Il mondo in cui viviamo sembra aver perso il proprio cuore, cioè il significato ultimo del vivere, del pensare e dell’agire. Ma un mondo e una vita (la mia, la tua vita) senza cuore, lo smarrimento della propria origine e del proprio destino ultimo è una non-vita, come dice T.S. Eliot: “Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?”, dov’è la vita che abbiamo perduto nella congerie di informazioni che ci sommergono ogni giorno, e nella lunga processione dei giorni che abbiamo vissuto?
Nel breviario così recita un’antifona dei Vesperi: “Ora si compie il disegno del Padre: fare di Cristo il cuore del mondo!”. Il nostro mondo (e ciascun uomo, io e te) ha bisogno di un cuore. Nella vita fisica, il cuore non è un organo importante, ma alla fine superfluo; esso è indispensabile alla vita dell’organismo. La volontà del Padre è che Cristo diventi la sorgente da cui ininterrottamente possa sgorgare la vita per il mondo e dissetare la sete infinita del nostro cuore, come dice il cap. 4 dell’enciclica Dilexit nos: “L’amore che dà da bere”. Questo è l’indispensabile.
Oggi il pericolo più grande non è, come è stato nel secolo scorso, una qualche ideologia ateistica, che negava decisamente Dio ma davanti alla quale si poteva immediatamente reagire, come ci testimoniano le “nuvole di testimoni” che hanno affrontato i lager e il martirio per la propria fede, bensì un’ideologia, diffusa in modo asfissiante dalla globalizzazione che, pur non negando Dio, lo relega a una sfera individuale e intimistica. Alla fine, Dio è una suppellettile. Padre Cornelio Fabro riassumeva questa nuova e velenosa ideologia in queste poche parole: “Se Dio c’è, non centra”. Una ferita mortale, una divisione terribile: Dio da una parte e la vita da un’altra. Aver sete e non sapere dove trovare la sorgente che disseta.
La volontà del Padre è che il fiotto di vita che sgorga dal cuore di Cristo, trafitto dalla lancia di Longino, dalla lancia della nostra dimenticanza di Lui nella vita concreta, risponda alla nostra sete di vita con l’acqua gratuita e incessante della Sua misericordia.
Al n. 22 dell’enciclica Papa Francesco afferma che in ogni essere umano “Tutto è unificato nel cuore … In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato”.
E al n. 22: “Vedendo come si susseguono nuove guerre, con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi, o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore”.
Sì, il nostro mondo, il nostro cuore ha sete di vita, di una vita di amore, ma spesso ciò a cui attingiamo sono come i laghi effimeri nel deserto del Sahara, che si formano improvvisamente dopo rare e intense piogge, ma che durano pochi giorni o poche settimane prima di scomparire definitivamente.
Proprio a questa sete di vita e di amore è dedicato il cap. 4 dell’enciclica: “L’amore che dà da bere”. Lungo la tormentata storia di alleanza tra il popolo di Israele e il suo Dio, che con Abramo è entrato nella nostra storia, e che si è poi fissata nella Bibbia, il Mistero ha cercato instancabilmente di offrire una pienezza di vita agli uomini: “Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele” (Ger 31,3). Questo dono è espresso attraverso l’immagine di un’acqua pura e fresca (nn. 93-101).
Gesù ha continuato a offrire la Sua vita nella storia della Chiesa, come attestano i martiri e i Padri dei primi secoli, che mettono a fuoco come la sorgente di questa acqua che disseta si trovi nel cuore di Cristo, squarciato dalla lancia sulla croce e da cui sono sgorgati acqua e sangue, simbolo dei Sacramenti del Battesimo e dell’Eucarestia (nn. 102-101).
Per esempio, sant’Agostino, che ha dato inizio alla devozione al Sacro Cuore, lo indica come luogo di incontro personale con il Signore, non solo fonte della grazia e dei sacramenti, ma anche simbolo dell’unione intima con Cristo (n. 103).
Una schiera di Santi e maestri di teologia ha sviluppato e approfondito il culto del Sacro Cuore, nei secoli successivi: san Bernardo (n. 104), Guglielmo di Saint-Thierry (n. 105), san Bonaventura (nn. 106-107).
A poco a poco il costato ferito, dove risiede l’amore di Cristo, da cui a sua volta promana la vita della grazia, venne assumendo la figura del cuore, soprattutto nella vita monastica, che contribuì a sviluppare la devozione al Cuore di Cristo. Tra le monache santa Lutgarda, santa Matilde di Hackeborn, santa Angela da Foligno, Giuliana di Norwich, santa Gertrude di Helfta, santa Caterina da Siena (nn. 109-110). Tra i monaci Ludolfo di Sassonia e san Giovanni Eudes (nn. 111-113).
Nei tempi moderni troviamo san Francesco di Sales per il quale, di fronte a una morale rigorista o a una religiosità di superficiale osservanza, il Cuore di Gesù gli appariva come un richiamo alla piena fiducia nell’azione misteriosa della sua grazia, in cui ciascuno, sentendosi unico davanti a Cristo, può però vivere il rapporto con Lui non in modo intimistico, ma anche in mezzo alle attività, ai compiti e ai doveri della vita quotidiana (nn. 114-118).
Santa Margherita Maria Alacoque afferma che in quel cuore, il Cuore di Cristo risorto, si manifesta nella sua interezza il Mistero della Pasqua e che il suo non aver risparmiato nulla per amarci è un invito a crescere nell’incontro con Lui (nn. 119-124). San Claudio de La Colombière, venuto a conoscenza delle esperienze di Santa Margherita, ne divenne immediatamente divulgatore. Lui parla di un amore fedele, che nulla e nessuno, nemmeno il tradimento di Giuda, può arrestare (nn. 125-128).
Il Papa continua a presentare altri santi, che hanno vissuto e approfondito la devozione al cuore di Gesù: san Charles de Foucauld e santa Teresa di Gesù Bambino, che ne hanno sviluppato anche la dimensione missionaria (nn. 129-142). Santa Teresa ha lottato “contro forme di spiritualità troppo incentrate sullo sforzo umano, sul merito proprio, sull’offerta di sacrifici” per “guadagnarsi il cielo”. Per lei, “il merito non consiste nel fare né nel donare molto, ma piuttosto nel ricevere” liberamente.
Il giansenismo affermava che di fronte ad un Dio arbitro assoluto della nostra sorte, l’atteggiamento più spontaneo non è l’amore, ma il timore, da cui una morale austera e rigorosa. Il culto del Sacro Cuore riportò l’attenzione dei cristiani sull’importanza dell’umanità di Cristo e sulla misericordia del Signore, contrastando la dottrina giansenista, che eliminava quasi del tutto la libertà dell’uomo di fronte alla grazia divina, favorendo l’idea di una salvezza predestinata a pochi eletti e già irrimediabilmente decisa. Il giansenismo, col suo rigorismo farisaico, minava la fede, allontanava i fedeli dai sacramenti ed estingueva la pietà.
In conclusione, la storia di questa devozione, nata in qualche modo fin dai primi secoli della storia della Chiesa, definitasi poi e approfonditasi come risposta a posizioni influenzate dall’illuminismo e dal protestantesimo, che riducevano il cristianesimo a discorso o a morale, sottolinea la caratteristica fondamentale dell’avvenimento cristiano e cioè la carnalità del rapporto uomo-Dio. Il Verbo si è fatto carne e il popolo di Dio ha sempre percepito il rapporto col Mistero come un rapporto sensibile e sperimentabile con il Cuore carnale di Cristo.
Questa quarta enciclica di Papa Francesco è “una chiave di lettura dell’intero magistero” e, insieme, una sintesi di ciò che papa Francesco vuole dire alla nostra umanità: “Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth”. Il Santo Padre ci ricorda che il cuore trova sé stesso quando si incontra con l’altro cuore; è il Cuore di Gesù che ci fa trovare il nostro cuore, il mio cuore, e anche il cuore degli altri.
Il 24 dicembre, alla Vigilia di Natale, inizierà il Giubileo della speranza in un mondo che vive la nostalgia di legami ridotti ora in frantumi, perché deragliato su un binario individualista.
Cosa può rappresentare allora l’apertura della Porta Santa?
Che siamo chiamati a riferirci al Cuore di Cristo, non a leggi, anche le più belle e le più sacre. Fare riferimento a Lui significa accogliere l’invito a sedersi a mensa con Lui, diventato per noi cibo e bevanda, che, come Gesù prometteva alla Samaritana, “diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna. (Gv 4,14).
Il Padre vuole fare di Cristo il cuore pulsante d’amore del mondo. Il sostegno della nostra vita, allora, non può più essere una legge, una morale (sarebbe riduttivo e insufficiente), ma il rapporto d’amore con una Persona, che ci dona il suo Sacro Cuore, cioè tutto sé stessa.
Questo non è disprezzo per i precetti religiosi, ma ri-centrare la vita su una fede che è ogni giorno di più riconoscimento della sua presenza che opera qui e ora. Ciò che a Gesù più sta a cuore è che l’uomo non dimentichi il suo Cuore, che dona acqua e sangue a tutto il corpo, Lui che per amore ha dato sé stesso gratuitamente per noi. Lasciare che il Signore diventi il cuore della nostra esistenza, e stare vicini al suo cuore, significa imparare a vivere immersi nel mistero ormai presente, dopo la sua Ascensione al cielo, in tutta la realtà. Fare di Cristo il cuore del mondo: ecco il grande dono di Dio a noi oggi.
Il capitolo 4 dell’enciclica Dilexit nos di Papa Francesco, intitolato “L’amore che dà da bere”, esplora il significato profondo dell’amore di Cristo come fonte di vita e di salvezza, ponendo al centro la ferita del suo costato trafitto sulla croce. Questo gesto simbolico, interpretato alla luce del Vangelo e della tradizione cristiana, rappresenta l’apertura del Cuore di Cristo da cui scaturiscono acqua e sangue, segni del dono dello Spirito e della nuova vita per l’umanità.
Papa Francesco collega la sua riflessione alla devozione al Sacro Cuore, considerato una “sintesi del Vangelo” che invita a un’intima relazione personale con Cristo. Al tempo stesso, richiama alla dimensione missionaria di questo amore, che ci spinge a condividere la grazia ricevuta con i fratelli, attraverso opere di solidarietà e giustizia, vivendo un amore che si dona senza riserve.
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