Papa Francesco, nell’enciclica Dilexit nos, dopo il decisivo capitolo sul senso antropologico del cuore, nel secondo e terzo ci conduce all’essenza del cristianesimo: “Il sacro Cuore è la Sintesi del vangelo” (83). Il Santo Padre, innanzitutto, relaziona il cuore di Cristo alle diverse espressioni del suo amore. Si tratta di gesti, sguardi e parole umanissime. Egli è venuto tra i suoi – che siamo tutti noi – per proporci “l’appartenenza reciproca degli amici. È venuto, ha superato tutte le distanze, si è fatto vicino a noi come le cose più semplici e quotidiane dell’esistenza” (34).

In realtà gesti, sguardi e parole sono tenute insieme dalla parola “incontro”. Egli è venuto tra noi per incontrarci. Ecco il riferimento alla Samaritana, a Nicodemo, al cieco nato e a Pietro. Vuole che ci fidiamo di lui: “con Lui non abbiamo nulla da perdere” (37). Papa Francesco ci invita a riconoscere lo sguardo di Gesù su ciascuno di noi, come è stato per il giovane ricco e Natanaele. Noi siamo da lui conosciuti, prediletti, amati. Tra le parole, papa Francesco sottolinea quelle che esprimono la commozione di Gesù per la condizione umana segnata dal male e dalla morte: il pianto su Gerusalemme, la commozione per l’amico Lazzaro; il turbamento interiore di Gesù che si esprimerà definitivamente nel grido sulla croce rivolto al Padre. Quelli di Gesù non sono generici stati d’animo, sono l’espressione umana della passione di Dio per il destino dell’uomo. Queste pagine ci conducono a una nuova coscienza di noi stessi. Esistere vuol dire essere amati da lui: mi ha amato e ha dato la sua vita per me (cf. Gal 2,20).

Nel terzo capitolo, papa Francesco attraverso un itinerario tra Sacra Scrittura, vari autori e santi, antichi e moderni, in particolare ricorrendo al magistero dei recenti pontefici, descrive il senso del cuore di Cristo e la natura dell’amore che in esso viene espresso. Adoriamo Cristo, in particolare nell’Eucaristia, e veneriamo l’immagine del sacro Cuore, che esprime la totalità della sua Persona. Siamo posti di fronte ad un triplice amore: l’amore di Dio, che si esprime umanamente: “la dimensione spirituale della umanità del Signore” (65) e l’espressione – il simbolo – del suo amore sensibile. La devozione al Sacro Cuore salda per sempre l’umano e il divino: “proprio nel suo amore umano, e non allontanandoci da esso, che troviamo il suo amore divino: troviamo ‘l’infinito nel finito’” (67). E se nell’umanità di Cristo “passa” il divino, allora è il mistero della Santissima Trinità che ci raggiunge in questo cuore; egli ci porta al Padre come suoi veri figli, figli e figlie nel Figlio, nella potenza trasformante dello Spirito Santo (70-77).

La perenne Spiritualità del Sacro Cuore prende la sua specifica forma in un tempo in cui la spiritualità cristiana era afflitta dal rigorismo elitario del giansenismo, che tanto a lungo ha condizionato la vita del popolo di Dio nell’epoca moderna. Si trattava di una visione dualista che guardava “dall’alto in basso tutto ciò che era umano, affettivo, corporeo” (86). Oggi, ci ricorda papa Francesco, questo dualismo lo vediamo da una parte nella secolarizzazione che “aspira ad un mondo libero da Dio” (87) con forme di religiosità prive di relazioni personali di amore, e dall’altra nelle forme del neo-gnosticismo, che “ignora [come all’inizio del cristianesimo] la salvezza della carne”, ossia dell’umano tutto intero. L’invito del Santo Padre a rinnovare la devozione al Sacro Cuore è un invito a superare ogni dualismo che indebolisce la vita cristiana, compreso quello tra comunità e pastori “concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo” (86).

Questa enciclica, dunque, ci invita al “fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale” (86). Tutto ciò si realizza non per i nostri sforzi, ma – come ci insegnano santa Teresina di Lisieux e santa Faustina Kowalska – attraverso il radicale affidamento al Cuore di Cristo: “Confido in te”.

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