Ebbene sì, dopo 10 anni Edf ce l’ha fatta a diventare a pieno titolo il fornitore di energia elettrica anche degli italiani (e presto anche di gas…ma avremo il tempo di vederlo nei prossimi mesi). Chi ha visto lo spot che in questi giorni sta scorrendo sui maggiori canali televisivi nazionali qualche domanda se l’è fatta: ma cosa vogliono? Ma cosa fanno con quel filo che si passano di mano in mano da chi pulisce l’auto con l’aspirapolvere a chi rincorre il videoproiettore in sala riunioni fino a chi è in piscina o lavora al computer? E poi perché quella voce di sottofondo dall’accento spocchiosamente francese, ma non potevano trovare una signorina italiana? Entro la fine dell’anno e al termine di un’estenuante trattativa durata mesi con la multiutility italiana A2A, Edf sarà proprietaria al 100% di Edison, storica azienda leader nella produzione di energia elettrica, al secondo posto in Italia per quota di mercato dopo Enel. Edf ha vinto la campagne d’Italie e la bandiera francese svetta a Milano, sullo storico palazzo di Foro Bonaparte simbolo di tanta economia italiana (lì vi fu anche la sede della Montecatini e della Ferruzzi di Gardini). Ma pensandoci bene forse i francesi non hanno vinto solo la campagna elettrica, ma anche quella del latte, dello yogurt, della moda e non andiamo oltre…
Risale al 1999 l’avvio della liberalizzazione del settore elettrico italiano, quando il Governo decise che l’Enel (l’allora campione nazionale) non avrebbe potuto detenere una quota di mercato maggiore del 50% nel settore della generazione. A tal fine vennero scorporate 3 generation company (Gencos) e qualche gruppo italiano ci ha provato a vedere se ce la faceva a diventare un piccolo campione nazionale: la Acea di Roma, la ex Aem di Milano (oggi – dopo la fusione con l’Asm di Brescia – A2A), l’azienda municipalizzata di Torino. Ma anche la svizzera Atel e gli spagnoli di Endesa, a cui poi sono succeduti i tedeschi di E.ON, sono entrati in Italia e tutti quanti sono diventati, in modo più o meno sparso, proprietari delle 3 Gencos. In quegli anni anche Edf timidamente scende in campo attraverso una partecipazione nella Montedison. Qualcuno ci prova a sterilizzare con una legge il suo diritto di voto dal 20% al 2%, ma loro resistono e addirittura rispondono in patria (e si dice per sbarrare l’ingresso di Enel) celebrando le nozze tra Gas de France e Suez, il tutto alla faccia dello smembramento dei colossi nazionali.
A distanza di oltre 10 anni amaramente scopriamo che non ce l’abbiamo fatta e che piccoli non è sempre così bello: il settore elettrico è tipicamente capital intensive, gli investimenti consistono nella costruzione di centrali termoelettriche che costano 300-400 milioni di euro, che è meglio averne più di una e che chiedono tempi di rientro – date certe condizioni di mercato – anche di 15 anni (troppi in un Paese come il nostro dove, nello stesso lasso di tempo, magari sono cambiati 5 governi con 5 idee diverse su cosa sia la politica energetica nazionale).
Il risultato è che oggi il secondo operatore nazionale è francese e pure pubblico e il terzo (E.ON) tedesco e le multiutility nazionali che ci hanno provato sono indebitate fino al collo in un mercato lungo e con i margini schiacciati. L’unica italiana ancora doc (ma per poco, magari se la comprano i cinesi o i russi) è Sorgenia, anche lei fortemente indebitata e che chiede sussidi al Regolatore per ripagare i suoi investimenti. È un settore che dal monopolio è passato alla concorrenza e che sta andando verso l’oligopolio. Un case study da Bocconi.
Certo, a questa situazione ha sicuramente contribuito il cambio di faccia che ha subito il mercato elettrico nel corso degli ultimi anni. Eccesso di offerta per i troppi impianti costruiti: 100 GW installati con una domanda che, se va bene (e non come in questi giorni di inverno mite), alla punta raggiunge i 55 GW, centrali che funzionano 2700 ore/anno quando in un anno le ore sono 8.760, crisi economica e conseguente calo della domanda elettrica (gli stabilimenti che chiudono non consumano più energia). Crescita delle fonti rinnovabili (fotovoltaico ed eolico al primo posto) che, come si dice in gergo, hanno priorità di passaggio, ovvero devono per forza produrre perché sono incentivate e spiazzano produzione termica. E poi un costo del gas che, nonostante la bolla del gas e hub molto concorrenziali in giro per l’Europa, non scende mai, perché trascinato al rialzo da quotazioni del petrolio in tensione speculativa.
Insomma, il prezzo dell’energia elettrica oggi non copre i costi fissi e per chi è andato dalle banche non copre il costo del debito. Ci vuole qualcuno come Edf con le spalle grosse, con il nucleare un po’ in Francia e un po’ sparso nel mondo e che riesce a reggere una situazione di crisi e di overcapacity che le multiutility nostrane a fatica reggono. Forse qualcuno potrà consolarsi pensando che con tutto questo nucleare un po’ di sconto in bolletta ce lo faranno …