Le scoperte di pianeti extrasolari si susseguono a ritmo incalzante utilizzando tecniche ormai consolidate come quella dei transiti o quella delle velocità radiali.Con la spettroscopia di trasmissione ad alta risoluzione si possono analizzare anche le atmosfere degli esopianeti, come ha fatto l’autore di questo articolo nel lavoro svolto per la tesi di Laurea magistrale presso l’Università degli Studi di Milano; nel giugno scorso è risultato vincitore del Premio “Stefano Magini” per la migliore tesi in Astrofisica 2017.
L’indagine dei pianeti extrasolari, o esopianeti, è tra i punti più affascinanti nel campo dell’astrofisica degli ultimi anni. Questa difficile ed esaltante ricerca è infatti accompagnata da profonde domande sulla presenza della vita biologica nell’Universo e sull’unicità dell’uomo. Negli ultimi anni siamo passati dal conoscere solo il nostro Sistema Solare a individuare e caratterizzare numerosi pianeti che orbitano intorno ad altre stelle. Finalmente la nostra comprensione non è più limitata a un unico caso.
La scoperta dei pianeti extrasolari è molto recente: 51 Pegasi b, il primo esopianeta, è stato individuato nel 1995. A oggi ne abbiamo scoperti più di 3.500, ma il numero è destinato a crescere in quanto si stima che attorno a ogni stella orbiti in media almeno un pianeta.
Il numero di pianeti potenzialmente presenti è quindi incredibilmente grande se si considera che nella nostra galassia ci sono circa 200 miliardi di stelle e che nell’Universo osservabile sono presenti più di 100 miliardi di galassie. Anche se la probabilità della presenza di un pianeta simile alla Terra fosse infinitamente bassa, considerando numeri così grandi, non possiamo escludere tale possibilità. Un dato vertiginoso da tenere a mente ogni volta che si osserva un cielo stellato.
Un significativo elemento di novità è che la maggior parte dei pianeti individuati sono molto diversi da quelli presenti nel nostro Sistema Solare. In particolare sono stati scoperti gli hot Jupiter, pianeti di dimensioni simili a Giove ma più vicini alla loro stella di quanto lo sia Mercurio rispetto al Sole e caratterizzati, quindi, da altissime temperature superficiali (di circa 1000 K).
Gli hot Jupiter sono molto più facili da individuare rispetto agli altri pianeti grazie alle loro enormi dimensioni e al breve periodo di rivoluzione che consente di osservare più frequentemente il passaggio davanti alla loro stella. All’elenco dei pianeti inaspettati sono state aggiunte le super-Terre, pianeti rocciosi di dimensioni intermedie tra i rocciosi del nostro Sistema Solare e i nettuniani.
Le ultime scoperte scientifiche hanno superato di gran lunga l’immaginazione dei più creativi scrittori di fantascienza. Esistono pianeti che orbitano intorno a due stelle e sui quali sarebbe possibile osservare due tramonti; alcuni sono così caldi da essere accompagnati da un’enorme chioma di gas; altri sono così densi da supporre che il loro nucleo sia costituito di diamanti.
Attualmente uno dei più importanti obiettivi astrofisici è l’individuazione di pianeti simili alla Terra. Trovare un «gemello della Terra» non è affatto semplice: deve essere un pianeta roccioso di dimensioni terrestri e si deve anche trovare alla distanza giusta dalla stella per poter mantenere l’acqua allo stato liquido. Al momento, tra le migliaia di pianeti scoperti, qualche decina hanno già tali importanti requisiti.
Tuttavia nella nostra selezione dobbiamo considerare criteri più stringenti per la ricerca della vita. Le stelle rosse, attorno a cui sono stati trovati numerosi pianeti come ad esempio il sistema Trappist-1, hanno un’elevata attività stellare e i loro pianeti rocciosi mostrano sempre la stessa faccia alla stella con conseguenze deleterie per un eventuale sviluppo della vita.
Un altro fattore da considerare potrebbe essere la presenza di giganti gassosi come Giove e Saturno, essenziali per la formazione del nostro pianeta e per la protezione dagli asteroidi. Inoltre si ritiene che la presenza della Luna sia un elemento fondamentale per la stabilità dell’asse di inclinazione terrestre.
Come analizzare le atmosfere dei pianeti extrasolari
Ma come si scoprono i pianeti? Nella maggior parte dei casi il pianeta non è visibile a causa dell’elevata luminosità della stella e occorre utilizzare sofisticati metodi indiretti. Tra le numerose tecniche sviluppate, le più utilizzate sono il metodo dei transiti e il metodo delle velocità radiali.
Attraverso il metodo dei transiti gli astrofisici misurano la diminuzione periodica della luce della stella causato dal passaggio del pianeta davanti a essa. Il fenomeno è simile a quando osserviamo le eclissi di Mercurio o di Venere davanti al Sole.
Mediante il metodo della velocità radiale si misura lo spostamento Doppler delle righe spettrali stellari causato dall’interazione gravitazionale tra la stella e il pianeta. Lo spettro di una stella si ottiene separando la sua luce nei diversi colori come quando raggi luminosi passano attraverso un prisma.
Nello spettro stellare si possono osservare delle righe scure che sono un indizio della sua composizione; per esempio, la presenza del Sodio lascia due righe ben evidenti nella parte gialla della luce. Generalmente le righe spettrali si trovano in posizioni ben definite relative a corrispettive lunghezze d’onda. Tuttavia, poiché la stella si muove debolmente a causa dall’attrazione gravitazionale dei suoi pianeti, queste righe si spostano leggermente dalla posizione teorica permettendo di dedurre indirettamente la presenza degli esopianeti.
In seguito alla verifica dell’abbondanza di numerosi pianeti extrasolari nella nostra galassia, gli astrofisici stanno cercando di ottenere una conoscenza sempre più profonda delle loro caratteristiche e proprietà.
Attualmente l’analisi delle atmosfere esoplanetarie risulta il metodo privilegiato per tale comprensione, in quanto consente di ottenere le fondamentali informazioni sulla composizione chimica del pianeta, sui processi atmosferici e sulla regione di formazione all’interno del disco protoplanetario.
Inoltre l’obiettivo futuro più affascinante sarà l’individuazione di specie chimiche riconducibili alla presenza di vita biologica come l’Ossigeno molecolare e l’Ozono, i cosiddetti biomarker. Se la vita è presente su un pianeta, essa lascia una traccia nella sua atmosfera e la sfida attuale è costruire strumenti e ideare metodi adeguati per ottenere questo prezioso dato.
Nel mio lavoro di tesi ho sviluppato alcune tecniche per l’analisi delle atmosfere dei pianeti extrasolari sotto la supervisione di Francesco Borsa e di Ennio Poretti dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofica) di Brera. La tecnica che ho utilizzato è la spettroscopia di trasmissione ad alta risoluzione. Durante il transito del pianeta una piccolissima frazione della luce della stella passa attraverso l’atmosfera planetaria che lascia l’impronta della sua composizione. Alle righe spettrali proprie della stella si aggiungono quelle del pianeta, ma il segnale è debolissimo.
Nel caso degli hot Jupiter, nonostante l’atmosfera sia più estesa rispetto agli altri pianeti, solo un millesimo del flusso di luce della stella passa attraverso l’atmosfera planetaria e nel caso di pianeti simili alla nostra Terra tale numero è addirittura una parte su dieci milioni.
Per tale ragione al momento riusciamo ad analizzare le atmosfere di pianeti molto diversi dalla Terra, principalmente giganti gassosi, anche se recentemente sono stati pubblicati interessanti studi relativi alle super-Terre.
Confrontando i dati della luce della stella quando il pianeta transita con quelli in cui non transita si può individuare il debole segnale dell’atmosfera planetaria. In questo modo in alcuni pianeti gassosi sono state trovate tracce di monossido di carbonio, di anidride carbonica, di metano e di vapore acqueo, il quale tuttavia non è assolutamente correlato con la presenza della vita.
Il metodo della spettroscopia di trasmissione è utilizzato sia mediante telescopi spaziali come Hubble, sia da strumenti a terra come lo spettrografo HARPS (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) montato sul telescopio ESO (European Southern Observatory) in Cile.
Le misure dallo spazio non risentono del fastidioso contributo dell’atmosfera terrestre, tuttavia gli strumenti da terra raggiungono precisioni di gran lunga maggiori, permettendo di risolvere le singole righe spettrali e ottenendo misure dette «ad alta risoluzione». Si suppone che solo mediante i dati raccolti da terra sarà possibile ottenere la precisione adeguata per distinguere le diverse specie chimiche relative ai biomarker.
Nel mio lavoro di tesi, utilizzando i dati ad alta risoluzione dello spettrografo HARPS, ho scritto un programma per l’analisi delle atmosfere esoplanetarie. In particolare mi sono focalizzato sulla ricerca delle tracce del Sodio nel pianeta HD189733b, un hot Jupiter di colore blu.
Sebbene il colore possa ricordare vagamente il nostro pianeta, in realtà si tratta di un gigante gassoso con una temperatura superficiale di 1100 K, un periodo di rivoluzione di appena due giorni terrestri e con impetuose piogge di schegge di vetro. HD189733b è un pianeta per nulla abitabile, ma è comunque molto studiato in quanto più facilmente osservabile rispetto alla maggior parte dei pianeti extrasolari, anche in virtù della sua vicinanza alla Terra.
Il primo punto del lavoro di ricerca del mio gruppo è stato rimuovere tutto il contributo della nostra atmosfera attraverso una correlazione con la quantità di aria terrestre attraversata dalla luce della stella. Successivamente, utilizzando la spettroscopia di trasmissione abbiamo ottenuto il segnale relativo all’atmosfera del pianeta extrasolare che stavamo cercando.
Tuttavia ci siamo accorti di qualcosa di inaspettato, non ancora riportato da altri gruppi di ricerca, ovvero che i dati relativi al pianeta, nonostante la tecnica utilizzata, erano ancora fortemente contaminati da contributi di origine stellare.
Siamo riusciti a distinguere i due segnali in quanto il pianeta e la stella si muovono intorno al centro di massa del sistema planetario con velocità differenti e di conseguenza anche le relative righe di assorbimento del Sodio dei due corpi celesti subiscono diversi spostamenti Doppler. Abbiamo quindi cercato delle possibili spiegazioni sull’origine del segnale stellare, scoprendo quanto sia fondamentale una corretta modellizzazione della stella.
Considerando che il disco stellare davanti a cui passa il pianeta non è uniforme e che la stella ha una propria rotazione, siamo riusciti a rimuovere una gran parte del segnale stellare. I nostri risultati hanno messo in luce quanto sia necessaria un’efficace separazione della contaminazione stellare dal segnale planetario per una corretta analisi delle atmosfere esoplanetarie.
In futuro le maggiori precisioni strumentali e le tecniche sviluppate dagli astrofisici permetteranno finalmente la ricerca delle tracce della vita in pianeti simili alla Terra, non limitandosi più alle sole analisi di hot Jupiter come nel mio caso di studio.
Possiamo quindi affermare che siamo coinvolti in un cammino di ricerca entusiasmante e promettente ben descritto da una frase attribuita all’astronomo Giovanni Keplero: «I modi attraverso cui gli uomini giungono alla conoscenza delle cose celesti difficilmente sono meno meravigliosi della natura di quelle stesse cose».
Considerando lo sterminato numero di pianeti extrasolari presenti nell’universo e la possibilità di cercare la vita biologica non si può che avvertire un’elevata sproporzione.
Una vertigine che è tuttavia accompagnata dalla sorpresa e dalla gratitudine di poter entrare in contatto con mondi così lontani.
Andrea Zannoni(Insegnante di Fisica al liceo scientifico. Vincitore del Premio “Stefano Magini” per la migliore tesi di Laurea magistrale in Astrofisica 2017)