La Cgia di Mestre ha diffuso tempo fa un’utile tabellina sull’andamento dei prezzi dei principali servizi pubblici. Negli ultimi dieci anni, la maggior parte dei servizi ha subito rincari superiori all’inflazione. Due sole le eccezioni: la telefonia e l’energia elettrica. Se il costo della vita è aumentato del 27,1%, tra il 2000 e il 2010, la bolletta della luce è salita, in termini reali, “solo” del 26,2%. È difficile non attribuire questo andamento virtuoso agli effetti della liberalizzazione.
L’introduzione della concorrenza, resa possibile dal recepimento di tre pacchetti consecutivi di direttive europee a partire dal 1999 col “decreto Bersani”, ha consentito l’ingresso sul mercato di una molteplicità di soggetti nei vari stadi della filiera: in particolare, nella generazione e nella vendita di energia elettrica. La relativa ondata di investimenti ha consentito il rinnovo di circa metà del parco di generazione nel giro di pochi anni, producendo quello che forse è stato il più importante e rapido cambiamento strutturale osservato in tutta Europa.
Dal punto di vista dei prezzi, questo si è tradotto in due fenomeni paralleli. Da un lato, la competizione che si è sprigionata sui mercati all’ingrosso ha avuto l’effetto di contenere la dinamica dei prezzi, perché i grandi consumatori (e i soggetti incaricati dell’approvvigionamento a nome dei piccoli consumatori, come Acquirente unico che procura l’elettricità ai clienti che non hanno ancora “switchato” verso un fornitore scelto liberamente) hanno sviluppato strategie efficienti di acquisto e copertura. Dall’altro, a partire dal 1 luglio 2007 anche i piccoli consumatori possono decidere da chi e a quali condizioni comprare la luce: cosa che rende possibile, per chi sia un consumatore sufficientemente “aggressivo”, realizzare ulteriori risparmi.
Non tutti, purtroppo, si sono resi conto di questi sviluppi virtuosi. Le ragioni, anche qui, sono molteplici. In primo luogo, c’è un problema di informazione: non tutti sanno di avere la possibilità di scelta e non tutti sono a conoscenza delle diverse forme di protezione e informazione garantite al consumatore, per esempio dall’Autorità per l’energia che sul suo sito, tra l’altro, mette a disposizione un semplice software per comparare le diverse offerte.
Secondariamente, la dinamica positiva dei prezzi è stata mascherata da tendenze in senso contrario. In particolare, la bolletta è composta da una serie di oneri parafiscali (la “tariffa”) che servono a remunerare quelle parti del sistema elettrico strutturalmente sottratte alla concorrenza (per esempio, le reti) e una serie di altre spese, come lo smantellamento delle vecchie centrali nucleari dismesse dopo il referendum del 1987.
All’interno di questi oneri, sono cresciuti in modo clamoroso quelli destinati all’incentivazione delle fonti rinnovabili, che ormai pesano per diversi miliardi di euro ogni anno. Come testimoniano i comunicati trimestrali con cui il regolatore giustifica gli adeguamenti dei prezzi di riferimento, il finanziamento delle rinnovabili costituisce una delle principali ragioni degli aumenti. Detto in altri termini: i prezzi dell’energia, che sono cresciuti relativamente poco negli ultimi dieci anni, sarebbero cresciuti ancora meno se non ci fossero stati questi oneri.
Naturalmente, questo non è di per sé un argomento a favore o contro i sussidi. È possibile che essi siano giustificati, anche se come minimo sono stati fatti errori nella loro gestione e in alcuni casi (il solare fotovoltaico, per esempio) erano chiaramente sovradimensionati. Tuttavia, il punto importante è che la percezione pubblica, o persino la delusione pubblica, per l’andamento di questo mercato non dipende da un fallimento della liberalizzazione – che pure merita ulteriori passi avanti, come suggerisce l’Indice delle liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni -, ma è in verità figlia di decisioni, giuste o sbagliate, che col mercato e la concorrenza non hanno nulla a che vedere.