Abbiamo sempre tenuto un occhio criticamente vigile sul Governo “tecnico” presieduto da Mario Monti. Ora che la campagna elettorale è iniziata, è il momento di mettere l’accento, sine ira et studio, su due documenti, particolarmente importanti, lasciati in eredità al prossimo Parlamento ed Esecutivo: a) la Strategia Energetica Nazionale; b) la riforma delle fondazioni lirico- sinfoniche. Sono documenti di cui si è parlato poco, anzi pochissimo, al di fuori di una cerchia molto ristretta di “addetti ai lavori”, ma che meritano attenzione per l’attento lavoro che ha portato alla loro redazione e per le proposte interessanti in essi contenute. C’è da augurarsi che il prossimo Parlamento e il prossimo Governo, quale che sia la maggioranza, ne tengano conto e prendano le misure del caso.
Oggi occupiamoci della Strategia Energetica Nazionale (Sen); nei prossimi giorni, tratteremo dei teatri, anche in quanto sta iniziando un periodo di “inaugurazioni” di “stagioni”. La Sen nasce da un dispositivo del 2008, l’articolo 7 del decreto-legge n. 112 (convertito dalla legge n. 133/2008). Allora era stato riaperto un dibattito sullo sviluppo dell’energia nucleare a fine pacifici; esisteva una vasta congerie di norme che prevedevano documenti di strategia in questo o quel comparto (energie rinnovabili, la programmazione delle rete gas, la sicurezza degli approvvigionamenti), ma non uno strumento complessivo che rendesse coerenti questi vari elementi. La Sen, meno ambiziosa di un programma energico nazionale, ma più operativa, è nata con questo scopo.
Occorre sottolineare non solo la buona qualità del lavoro (che ha comportato uno stretto coordinamento tra le varie amministrazioni e i numerosi enti interessati), ma il metodo. Tale metodo ha comportato un vasto programma di consultazioni con tutti i soggetti interessati al settore: produttori, rappresentanti delle varie categorie di utenti, associazioni accademiche e professionali specialistiche (come quella degli economisti di energia), sindacati, enti territoriali e via discorrendo. È stato poi chiesto al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) di tirare un po’ le somme e di fornire osservazioni e proposte a Governo e Parlamento.
Il lavoro del Cnel è molto avanzato, ma ancora debbono essere effettuati alcuni passaggi formali. Dato che sono Consigliere dell’organo sarebbe inappropriato che entrassi nel merito della Sen. Posso, però, formulare, a titolo personale, alcuni punti di riflessione che possono essere utili in questa fase “di attesa” prima dell’insediamento di un nuovo Parlamento e Governo.
La prima riguarda la vocazione internazionale dell’Italia in materia di energia. Si parla di una politica energetica europea sin dagli anni Sessanta, ma neanche le crisi petrolifere degli anni Settanta hanno contribuito alla sua formazione. Il trattato di Lisbona pone l’energia al centro dell’attività europea e le conferisce una base giuridica che le mancava nei precedenti trattati (articolo 194 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)).
Gli strumenti di mercato (essenzialmente imposte, sovvenzioni e sistema di scambio di quote di emissione di CO2), lo sviluppo delle tecnologie energetiche (in particolare le tecnologie per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, o le tecnologie a basso contenuto di carbonio) e gli strumenti finanziari comunitari sostengono concretamente vari aspetti del comparto energetico. L’Ue ha inoltre adottato nel dicembre 2008 una serie di misure il cui obiettivo è ridurre il suo contributo al riscaldamento del clima e garantire l’approvvigionamento energetico. Tuttavia, a livello europeo, si è nella situazione in cui si era in Italia prima della Sen: numerosi documenti su aspetti del settore, ma nulla di organico, complessivo, coerente e operativo.
La Sen contiene la proposta di trasformare il Paese in un hub del gas sud-europeo al fine di accentuare competitività ed efficienza. Tale proposta deve essere portata al resto dell’Ue ed essere condivisa a livello comunitario. Potrebbe essere l’occasione per incidere sulla Commissione e sui partner europei e andare verso una Sen-Ue basata su Sen nazionali, come avviene per i Programmi Nazionali di Riforme (Pne). Anche se non si crede nel valore contenutistico di tali piani, programmi e strategie, essi hanno un importante valore simbolico, specialmente in un’Ue in cui da anni si parla principalmente di moneta e di finanza e si tratta poco di economia reale per la crescita.
La seconda riguarda il sistema di “governance” in cui si accavallano numerosi livelli di governo e più di un’autorità indipendente, ma si trascura il ruolo chiave, a livello locale, dei sindaci e dei consigli comunali per giungere a decisioni condivise.
In effetti, occorre guadare a due livelli – da un lato, all’Europa – quello più alto ma più distante -, dall’altro al Comune – quello più vicino ai cittadini – per giungere a una Sen davvero operativa.