La ricerca contro l’endometriosi ha compiuto numerosi passi avanti in questi anni, tanto che adesso la chirurgia non è più l’unica soluzione. Nel corso dell’ultima edizione del congresso Figo (Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia), svoltosi a Parigi lo scorso ottobre, sono state illustrate numerose presentazioni scientifiche sul tema. Le donne che ne soffrono, secondo le stime riportate da Le Figaro, sono il 10%, ma soltanto di recente questa malattia ha avuto la visibilità che merita. In passato, infatti, era tabù.
“Prima per confermare che una donna soffrisse di endometriosi serviva l’esame istologico, quindi una biopsia”, racconta il professor Charles Chapron. Nonostante a partire dagli anni Novanta ci sia stato un boom di richieste di queste analisi, le diagnosi sono comunque rimaste poche rispetto ai reali casi. Ma non è tutto. “Il trattamento convenzionale, dopo avere appurato della malattia, consisteva nel rimuovere le lesioni endometriosiche dai pazienti durante una laparoscopia (un intervento chirurgico apparentemente poco invasivo, ndr), quindi offrire loro un trattamento farmacologico, una pillola contraccettiva o agonisti dell’ormone GnRH”. Questo processo spesso deve essere ripetuto e, oltre ad avere effetti collaterali che possono peggiorare la qualità della vita, impedisce anche il concepimento.
Endometriosi, chirurgia non è più unica soluzione: nuove cure grazie alla ricerca
Gli esperti nell’ultimo periodo hanno posto l’accento sulla necessità di rivedere la sequenza delle cure offerte alle pazienti affette da endometriosi e di prestare maggiore attenzione alla preservazione della loro fertilità, un parametro troppo a lungo trascurato. Il tutto sfruttando il fatto che le diagnosi, adesso, sono più semplici e veloci. “Siamo convinti che un buon colloquio e immagini effettuate da radiologi che conoscono bene la malattia possano il più delle volte bastare”, sostiene il professor Charles Chapron.
Per le tempistiche del trattamento, invece, è fondamentale capire quali sono le esigenze e le volontà della paziente. Il momento in cui la donna desidera diventare mamma è particolarmente cruciale. “La chirurgia aiuta a ridurre l’infiammazione e ora sappiamo che il tasso di fertilità subito dopo un intervento è abbastanza simile a quello ottenuto in un processo di procreazione medicalmente assistita. Chi è in cura farmacologica dopo la diagnosi, dunque, può essere operata se esprime il desiderio di rimanere incinta e se non riesce a farlo spontaneamente”, spiega l’esperto. Per coloro per cui il processo dovesse essere più difficile, inoltre, può essere presa in considerazione l’ipotesi di congelamento degli ovuli. Le opzioni a disposizione oggi insomma sono molte più di quelle di ieri, anche se nelle diverse aree del mondo c’è ancora un approccio variegato sulla questione.