Nei giorni 28 e 29 ottobre 2014 si è tenuto presso i Laboratori del Gran Sasso dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) il Simposio Le frontiere e i confini della Scienza.
In esso è stato fatto il punto su molti temi caldi delle Scienze della Natura: la costituzione elementare della materia, la complessità nei fenomeni fisici, l’origine e l’evoluzione dell’Universo, il genoma e l’epigenoma, l’origine della vita, l’evoluzione, la coscienza di sé e il cervello. Le esposizioni sono state precedute da una riflessione sul Metodo delle Scienze della Natura.
I relatori hanno adottato un livello di esposizione tale da favorire la comprensione anche a persone non aventi molta dimestichezza con la Scienza. Inoltre, alla fine di ogni sessione è stata dedicata un’ora alle discussioni fra pubblico e relatori.
Il numero dei partecipanti è stato limitato a centocinquanta per ragioni organizzative e per facilitare le interazioni fra relatori e pubblico. Per le stesse ragioni, e per ottemperare alle disposizioni normative, si è dovuto limitare a cinquanta persone la visita ai Laboratori Sotterranei ove sono allocati gli esperimenti. L’uditorio era composto per più del 55% da docenti di scuola secondaria di secondo grado e da qualche unità di docenti di scuola secondaria di primo grado. Per il resto il pubblico era abbastanza eterogeneo: docenti e ricercatori universitari, professionisti di varie aree, studenti.
Ma perché un Simposio e perché il tema: Le frontiere e i confini della Scienza?
Gli scopi che gli organizzatori volevano raggiungere erano essenzialmente due: da una parte fare il punto su dove siamo e dove si stanno indirizzando alcuni dei più importanti ambiti delle Scienze della Natura; dall’altra analizzare quali siano le aree nelle quali la Scienza può operare e quali invece esorbitano dal suo ambito.
Bisogna inoltre tenere in conto che la Scienza in Italia e nelle scuole italiane spesso non viene accolta come una parte importante della cultura. Da una parte non la si integra nel «sapere» dell’individuo, e dall’altra si tende a considerarne gli aspetti più impressionanti, privilegiando magari i risultati più eclatanti e l’uso tecnico di alcuni strumenti. In questo modo si ne distorce la natura stessa.
La Scienza non deve essere vista solo come una serie di regole, di leggi, ma anzitutto come interazione ragionata con la Natura, tramite la quale viene svelata la logica che sta alla base della sua architettura e del suo funzionamento. Essa nasce innanzitutto dalla curiosità per ciò che ci circonda, dall’osservazione ragionata dei fenomeni e dal tentativo di comprenderne i meccanismi.
La prima cosa che dovrebbe essere basilare anche nella scuola, fin dai primi anni, è il suscitare negli studenti la domanda sul perché una cosa avvenga e perché avvenga in un determinato modo. Bisogna cominciare dalle cose più semplici che vengono generalmente date per scontate: come facciamo ad affermare che una stanza è più grande di un’altra? Perché alcuni corpi cadono più lentamente e altri più velocemente? Perché alcuni corpi messi nell’acqua galleggiano e altri vanno a fondo? Perché una piantina cresce alla luce e invece non si sviluppa al buio? Perché la mia fisionomia è diversa da quella del mio compagno di banco?
Da queste osservazioni più semplici si va a quelle più complesse, trascinati dal desiderio di comprendere ciò che vediamo e dallo stupore che ciò che osserviamo suscita in noi. Questo è il trigger che fa avanzare la Scienza.
Quindi il punto di partenza sono la curiosità e la spinta a osservare ciò che le nostre conoscenze e capacità scientifiche ci permettono. Alcune correnti filosofiche e culturali tendono a classificare la Scienza come una «sottostruttura» della conoscenza o come il punto di partenza di sviluppi tecnologici. Ma non è secondario per l’uomo sapere per esempio che alla base della materia vi è una rete di regole logiche estremamente diffusa e consequenziale; oppure che le stelle, una piccolissima parte delle quali possiamo osservare nel cielo notturno, sono solo il 4% della materia e dell’energia presente nell’Universo; oppure ancora che per impedire lo sviluppo della vita sulla Terra sarebbe bastato che alcune delle costanti universali avessero un valore anche leggermente diverso da quello loro proprio.
Questi esempi dovrebbero far comprendere come il sapere scientifico abbia un ruolo importante nella cultura dell’uomo.



Osservare i fenomeni naturali e interrogare la Natura vuol dire fare confronti e misure, da quelle più difficili a quelle più semplici (come per esempio le rilevazioni statistiche).
Le caratteristiche fondamentali di queste misure devono essere la ripetibilità e la non soggettività: bisogna poter ripetere la misura tante volte ottenendo sempre lo stesso risultato, entro naturalmente le incertezze sperimentali, e il risultato deve essere lo stesso qualunque sia la persona che compie la misura, seguendo ovviamente un protocollo appropriato. La ripetibilità e la non soggettività della misura sono due caratteristiche indispensabili per poter credere al risultato scientifico e per la costruzione di qualunque modello.
Questo punto dovrebbe essere tenuto presente nel concepire i laboratori didattici: un percorso che mostri come si debba procedere per una misura rigorosa sarebbe molto istruttivo, riferendosi a misurazioni molto semplici, come una misura di volume, di superficie, di densità. Dal punto di vista didattico si comprende la Scienza molto di più così che non utilizzando strumenti evoluti.
La ripetibilità e la non soggettività delle osservazioni scientifiche sono connesse direttamente con l’affidabilità delle conclusioni alle quali giunge la Scienza, ma definiscono anche i limiti entro i quali la Scienza può operare. Tutto ciò che non può essere osservato sperimentalmente in modo ripetibile e non soggettivo, è estraneo alla ricerca scientifica. Molti esempi potrebbero essere fatti riguardanti aspetti della personalità dell’uomo, come nel caso della coscienza di sé, della quale ha parlato Mauro Ceroni nella sua presentazione, o dell’altruismo, dell’eroismo, del dolore, dei giudizi estetici.
Ovviamente la conoscenza scientifica non è l’unica forma di conoscenza: altre discipline sono state sviluppate dall’uomo come la filosofia, le varie forme d’arte, la religione, eccetera. Ognuna di esse ha caratteristiche e protocolli operativi diversi, ha metodologie sue proprie e gradi diversi di soggettività; è quindi importante non applicare le conclusioni tratte nell’ambito di una disciplina a un ambito diverso. C’è in atto una certa tendenza a sviluppare estrapolazioni ideologiche, filosofiche o altro tratte dalla Scienza, che hanno una loro dignità, ma che non vanno confuse con la Scienza stessa.
Queste manipolazioni riguardano soprattutto quelle discipline scientifiche che si riferiscono a eventi «storici», come per esempio l’origine della vita e l’evoluzione, lo studio dei quali è basato su indizi convergenti che possono essere reperiti in osservazioni attuali. Oppure discipline agli albori che possono contare su scarsi dati sperimentali e per le quali non è ancora chiaro fino a che punto rientrino in un ambito puramente scientifico (nel senso specificato precedentemente), come per esempio le Neuroscienze. Questo è un problema al quale devono prestare attenzione soprattutto le persone che non hanno molta dimestichezza con la Scienza.
Il metodo scientifico può avere un importante impatto educativo per vari aspetti. Innanzitutto abitua a vagliare quanto viene proposto e a non accettarlo supinamente. Il vaglio nell’attività scientifica è continuo in quanto bisogna sempre discernere ciò che è «vero» da ciò che è «falso». Una proposta teorica, il risultato di un esperimento, uno sviluppo matematico, devono essere sempre rigorosamente controllati e passati al vaglio prima di essere accettati. Ma il criticismo scientifico non porta allo scetticismo, proprio perché è finalizzato a distinguere il vero dal falso. Una conclusione scientifica è sempre passibile di revisione, di modifica, di miglioramento, ma alla fine di questi processi si arriva a qualcosa che possiamo considerare più «vera» di quella precedente, ove l’appellativo «vero» significa più aderente alla realtà del fenomeno in studio.
Il processo scientifico è l’antitesi del relativismo culturale, per il quale vero e falso si confondono, e addirittura non sarebbe possibile distinguere l’uno dall’altro. Se questo fosse vero la Scienza non potrebbe esistere e addirittura non si potrebbe nemmeno iniziare a formulare concetti scientifici.



 

 

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Gianpaolo Bellini
(Università degli Studi di Milano, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare)

 

 

 

 

 

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