Il percorso Disney è un continuo viaggio per il mondo, tra tradizioni e culture da (ri)scoprire e di cui in un certo senso appropriarsi. Dopo Raya e l’ultimo drago e le mitologie del sud-est asiatico, Encanto torna a raccontare l’America Latina a pochi anni di distanza da Coco (che però è una produzione Pixar).



Il film diretto da Byron HowardJared BushCharise Castro Smith, racconta dei Madrigal, una famiglia colombiana in cui tutti hanno un dono magico che mettono al servizio della loro comunità. Tranne Mirabel, unica a non possedere alcun potere speciale e che proprio per questo sarà l’ago della bilancia nel momento in cui la magia rischia di scomparire da casa Madrigal, forse seguendo la profezia dello zio Bruno, sparito anni prima, proprio a causa di quella profezia.



Scritto da Bush e Castro Smith assieme a Lin-Manuel Miranda, Encanto è un musical in tutto e per tutto, con le canzoni che punteggiano l’azione, la fanno evolvere e raccontano i personaggi, creando veri e propri numeri visivi (coreografie e scenografie animate a supportare le canzoni scritte da Miranda) e dando corpo a un film che narrativamente centra la sua avventura sul lato familiare.

Rispetto alla tipica ideologia disneyana, la famiglia non è il rifugio o il luogo, biologico o affettivo, in cui poter esprimere al massimo i propri affetti e il proprio potenziale: qui la famiglia Madrigal, soprattutto nella figura della matriarca, la abuela Alma, è raccontata passo dopo passo come un peso verso la piena realizzazione dei suoi membri, una catena che blocca ogni passo e soggioga gli altri a un volere superiore, in questo caso la preservazione della magia che dà anche una sfumatura inquietante ad Alma, che governa la famiglia e sotterraneamente il paese in cui abita con un piglio autoritario che ne fa in un certo senso la vera “cattiva” del film.



Encanto è curioso per il modo in cui rielabora l’avventura, la ricerca alla base di ogni racconto fantastico, chiudendolo tutto nello spazio della famiglia, appunto, e della casita, la casa magica co-protagonista del film, nei cui anfratti si svolgono alcune delle sequenze migliori e che amplia i propri orizzonti o li restringe a seconda delle esigenze del film. In questo senso, il finale semplifica di molto la morale del film e lo appiattisce un po’, come a togliergli vero conflitto. 

La ricchezza degli sfondi, delle animazioni, di ambienti e scene, delle idee visive e grafiche, così come la vitalità musicale, sono tali per cui, almeno stavolta, pensiamo che possano a bastare a supplire a qualche mancanza narrativa, a qualche semplificazione, esercizio a cui peraltro spesso i fan del musical sono abituati: per un numero musicale come si deve, si può sacrificare anche la perfezione narrativa.

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