L’ultimo Piano energetico nazionale dell’Italia risale agli inizi degli anni ‘80. È passato troppo tempo. Sono cambiati gli scenari tecnologici ed economici, ma sono soprattutto intervenuti cambiamenti normativi che cambiano la prospettiva e hanno definitivamente reso desueta la parola “pianificazione”, che a lungo ha caratterizzato la nostra politica energetica quando sostanzialmente esistevano e operavano sul mercato due monopoli statali (idrocarburi ed elettricità) e quando i costi delle materie prime e degli investimenti infrastrutturali erano essenzialmente posti a carico delle bollette dei consumatori.



La libera iniziativa degli operatori va oggi assicurata, pur nell’ambito di un sistema legislativo e regolatorio che assicuri stabilità in termini di quadro normativo e scelte ambientalmente accettabili e che, soprattutto, sia inquadrata in uno schema generale di priorità. La Strategia energetica nazionale (Sen), di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, non potrà quindi essere di tipo dirigistico, come accaduto fino agli anni ‘80: occorre riconoscere e sottolineare la scelta ormai consolidata del mercato libero.



Risulta inoltre “obbligata” la necessità di considerare il tema in ottica europea e di apertura del mercato estero (nuove linee elettriche, strategie comuni o complementari con altri paesi europei, reti di trasporto dal Nord Africa, ecc.). C’è poi un altro nodo politico: resta infatti da affrontare l’attribuzione delle competenze, suddivise tra Stato e Regioni, poiché al momento il tema dell’energia è difatti materia concorrente tra Stato e Regioni secondo il Titolo V della Costituzione.

Il ruolo di regista e attore principale resta comunque ben assegnato: la stesura del testo della Sen non può che competere al Ministero dello Sviluppo economico (nello specifico alla Direzione generale dell’Energia e delle
risorse minerarie), sebbene sulla base di un’ampia consultazione cui devono essere invitate le Regioni e le istituzioni competenti, come l’Autorità per l’energia elettrica e il gas.



Il rapporto con le Regioni è necessario non solo in base al Titolo V, ma perché l’attuazione della Strategia – almeno per quanto riguarda l’aspetto delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica – non può non coinvolgere le Regioni. Con esse si sta, ad esempio, sviluppando la collaborazione per arrivare almeno a definire il cosiddetto “burden sharing” (suddivisione a livello locale) degli obiettivi europei messi in capo all’Italia. La Strategia è perciò a tutti gli effetti nazionale, sebbene caratterizzata da un duplice strabismo, verso l’Europa e verso le Regioni. Da certi punti di vista, la scala nazionale è anche perfino limitativa, sebbene l’Europa non appaia pronta a scelte coordinate e vincolanti, ma solo a indirizzi generali.

In tutto ciò è un vero peccato che non sia mai stata indetta la più volte annunciata “Conferenza dell’energia”. Essa va invece rapidamente pensata e convocata, non come fase decisionale, ma come un importante momento di comunicazione e un’occasione per esprimere consensi e dissensi che potranno contribuire alla redazione finale della Strategia. Ci sono molti aspetti che si trascinano da anni e che bisogna affrontare.

Una priorità imprescindibile per l’Italia è prima di tutto la riduzione della bolletta energetica per le famiglie e per le imprese. L’imperativo è di portarla in linea con la media europea, pur nella consapevolezza che il sistema elettrico sconta parecchie anomalie sedimentate per scelte prese negli ultimi trent’anni. Tutto ciò considerando il possibile ruolo della concorrenza, attraverso l’ottimizzazione del funzionamento del mercato elettrico e la sua integrazione nel mercato europeo e valutando un migliore bilanciamento degli incentivi (ben pochi purtroppo sanno quanto ci sia costata la sbornia da fotovoltaico!).

Gli obiettivi europei al 2020 impongono inoltre chiari obiettivi in termini di efficienza energetica. L’enorme potenzialità di riduzione dei consumi richiede un quadro stabile e chiaro di incentivi, di semplice applicabilità per l’utente finale, affiancato da un adeguato sistema di monitoraggio e controllo sul loro impiego. La potenza risparmiata, i megawatt detti comunemente “negawatt”, con il miglioramento dell’efficienza energetica è probabilmente perseguibile con oneri inferiori a quelli legati alla produzione dell’energia corrispondente. La loro rilevanza è ulteriormente rafforzata dalla considerazione che lo sviluppo di interventi di efficienza implica un importante incentivo al settore produttivo, specie in questo momento di economia stagnante.

Gli indirizzi politici sull’energia devono assolutamente sempre essere accompagnati dallo sviluppo di know how e innovazione industriale, fondamentali per l’economia italiana, in vista di un rafforzamento delle ricadute interne. Nel settore dell’industria energetica siamo sempre stati protagonisti nel mondo intero: oggi ci sono investimenti clamorosi dalla Cina all’India, ma si annunciano anche in Europa, e per affrontare le imprese di coreani o tedeschi, occorre riprendere il forte sostegno a questo segmento produttivo.

È fondamentale infine che si preveda un’intensa attività di divulgazione e informazione. La comunicazione è determinante sugli esiti delle iniziative che verranno proposte. Ad esempio, è ben noto che uno dei fattori ritenuti decisivi per l’accettazione pubblica della tecnologia energetica è la partecipazione alle fasi decisionali, molto più che, ad esempio, il godimento dei benefici economici. Ciò che emerge da recenti studi è la necessità di promuovere una seria campagna di informazione a tutti i livelli, sui rischi, i benefici e i vantaggi economici. Non si può stare fermi, in attesa della prossima emergenza mediatica, ingaggiare stucchevoli discussioni sulla veridicità di improbabili reportage televisivi e decidere presente e futuro dell’energia sull’onda emotiva, dove hanno sempre la meglio i comici e le soubrette dell’avanspettacolo. Per il referendum del nucleare dello scorso giugno, è triste ricordarlo, andò esattamente così!

 

(2 – fine)

Leggi anche

SPILLO/ Il risiko del gas che rischia di far diventare l’Italia una "cameriera"FINANZA E POLITICA/ C'è chi dice no alla ripresa dell'ItaliaSPILLO/ Usa-Russia, una "morsa" sull’energia per l'Europa