C’è un’esperienza quotidiana che ci permette di cogliere un aspetto basilare della coscienza: il sonno. Il sonno, con l’eccezione per lo meno parziale del sogno, rappresenta un tempo di sospensione della coscienza. Durante il sonno ogni evidenza ci assicura che tutto continua ad esistere e a svolgersi, ma per noi è come se nulla accadesse.
Pertanto la coscienza è quel fenomeno o capacità per cui noi stessi e le cose sono presenti a noi stessi, cioè noi siamo in grado di renderci conto di noi stessi e delle cose.
Della coscienza si sono occupati soprattutto filosofi e letterati. Con l’avvento della medicina occidentale basata sul metodo anatomo-clinico, della coscienza ha cominciato a occuparsi la Neurologia e ha scoperto la localizzazione cerebrale del controllo del movimento volontario, della consapevolezza delle sensazioni corporee, del linguaggio e anche della vigilanza o stato di veglia. La Neurologia non ha mai preteso di determinare cosa sia la coscienza come tale, si occupa delle condizioni cliniche che alterano la vigilanza.
All’inizio del Novecento iniziano correnti di pensiero che decidono di studiare col metodo scientifico la coscienza come tale. Il Cognitivismo è uno dei tentativi più rilevanti in questo senso: il cervello è assimilato all’hardware del computer e la mente (la coscienza) al software e nasce il tentativo di costruire macchine intelligenti.
Dieci anni dopo la nascita del Cognitivismo Hubert Dreyfus (1929-…) scrive un libro che chiarisce le differenze incolmabili tra l’intelligenza umana e la cosiddetta intelligenza artificiale. La mente umana non procede da elementi atomici verso la totalità, ma cogliendo le parti nell’ambito di un tutto, le note di una melodia hanno il loro valore in quanto sono percepite come parti di una serie melodica e non viceversa e lo stesso vale per gli elementi di una frase. «Il rischio non è l’avvento del computer super-intelligente che ci sottometta tutti, ma di esseri umani sottosviluppati intellettualmente.» «Ciò che distingue gli uomini dai computer per quanto progettati in modo intelligente, non è un’anima astratta, universale, immateriale, ma un corpo concreto, specifico, materiale.» Nessuno è riuscito a ribattere in modo ragionevole alle critiche di Dreyfus al Cognitivismo.
Negli ultimi vent’anni si è giunti alla Neurofilosofia: secondo questa corrente l’analisi del funzionamento cerebrale permetterà finalmente di comprendere esaurientemente tutti i fenomeni umani e risolvere tutti i problemi dell’uomo. Tutte le cosiddette scienze umane si ridurranno alla Neurofisiologia. La Psicologia diventerà una pseudoscienza che verrà soppiantata dalla Neurofisiologia. La scienza permetterà di comprendere esaustivamente e analiticamente la realtà come tale anche quella del soggetto umano singolo
Due tecniche permettono attualmente di analizzare mediante misure, per lo meno grossolanamente, cosa accade nel cervello quando il soggetto svolge un determinato compito: la risonanza magnetica funzionale (fNMR) che studia le variazioni di ossigenazione dell’emoglobina e del flusso ematico di aree cerebrali e la Magnetoelettroencefalografia ad alta densità che permette di registrare differenze di potenziale sia tra nuclei centrali e corteccia, sia tra aree corticali vicine. Occorre tuttavia chiarire molto bene che i dati che queste tecniche ci forniscono si riferiscono ai correlati elettrofisiologici cerebrali delle nostre esperienze. Interpretare l’attivazione di aree cerebrali durante compiti o stimoli come la causa delle nostre esperienze è ideologico e non ha nulla a che fare con la scienza.
Ogni attività umana, ogni stato mentale, ogni pensiero, sentimento, gesto, percezione, esperienza ha un correlato anatomofisiologico e elettrofisiologico cerebrale. Io non esisto separato dal mio corpo, dal mio cervello dentro la dimensione spazio-temporale in cui tutti viviamo. Nulla può accadere in me che non abbia una base neurologica, che non implichi un’attivazione di circuiti nervosi, ma ciò non significa affatto che tutto sia riducibile al mio cervello ed è irragionevole ridurre l’esperienza umana, così come ci è dato di farla, a tale substrato. Non si può spiegare in modo adeguato l’esperienza che facciamo con l’ipotesi riduzionista. Tale riduzione non è un’affermazione scientifica, bensì ideologica.
Ma allora chiediamoci:
Qual è il punto di partenza ragionevole per comprendere la coscienza?
Poiché la coscienza riguarda il mio io, la mia soggettività -è sempre anche la mia coscienza in quanto la coscienza altrui è intuita a partire dall’esperienza della mia coscienza- non posso partire dall’esterno per comprenderla, pena la situazione paradossale che possa esistere una conoscenza della mia coscienza esterna a me, migliore della mia esperienza personale.
Se voglio evitare il rischio di essere alienato in opinioni altrui, devo farmi una mia idea personale della mia coscienza. Pertanto per conoscere cos’è la coscienza dovrò partire dalla mia esperienza, perché è nell’esperienza che la realtà mi si fa trasparente, viene da me conosciuta. Dovrò dunque riflettere sull’esperienza che ho di me mentre agisco, vivo, penso, sono colpito dalle cose e dagli altri e qui ricercare cosa sia la mia coscienza.
Tuttavia, non basta una raccolta di esperienze e la loro analisi. Dovrò disporre di un criterio che mi permetta di sceverare il vero dal falso, l’essenziale dal secondario, il reale dall’opinione. Tale criterio di giudizio dell’esperienza potrebbe essere esterno a me. Ma se così fosse mi sentirei alienato, in balia di altro esterno a me che mi determina e mi conosce più di me.
Perché io non sia alienato occorre che il criterio sia dentro di me, dentro la mia coscienza, dentro il mio io. Ma allora siamo tutti in balia di un puro soggettivismo, condannati all’insensatezza e all’impossibilità di una conoscenza vera di noi stessi?
La soluzione del problema non è poi così difficile: il criterio ultimo di giudizio è dentro di noi, ma esso non è in balia della nostra voglia del momento, è oggettivo, coincide con la nostra natura, con come siano fatti.
Ciò è svelato in modo molto chiaro dal fatto che ogni bambino di qualunque cultura e di qualunque origine è impressionantemente simile a ciascuno di noi. Noi possiamo viaggiare attraverso la storia e sentire i grandi geni della poesia e della letteratura più vicini a noi rispetto agli uomini della nostra epoca e della nostra cultura.
Il criterio di giudizio che ogni uomo possiede in quanto appunto è un uomo e non un animale è costituito da quell’insieme di evidenze ultime, non ulteriormente analizzabili, e da quelle esigenze di giustizia, di amore, di verità, di felicità, che costituiscono il nocciolo ultimo dell’io e ci protendono nell’avventura della vita, lanciano nel paragone con il tutto ogni essere umano che nasce sulla terra.
Se dunque mi metto a riflettere sulla mia esperienza usando appieno il criterio di giudizio che mi costituisce nel nocciolo del mio io, scoprirò facilmente che il fenomeno uomo, così come personalmente lo sperimento, è fatto di due ordini di fenomeni con caratteristiche diverse e irriducibili tra loro e che si danno solo insieme
Un tipo di fenomeni è esteso nello spazio, misurabile, divisibile, continuamente mutevole, in divenire, corruttibile: possiamo chiamare questo ordine di fenomeni materiale, si tratta della materialità che mi costituisce.
Un secondo ordine di fenomeni -i concetti, le idee, le verità matematiche, i giudizi di valore, le decisioni , l’io, la coscienza- hanno caratteristiche opposte, non sono come i fenomeni materiali: si tratta dei fenomeni non materiali che mi costituiscono.
Occorre sottolineare in modo molto forte che questi due ordini di fenomeni sono irriducibili fra loro eppure non separabili. L’uomo è una unità duale, esiste solo come «persona», una unità costituita da due tipi di fenomeni, di cui quello non materiale non è riducibile ai precedenti biologici e sociologici che pure costituiscono la persona.
È importante sottolineare che una tale posizione è ben distinta da quella di Cartesio, che sta alla base della nostra attuale mentalità: i due ordini di fenomeni non sono due enti separati e sussistenti autonomamente. In caso contrario nasce il dualismo con la sua problematica insolubile: come interagiscono le due sostanze? Sappiamo la risposta che cerca di dare Cartesio: l’anima risiede nell’epifisi (formazione mediana unica centroencefalica) e di qui governa il corpo.
Concludo citando i punti salienti di un’intervista a Federico Faggin (Corriere del 9/10/14) l’inventore del microchip, del touchpad e del touchscreen, che per vent’anni ha cercato di costruire un PC che imparasse da solo, cioè una intelligenza artificiale.
«Era una sfida interessante. Ma dopo vent’anni ho capito che non è possibile. La consapevolezza va al di là del meccanismo. È un fenomeno primario. È una proprietà irriducibile della realtà».
Ray Kurzweil dice che nel 2045 riusciremo a riversare la nostra consapevolezza su un PC. «Un delirio […] Gli vanno dietro a migliaia. Folle […] E poi la consapevolezza va al di là dei dati».
«Una società scientista ci ha fatto il lavaggio del cervello spingendoci a pensare che tutto è macchina. L’Universo è una macchina e noi siamo macchine […] Assurdo. L’uomo si sta sottovalutando. E lo diciamo non sulla base di un dogma, ma di quanto abbiamo potuto accertare».
Questi brevi cenni rimandano al capitolo di un libro di prossima edizione che affronta sistematicamente e diffusamente il tema in termini divulgativi.
Per chi volesse approfondire il tema e le Neuroscienze consiglio: La Coscienza: contributi per specialisti e non specialisti tra Neuroscienze Filosofia e Neurologia, di Faustino Savoldi,Mauro Ceroni, Luca Vanzago, Edizioni Aras, 1087 pagine, 2014. È reperibile anche in formato e-book, basta digitare uno degli autori e il titolo La coscienza.
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Mauro Ceroni
(Università degli Studi di Pavia)