Nel dicembre del 2010 l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2012 “Anno internazionale dell’energia sostenibile per tutti”. Fra pochi giorni, esattamente dal 16 al 19 gennaio, si svolgerà ad Abu Dhabi la conferenza di lancio di questo anno internazionale, che è stato promosso dall’Onu sulla scia di simili “anni” dedicati a svariati argomenti di rilevanza scientifica e sociale.
Nelle intenzioni dell’Onu, il 2012 dovrà servire a ribadire che “l’accesso a servizi energetici moderni e a buon mercato nei paesi in via di sviluppo è essenziale per il raggiungimento degli obbiettivi di sviluppo sostenibile del terzo millennio” e a incrementare la consapevolezza del cortocircuito che esiste fra povertà e scarsità di energia, dimostrando come l’accesso a forme di energia pulite, sicure ed economiche sia in grado di migliorare il tenore di vita dei popoli di tutta la terra. In pratica, l’anno internazionale dovrà catalizzare azioni concrete e investimenti nei vari paesi, tramite l’attività di speciali commissioni locali, che producano specifici piani e meccanismi di promozione nazionali.
Anche un altro organismo internazionale, il Consiglio mondiale dell’energia (Wec), denunciando che un enorme numero di esseri umani, specie nei paesi in via di sviluppo, non dispone ancora delle forme più elementari di energia, è concorde nel dichiarare che “la povertà energetica è la sfida del secolo”. Inoltre, esso stima che senza un preciso e intenso impegno globale, il numero delle persone prive di accesso a qualsiasi forma di elettricità potrà diminuire, da ora al 2030, solamente da 1,4 a 1,2 miliardi di persone, e che il numero di persone che dipendono da utilizzi tradizionali di materiali legnosi, o più in generale di biomasse, addirittura aumenterà, dai 2,7 miliardi attuali, a 2,8 miliardi.
Poiché è ormai coscienza comune che energia e ambiente sono non solamente fattori indispensabili di sviluppo per l’uomo, ma sono anche tra loro strettamente connessi, la sfida è ristabilire quella che papa Benedetto XVI chiama «l’alleanza tra uomo e natura, senza la quale l’intera famiglia umana è destinata a scomparire». In una cultura in cui questo rapporto è incrinato e conflittuale, occorre ripristinare una relazione intelligente, feconda e costruttiva. Se ciò vale in particolare per i paesi sviluppati, non di meno non può essere dimenticato anche nell’affronto dei drammatici problemi dei paesi in via di sviluppo, per i quali l’accesso all’energia rappresenta un prerequisito essenziale allo sviluppo economico delle comunità, specie di quelle più isolate e lontane dai centri urbani.
Alcune semplici operazioni, che a noi possono sembrare banali, quali cucinare senza fumo, illuminare la propria casa perché si possa studiare o lavorare anche dopo il tramonto, mantenere al fresco i cibi o anche semplicemente dei medicinali deperibili, ascoltare alla radio trasmissioni didattiche o utilizzarla per inviare messaggi di emergenza, ecc., sono ancora precluse ai tantissimi che non hanno a disposizione combustibili a buon mercato ed elettricità.
In ogni caso la ricerca di un accesso “a ogni costo” a questi beni può portare a pressioni ambientali e sociali enormi; per esempio, intere aree africane sono a rischio deforestazione o desertificazione per la necessità delle popolazioni locali di procurarsi legna, da ardere o da trasformare in carbonella, mentre ai margini di vasti agglomerati urbani di Africa, Sud America e Asia prolifera il fenomeno dell’allacciamento abusivo alle reti elettriche. È per questo che l’anno internazionale promosso dall’Onu abbina alla preoccupazione che tutti possano accedere all’energia in maniera sicura, quella che possa essere prodotta in maniera “sostenibile” per l’ambiente.
Per esemplificare, si consideri che secondo stime recenti fra le persone che ancora utilizzano solamente biomasse per cucinare (2,7 miliardi) ci sono ogni anno quasi due milioni di decessi prematuri a causa dell’utilizzo di “apparecchi” di cottura inefficienti e inquinanti; a dir la verità “apparecchi” è spesso un eufemismo, trattandosi in molti casi di semplici focolari aperti “a tre pietre” dove si appoggia una pentola e dove magari si brucia un combustibile che produce fumi altamente nocivi per la salute, quale lo sterco animale essiccato. Il reperimento di combustibile costituisce inoltre, in molti casi, una delle attività più pesanti e impegnative per coloro che se ne devono far carico (nella maggior parte dei casi donne).
Si può quindi comprendere come possa rappresentare un notevole progresso anche il banale passaggio dai focolari aperti a semplici “stufette” fatte di metallo e materiali refrattari nelle quali lo scarso combustibile possa essere bruciato in maniera efficiente; oppure il passaggio, dove le condizioni di insolazione locale lo consentono, alle stufette solari. La produzione di questi apparecchi, secondo disegni provati e standardizzati (ma in ogni caso adattati alle specifiche esigenze locali), in maniera artigianale o secondo canoni di piccola industria, costituisce per giunta un volano economico spesso in grado di mobilitare positivamente le micro-economie rurali.
Si tratta, a dir la verità, di concetti ben noti, portati avanti da decenni da benemerite organizzazioni di volontariato quali il movimento delle “tecnologie appropriate”, che ha ispirato tante organizzazioni non governative e che un po’ alla volta sono stati fatti propri anche dall’Onu. Sono semplici esempi, ma ci paiono interessanti per documentare che non sono in genere le soluzioni tecnologiche a mancare. Non mancano ormai, in effetti, nemmeno quelle più sofisticate, in quanto è ben noto che i costi decrescenti e i grandi investimenti nelle energie pulite e rinnovabili degli anni più recenti rendono ormai proponibili, anche nelle situazioni più povere, le tecnologie più sofisticate, quali i generatori eolici o le celle fotovoltaiche.
Quelle che mancano, semmai, sono le volontà politiche. In questo senso val la pena di ricordare che gli anni internazionali dell’Onu sono stati nel passato delle occasioni importanti e delle “vetrine” per gli Stati per dimostrare le loro capacità e la loro potenza (si ricordi, per esempio, che nel 1957 i primi satelliti artificiali furono volutamente lanciati dall’Unione Sovietica proprio in occasione dell’Anno geofisico internazionale). C’è dunque da augurarsi (benché l’attuale crisi non induca a essere ottimisti) che anche per l’anno dell’energia succeda di nuovo qualcosa di simile e che le nazioni più ricche e potenti si impegnino in questa nobile gara con impegno non inferiore a quello con cui competono in altri campi. Naturalmente non tutto deve essere atteso dall’impegno diretto degli Stati, anzi l’esperienza di tanti anni di cooperazione internazionale dimostra che gli interventi e il lavoro compiuto dalle organizzazioni non governative sono quasi sempre i più efficaci.
Per concludere, ci impressiona il fatto che alla conferenza “The World Future Energy Summit” di Abu Dhabi, che come abbiamo accennato darà il via ufficiale all’anno dell’energia sostenibile, è prevista la partecipazione di circa 26.000 delegati. A voler fare polemica ci si potrebbe chiedere se simili mega-conferenze siano loro stesse “sostenibili”, cioè se l’energia spesa in viaggi dai partecipanti potrà mai essere recuperata in qualcosa di utile: ma all’inizio di un nuovo anno vogliamo essere ottimisti e augurarci che in un così numeroso consesso si incontrino le persone veramente in grado di trasformare in realtà le utopie dell’Onu.