Si cambia. Di nuovo. Dal primo gennaio 2013, l’Autorità garante per l’energia ha stabilito che le tariffe elettriche saranno strutturate in maniera diversa rispetto a oggi. La tariffa bioraria, applicata a quegli utenti che non hanno scelto il proprio gestore o non hanno firmato un contratto personalizzato, non conviene più. Mesi di campagne martellanti avevano convinto i consumatori a utilizzare i propri elettrodomestici non più nelle ore di punta (dalle 8:00 alle 19:00 nei giorni dal lunedì al venerdì), ma in quelle non di punta (dalle 19:00 alle 8:00). Gli era stato detto che avrebbero speso meno. Ed era vero. Fino a poco tempo fa. Quando un imprevisto ha radicalmente modificato lo scenario. Ovvero, il boom del fotovoltaico. «Le tariffe biorarie vennero introdotte per ottenere due obiettivi entrambi desiderabili», spiega Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni. «Il primo – continua – era quello di consentire agli italiani di distribuire meglio i loro consumi elettrici nell’arco della giornata e, quindi, di spendere meno; il secondo, rendere più efficiente la gestione del parco di generazione italiana smorzando i picchi di domanda. Spostando, cioè, i consumi dai picchi di domanda ai picchi minimi». Ma il meccanismo era nato quando il modello di riferimento era quello di tre anni fa. «Dominato, cioè, dalle centrali a gas, ove i picchi di consumo si verificavano nelle ore centrali della giornata e, in particolare, tra le 11 e le 12. L’idea di fondo era quella di far pagare meno l’energia dalla tarda serata in poi, smorzando così il culmine di mezzogiorno. Tale culmine, sovente, generava problemi sul parco».
L’obiettivo era stato raggiunto. «La mossa ha funzionato, grazie alla campagna informativa che convinse gli italiani della convenienza ad accendere la lavatrice dopo le 19. Nel frattempo, tra il 2010 e il 2011 è stata installata un’enorme capacità di produzione da fonti rinnovabili, specie dal fotovoltaico». Ecco come la dinamica si è invertita: «I pannelli solari producono energia, ovviamente, soprattutto al mattino mentre smettono rapidamente di funzionare attorno alle 17, quando inizia a calare il sole. A quel punto, le centrali a gas, sono obbligate a una rampa di produzione molto ripida e veloce. Ovvero, per intenderci, è come se un’automobile fosse costretta a passare da 0 a 100 Km/h in pochi secondi». Il che, determina costi molto più alti. «Spostare l’utilizzo degli elettrodomestici in quella fascia oraria non é più conveniente. Né sul fronte del costo della bolletta, né su quello dell’efficienza nella produzione elettrica».
Ecco, quindi, l’ipotesi allo studio da parte dell’Autorità per l’energia. La prima prevede una riduzione della fascia serale. L’orario attuale 19.00-8.00 si limiterebbe alle sole ore notturne, dalle 23.00 alle 7.00. La seconda ipotesi prevede l’introduzione di tre fasce. F1 (la più costosa): dalle 8 alle 19, da lunedì a venerdì; F2: dalle 7.00 alle 8.00 e dalle 19.00 alle 23.00 da lunedì a venerdì e dalle 7.00 alle 23.00 di sabato; F3: dalle 23.00 alle 7.00 da lunedì a sabato e tutte le ore della domenica e dei giorni festivi. «La proposta dell’Autorità garante per l’energia elettrica – spiega Stagnaro – non può fare altro che tenere conto della situazione».
Si è calcolato che il risparmio per una famiglia media ammonterà a circa 15-20 euro. Un po’ pochino, pare. «In realtà – replica – il consumo di una famiglia media corrisponde a circa 400-450 euro all’anno. Un risparmio del genere, relativamente, quindi, non è pochissimo». In ogni caso, convenienza o meno, non c’è alternativa. «Il sistema è già in una fase pre-collasso perché, con il fotovoltaico, si è inserita un’enorme capacità produttiva proprio mentre la domanda dalle fonti tradizionali stava diminuendo. Il che ha prodotto enormi problemi economici. Le centrali, in sottocapacità produttiva, hanno perso i propri margini. Inoltre, il fotovoltaico, date le dimensioni assunte, implica una sfida per le reti che queste faticano e reggere».
(Paolo Nessi)