Come sfruttare le proprietà delle reti per minimizzare il rischio di black-out su larga scala? Lo spiegano Charles Brummitt, Raissa D’Souza ed Elizabeth Leicht, in un articolo pubblicato dalla rivista PNAS la scorsa settimana introduce una nuova teoria per prevenire i black-out, frutto di una collaborazione fra la University of California Davis e Oxford.
Potremmo dire che la nostra storia comincia il 14 agosto 2003, nello Stato americano dell’Ohio. Intorno alle 12:15 ora locale, si verifica un casuale errore in un file dati nel sistema di controllo della rete di trasmissione elettrica della zona. Questo piccolo incidente, di per sé non grave, unito ad altre minori concause, determina la chiusura automatica del generatore di una centrale che si affaccia sul lago Eire. Da qui, si crea una criticità sulla principale linea di trasmissione Nord-Sud dell’Ohio. Il sovraccarico della linea provoca una cascata di black-out che coinvolge l’area dei Grandi Laghi. Alle 16:10, l’ondata si ferma dopo aver lasciato al buio Ohio, Indiana, Michigan, gran parte del Canada e del Nord-Est americano, inclusa New York.
Appena un mese dopo, anche in Italia assistiamo ad un simile incidente. Il 28 settembre 2003 il contatto fra un albero e un traliccio in Svizzera crea un carico della linea che si scarica sul resto della rete, causando un’ondata di black-out che coinvolge tutta l’Italia eccetto la Sardegna.
Questi due esempi mettono in luce come infrastrutture di larga scala possano essere vulnerabili a danni locali. Queste criticità hanno ricevuto crescente attenzione negli ultimi anni, non solo in ambito ingegneristico, ma anche in un’area scientifica più vasta, dove si mira a prevenire rischi sistemici nei più diversi sistemi complessi.
La novità di questo tipo di problemi ha richiesto l’introduzione di nuovi modelli teorici. L’impressione è che siamo talmente all’inizio della sfida che persino i modelli, il formalismo matematico, il linguaggio sono ancora in via di formazione. Nel caso dei black-out, ci si è prima focalizzati sulla robustezza di una rete sotto il danneggiamento di alcuni suoi componenti, ma negli ultimi due – tre anni ci si è resi conto dell’importanza del contesto.
Per esempio, la rete idrica serve a far girare le turbine di una centrale o raffreddarne i reattori che forniscono la rete elettrica, che a sua volta approvvigiona il sistema dei trasporti e delle comunicazioni. Per questo, oggi è particolarmente rilevante l’attività nello studio dei network interdipendenti. Mentre i primi studi mettevano in guardia, mostrando che network interdipendenti sono molto più fragili di network isolati, ora si intravede una realtà più articolata.
Il recentissimo lavoro di Brummitt e colleghi, infatti, elabora un nuovo modello sugli effetti a catena del carico in reti interdipendenti. La scoperta più interessante è che esiste una interdipendenza ottimale fra due reti che minimizza il rischio di effetti a valanga. Ciò significa che in uno scenario realistico i rischi di black-out potrebbero essere ridotti significativamente.
Anche se il modello è molto semplificato, sembra che questa proprietà possa valere anche per reti più complesse. La conclusione è tanto più interessante perché corregge la comune convinzione per cui network interdipendenti sono più fragili. Si tratta di un’altra voce nella multiforme enciclopedia dei sistemi complessi che la comunità scientifica sta iniziando a realizzare.