Tradizionalmente definite come inutili e dispendiosi carrozzoni politici, le ex municipalizzate sono state tra le poche aziende italiane a vantare, negli ultimi tempi, dinamiche virtuose. Secondo una ricerca del Centro studi di Banca Intesa Sanpaolo, infatti, nonostante la crisi, sono riuscite, generalmente, ad aumentare i propri ricavi. Specialmente quelle operanti nella distribuzione del gas naturale, i cui ricavi sono cresciuti tra il 2008 e il 2010 del 16,45% annuo, le idriche (+9.5%), e quelle legate allo smaltimento dei rifiuti (+7,5%). Contestualmente, nel medesimo periodo, è aumentata anche la loro redditività. Il Roe mediano (corrisponde al ritorno sul capitale ed è un indicatore che sintetizza i risultati economici di un’azienda) è stato per le prime del 6,75%, per le seconde del 2,6%, per le terze del 3,9%. «Nel caso dei rifiuti è bene distinguere tra trattamento e raccolta-spazzamento. Nel primo caso, laddove vi siano impianti di cogenerazione connessi al processo di produzione di energia, ci sono stati enormi progressi dal punto di vista industriale, grazie anche a investimenti pubblici e privati; nel secondo, invece, ci sono ancora moltissime inefficienze, eccessi occupazionali ingiustificati e costi del lavoro particolarmente alti», afferma, raggiunta da ilSussidiario.net l’onorevole Linda Lanzillotta. Ciò detto, tra le aziende che vanno meglio è possibile ravvisare una serie di fattori comuni. «I dati positivi si riferiscono, prevalentemente, alle società operanti sui mercati liberalizzati e regolamentati».



Al netto delle eccezioni, se la multiutility resta di proprietà pubblica le distorsioni sono fisiologiche: «Specie laddove l’azionista di riferimento – continua – è l’ente locale, si determinano svariati conflitti d’interesse; esso, infatti, molto spesso, svolge contestualmente il ruolo di regolatore delle tariffe e di controllore del rispetto del quadro normativo e della bontà dei servizi. Va da sé che il politico di turno, cui saranno affidati tali incarichi o che dovrà distribuirli, farà in modo di regolare le tariffe e controllare l’erogazione del servizio secondo logiche clientelari e di benefici elettorali». Non solo: «le politiche relative alla gestione del personale saranno intraprese in ragione della necessità di avere buoni rapporti con i sindacati». Meglio che il pubblico si occupi d’altro: «l’azionista privato, prevalentemente, è attento agli utili, alla capitalizzazione e all’efficienza dell’azienda. Diciamo che un azionariato misto bilancia i pericoli di quello puramente pubblico. E’ anche vero che, nel momento in cui l’ente pubblico non è più azionista ha modo di svolgere in maniera più coerente il ruolo di difensore degli interessi degli utenti».



E qui veniamo al nodo cruciale della questione. Non si può, di certo, celebrare il privato in quanto tale dato che, per intenderci, potrebbe tranquillamente coprire le inefficienze del prorio manager incapace a scapito dei contribuenti, se questo gli convenisse: «La condizione necessaria affinché gli interessi dei cittadini siano salvaguardati, infatti – spiega, l’onorevole -, è che il soggetto pubblico sia un efficiente regolatore. Che istituisca, cioè, bandi di gara in maniera trasparente e coerente, faccia rispettare le clausole dei contratti di servizio e incentivi gli investimenti». Tale figura può assumere svariate forme: «Nel caso del gas il soggetto preposto alla verifica dei requisiti e al rispetto delle condizioni contrattuali è l’Autorità garante per il gas e l’energia mentre, per quanto riguarda l’acqua, solo di recente è stata istituita una nuova autorità di vigilanza che sta iniziando a definire un quadro regolatorio finora assente. A oggi, il soggetto regolatore è stato l’ente locale». 



In tal senso, molto è stato fatto, e molto resta ancora da fare. «E’ di fronte agli occhi di tutti, da esempio, che l’autorità regolatrice del trasporto aereo non è all’altezza del proprio compito. D’altro canto, va dato atto al governo di aver istituito, oltre all’autorità per i servizi idrici, quella per i trasporti; nei servizi pubblici locali ha previsto, inoltre, l’aggregazione delle gestioni. La pluralità e la dispersione degli attori, soprattutto nel settore idrico, crea, infatti, inefficienza e determina scarsi investimenti. Detto questo, sarà necessario capire cosa fare dopo che una norma della Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la disciplina sulla liberalizzazione dei servizi pubblici dichiarandola in contrasto con quanto sancito dal referendum sull’acqua». Un paradosso da dirimere: «Prima, ha dichiarato legittimo il referendum, specificando che il margine d’applicazione andava limitato esclusivamente al settore idrico; una volta che il referendum è passato, ha esteso tale margine a tutti i servizi pubblici locali». E’ la prima volta che un  referendum viene preso così sul serio. «L’unica in cui  si sarebbe resa necessaria un’opera di interpretazione più consona alla realtà effettiva della materia trattata».

 

(Paolo Nessi)