faccia sì che la suddetta coincidenza dei diversi processi causali indipendenti sia in realtà necessaria anche se a noi non appare tale.È interessante notare che, se è vero che il SETI non potrà mai produrre una prova diretta della non esistenza di altre civiltà, una prova indiretta, ma tuttavia conclusiva, potrebbe invece venire proprio dal Paradosso di Fermi, qualora si giungesse a dimostrare la fattibilità dei viaggi interstellari (anche se personalmente non ritengo questa eventualità molto probabile).
Cfr. Paolo Musso, La scienza e l’idea di ragione. Filosofia, scienza e religione da Galileo ai buchi neri e oltre, Mimesis, Milano-Udine, 2011, § 1.15.
Si potrebbe anche pensare (e alcuni teologi lo hanno realmente fatto) che altre creature intelligenti semplicemente potrebbero non avere bisogno di essere salvate, poiché potrebbero non essere mai cadute vittima del peccato originale.
Ma non è così facile eludere il problema, giacché, come abbiamo ripetutamente sottolineato, se esistono altre civiltà, dovrebbero essere moltissime: è quindi difficile credere che solo ed esclusivamente noi esseri umani siamo stati così sprovveduti da cascarci.
Inoltre per il cristianesimo il peccato originale ha, in qualche misteriosa maniera, coinvolto nella sua dinamica perversa tutta la natura nel suo insieme, il che appare difficile anche solo da immaginare, se davvero esistono altre civiltà, per giunta più antiche della nostra. In effetti è il concetto stesso di peccato originale che dovrebbe essere compreso meglio e formulato più precisamente, come mi ha confermato ancora una volta Benedetto XVI nella sua lettera.
© Pubblicato sul n° 69 di Emmeciquadro