Si può considerare utile o dannoso che Ansaldo Energia venga privatizzata, ma innanzitutto bisogna stabilire chi debba decidere se privatizzarla – se la sua holding di controllo, la Finmeccanica, o se il governo, sopra di esse – per la natura pubblica della proprietà prevalente della Finmeccanica stessa; e bisogna decidere, se proprio si vuole privatizzarla, se abbia senso o meno privilegiare un’offerta nazionale su un’offerta straniera, naturalmente a parità di condizioni.



L’anomalia di quel che sta succedendo invece a Genova è che la decisione di vendere – per debole e inconcludente che si sia rivelata – l’ha presa la Finmeccanica, e l’avallo del governo Monti c’è stato sì, ma debole, evasivo, senza alcuna assunzione di responsabilità; la scelta di escludere dall’ultima fase di gara per la vendita la cordata italiana, capeggiata dal Fondo strategico italiano, è stata ancora della Finmeccanica, come conseguenza surreale della scelta dello Stato – comune padrone sia della Finmeccanica che del Fondo – di non mettere ordine tra i comportamenti antagonisti di due sue aziende controllate! Ma oggi la decisione di affrettarsi e concludere la cessione di Ansaldo Energia ai coreani viene di fatto bloccata dal veto politico – non procedurale! – del Pd, oggi sostenitore (ancora per quattro settimane) del governo Monti e domani, forse, partito vincente nella sfida elettorale. Insomma: tutto sbagliato.



Che cosa si dovrebbe fare, invece? Quel che hanno fatto negli ultimi anni la Francia, la Germania, la stessa Gran Bretagna: difendere il radicamento nazionale delle attività economiche rilevanti per il Paese cercando di promuovere l’iniziativa imprenditoriale privata finché possibile e talvolta investendo anche soldi pubblici. Se la Cassa depositi e prestiti è titolata a rilevare la Snam Rete Gas dal gruppo Eni, azienda infrastrutturale strategica, e con un’altra sua articolazione, appunto il fondo Fsi, è disposta a comprare Ansaldo Energia, perché impedirglielo o lasciare che le venga impedito? Che senso ha abdicare fino a questo punto anche al più pallido barlume di politica industriale?



Spiace citare D’Alema, che davvero non merita in materia, ma non si può avere, nel campo dell’industria pubblica, un “Paese normale”? E dobbiamo sopportare un sistema che genera o intrallazzi e infeudamenti partitici o liberismo distratto? Che delega la definizione di quel che può e deve essere la politica industriale nazionale alle scelte, pur scrupolose e impegnate, di un consiglio d’amministrazione o di un altro, nominati dallo stesso azionista ma privi di direttive?

È stata questa la linea rinunciataria del governo Monti, anzi di Mario Monti in persona. Ideologica? Forse: opportunistica, più probabilmente. Perché su Ansaldo Energia, intanto che i coreani si sfiancano nel sostenere la loro offerta, continua a stagliarsi l’ombra del vero acquirente favorito, il colosso tedesco Siemens. E alla signora Merkel, così gradita a Monti, non dispiacerebbe certo, tantomeno in un anno elettorale, che il campione della sua industria pesante nazionale si accaparrasse senza tanti sforzi un’azienda gioiello ad alta tecnologia nella tanto vituperata Italia.