Ieri, intervenendo alla trasmissione L’economia prima di tutto, l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, ha espresso preoccupazione per la situazione in Libia. “Soffriamo la situazione di disordine – ha detto – perché la Libia è il primo Paese in cui operiamo. Da lì arriva circa il 15% dei nostri idrocarburi. E soffriamo anche la situazione in Nigeria – ha aggiunto – che sta attraversando un momento di grande difficoltà dal punto di vista dell’ordine pubblico”. Scaroni ha comunque escluso problemi di approvvigionamento per l’Italia. Dovrebbe essere di nuovo sotto controllo anche la situazione al terminal di Mellitah da cui parte il gasdotto che raggiunge la Sicilia finito nei giorni scorsi sotto attacco da parte di alcuni manifestanti. A Marcello Colitti, ex manager Eni, abbiamo chiesto di commentare questi ultimi fatti.
L’Italia non corre rischi?
Per quanto riguarda la Nigeria il discorso è molto serio. Perché la Nigeria ha un’agenzia legale e una illegale. Quest’ultima traffica una certa quantità di greggio che prende un po’ ovunque: dai tubi che corrono nel Paese, dalla produzione, dai depositi e così via. Un’organizzazione, clandestina mica poi tanto, che riesce a vendere olio diverso, sempre nigeriano, e che chiaramente fa un gran danno allo Stato nigeriano e crea qualche confusione sul mercato, anche se quest’ultima cosa è meno reale.
Da quanto va avanti questa situazione?
Da molti anni. E in tutti questi anni è cresciuta ed è diventata molto grande. Sono milioni di barili che girano clandestinamente.
Per quanto riguarda la Libia?
Il discorso è completamente diverso. In Libia esiste una situazione di crisi totale, dove manca un governo riconosciuto da tutti e dove ogni gruppo armato fa quello che vuole. La cosa in effetti è piuttosto sgradevole ed è molto difficile da raccontare. A ogni modo ha ragione Scaroni quando dice che in realtà il nostro approvvigionamento non è che soffra un granché.
Perché?
Abbiamo un clima molto favorevole e per quanto riguarda le alternative non ci sono problemi. Sono ben tranquille.
Su quali altre fonti possiamo contare?
Importiamo olio da tutto il mondo; il nostro approvvigionamento è sempre stato spezzettato in tanti paesi diversi. Da quando siamo in giro abbiamo sempre fatto approvvigionamento differenziato, stando attenti a non dipendere troppo da un Paese piuttosto che da un altro. Abbiamo una frammentazione piuttosto spinta. L’Eni invece ha un altro problema, molto serio, in Libia.
Quale?
L’Eni subisce perdite perché produce meno di quello che potrebbe. Il problema politico della Libia rimane. Finora gli interventi europei, o quelli americani, sono stati molto deboli, come dire “disinteressati”. L’Italia rimane il Paese più impegnato perché è quello che ha avviato la produzione petrolifera e l’ha sviluppata. In questi casi un intervento del Ministero degli Esteri italiano dovrebbe essere inevitabile e immediato. Ma ho l’impressione che si occupi di altre cose.
Lo shale gas potrebbe essere un’opportunità per l’Eni?
Lo è certamente per tutti. Ma l’Italia, su questo piano è molto scadente: non ci sono, o perlomeno sembra che non esistano grandi possibilità di sviluppo. Che io sappia, l’Italia ha superfici relativamente piccole e scarsamente interessanti. La geologia però riserva sempre delle sorprese. Ci sono aree in altri paesi europei.
Ad esempio?
Gli inglesi, ad esempio, hanno spinto molto su questo punto e hanno incontrato una forte resistenza da parte degli ambientalisti. Anche in Polonia si sta sviluppando molto. Ci sono poi paesi ex Urss che si stanno accordando con le compagnie petrolifere per cercare questo tipo di gas. Chi ce l’ha, certamente, ha poca voglia di sfruttarlo.