L’autore descrive «un’esperienza fra filosofia e matematica nella ricerca dell’unità del sapere», realizzata in una quarta classe di liceo scientifico attraverso un lavoro interdisciplinare condotto da docenti in compresenza e illustra «alcune possibili strategie didattiche per aggredire in qualche modo nelle coscienze dei ragazzi lo stato di torpore metafisico» che spesso li contraddistingue.Questa modalità non standard merita di entrare nella didattica ordinaria sia per il suo valore culturale sia come testimonianza di una comunità di adulti e giovani «che vive di relazioni» significative.



L’esistenza di Dio non rientra nell’ambito delle conoscenze immediatamente evidenti, essa appartiene tuttavia al dominio delle inferenze spontanee e necessarie legate alla modalità stessa della formazione della conoscenza umana e alla struttura metafisica della realtà:
«Il punto di partenza per arrivare a Dio nell’àmbito del senso comune – ossia il legame genetico tra questa certezza e quelle precedenti [il mondo, l’io come soggetto, la libertà e l’ordine naturale, ndr] – è il dinamismo unitario del mondo e l’emergenza della persona con la sua libertà creatrice. Si tratta infatti di una certezza – quella che riguarda Dio – basata non sull’evidenza immediata, ma sull’evidenza di una conclusione intuitiva di un processo inferenziale, dal mondo alla Causa prima, sulla scorta delle nozioni di “essere” comune a tutte le cose e di “causa”» (1).



Il contesto culturale

Di tale inferenza spontanea sono testimoni gli uomini di tutte le culture, solo l’uomo occidentale moderno fatica a comprenderne la logica, non per un difetto intrinseco delle possibilità conoscitive dell’uomo né per una presunta «liquidità» metafisica della realtà, ma per una ormai plurisecolare stratificazione di pregiudizi o, meglio, pseudo-giudizi di natura teoretica (sovrastrutture epistemologiche) che hanno preteso di togliere forza alla considerazione metafisica della medesima realtà, incappando immancabilmente nell’antica critica elenctica di aristotelica memoria.



Anche l’esigenza tipicamente moderna di richiami alla forza dimostrativa propria della speculazione sistematica non è più percepita quando applicata a considerazioni metafisiche. Non mancano certamente tentativi efficaci di abbracciare la totalità del reale mediante adeguate antologie formali (2), tuttavia i presupposti di tali ontologie sono esplicitamente rifiutati (3); d’altra parte anche l’uomo di media cultura, laureato ma non specialista dei problemi filosofici, è troppo distratto e imbevuto di utilitarismo per essere attratto dai problemi fondazionali, utilitarismo che pure ha la propria origine nelle medesime sovrastrutture epistemologiche: l’intenzionalità umana non portata al suo naturale compimento, che è la conoscenza della verità e la pratica delle virtù, si orienta immancabilmente verso surrogati che di razionale mantengono solo l’ordine all’ottimizzazione interpretato in senso individualistico e riduzionistico.

Lo studente europeo si muove in questa temperie culturale. Le direttive europee riguardanti l’istruzione scolastica, pensate e formulate all’interno di tale clima, promuovono lo sviluppo di competenze (civiche e disciplinari) intese in un senso funzionalistico assai lontano da quel sano personalismo nell’ambito del quale la tradizione educativa cattolica ha sempre radicato l’acquisizione degli abiti conoscitivi e operativi attraverso cui far fiorire le virtù, personali e sociali.

Dando seguito a quanto già sviluppato su queste tematiche in altra sede (4), ci proponiamo di illustrare attraverso la presentazione di un’esperienza effettivamente realizzata in una scuola salesiana italiana alcune possibili strategie didattiche per aggredire in qualche modo nelle coscienze dei ragazzi lo stato di «torpore metafisico» di cui stiamo parlando.

Problematiche e proposte

La settorialità dei saperi ereditata dalla scuola trae origine sia dall’incapacità del pensiero moderno di riconoscere ed elaborare un adeguato fondamento epistemologico per le singole discipline, sia dall’assolutizzazione di alcune posizioni filosofiche – in particolare le varie forme di scientismo e idealismo – che, costrette in qualche modo a convivere, si sono ritagliate degli spazi più o meno autonomi nel contesto dell’educazione scolastica.

Il risultato è che la cultura umanistica e quella scientifica di fatto non riescono a dialogare da quasi due secoli.

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Danilo Saccoccioni(Docente di Matematica e Fisica presso l’ Istituto Salesiano “Villa Sora” di Frascati – Roma)Note:(1)

A. Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, Edizioni Ares, Milano 1990, p. 53.

(2) Per esempio: A. Strumia, Il Problema dei fondamenti. Un’avventurosa navigazione dagli insiemi agli enti passando per Gödel e Tommaso d’Aquino, Cantagalli, Siena 2009.

(3) G. Basti, A.L. Perrone, Le radici forti del pensiero debole, dalla metafisica, alla matematica, al calcolo, Il Poligrafo, Padova 1996. Approfondiremo la questione nel resto dell’articolo.
(4) D. Saccoccioni (a cura di), Educare alla realtà. Una proposta didattica di ispirazione tomista, EduSC, Roma 2015tommaso